Autodistruzione del centrodestra
di Marco Volpati
C’era una volta in Italia un blocco politico che seppe interpretare interessi e umori di milioni di cittadini di orientamento moderato-conservatore. Era nato, per intuizione e scelta di Silvio Berlusconi, dalle macerie della Prima Repubblica spazzata via da Tangentopoli. C’era una volta, e non ci sarà più. Ormai il Popolo delle Libertà-Forza Italia è troppo ripiegato sui suoi guai interni per poter rappresentare il proprio popolo di riferimento. Berlusconi è convinto che con le sentenze lo abbiano fregato, di proposito. Altri pensano che si sia fregato da solo per comportamenti tra il disinvolto e l’avventato, in affari, in politica e nella vita privata. Sia come sia, lui che amava le metafore sportive adesso se ne discosta: spesso una squadra è convinta, praticamente sicura, che l’arbitro le abbia rubato le vittorie che meritava. Eppure nessuno decide che per quell’ingiustizia vale la pena di dimettersi dal campionato. Perché allora gridare al golpe, stabilire che “lui non ci sta”, che con Sansone devono morire tutti i Filistei? Un atteggiamento tra il panico e l’isteria. E non pare che possa fruttare abbondanti consensi e solidarietà dai cittadini-elettori. Quanti sono gli Italiani che si sono sentiti traditi, fregati, imbrogliati? Ai quali la decisione di un magistrato, di un burocrate, di un assessore o di un politico ha tolto il sonno, minato il patrimonio, leso la dignità? Eppure hanno dovuto accettare il destino avverso, rimboccarsi le maniche, farsene una ragione e ripartire. Tanti potrebbero decidere che i drammi di Berlusconi non meritano più considerazione e lacrime dei propri. E che quindi il Cavaliere, colpevole o innocente che sia, non interpreta più i loro sentimenti; non li può rappresentare, preso com’è nel vortice dei suoi problemi, troppo individuali per assumere un senso politico (cioè generale). A questo punto chi guiderà il centrosinistra – Renzi, Letta, Cuperlo o altri ancora – potrà avere a portata di mano quel colpaccio che nel 1994 sfuggì al troppo ottimista Achille Occhetto.