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Politica

Tommaso Cinquemani
@Tommaso5mani

renzi bersani 131915

Mentre Bersani prova ad uscire dall'angolo cercando un accordo con i grillini su un'agenda di governo condivisa, all'interno del partito iniziano i distinguo e le defezioni. L'ordine di scuderia vale per tutti: rimanere uniti finché non si saprà da chi sarà formato il prossimo governo. Ma è certo che non appena il nuovo esecutivo avrà giurato nella mani di Napolitano, nel Partito Democratico inizieranno le rasoiate. Nel mirino c'è il flop alle urne e la campagna elettorale sotto tono del segretario. Solo due big fino ad ora sono usciti allo scoperto. Con una intervista al Corsera  Massimo D'Alema ha ammesso gli errori e ha proposto un governo coi 5 Stelle e col Pdl. E Walter Veltroni ha dichiarato: "Quando io presi il 34% due giorni dopo Pierluigi rilasciò una intervista in cui chiedeva le mie dimissioni".

A chiedere le dimissioni, per ora, non ci pensa nessuno. Ma a sgomitare di più in questo momento sono i renziani, i liberal e i montiani. E non c'è da stupirsi: i primi vanno ripetendo che se ci fosse stato Renzi a fare campagna elettorale la vittoria sarebbe stata più vicina, Berlusconi non sarebbe tornato in campo, l'area centrista si sarebbe assottigliata e Grillo non avrebbe avuto l'exploit che ha avuto. "E' necessario che Renzi torni in campo con un ruolo di primo piano per rappresentare l'intero partito", spiega ad Affaritaliani.it Gabriele Messina, uno degli sponsor del sindaco in Lombardia.

Ad aprire il capitolo Congresso è stato per primo Ivan Scalfarotto, vicepresidente del Pd, che ad Affari dichiara: "Il nostro congresso dura molti mesi. Non lo farei ad ottobre, ma molto prima. Non chiedo le dimissioni di Bersani, ma bisogna aprire una discussione sugli errori e le prospettive per il futuro". Anche Matteo Orfini, uno dei 'giovani turchi' (i fedelissimi del segretario, guidati dal responsabile economico Stefano Fassina) ammette ad Affari: "Visto  i risultati elettorali è evidente che sono stati fatti degli errori, ma non è stato un problema di gestione della campagna elettorale . Non è in discussione la leadership di Bersani. C'è un congresso e si deciderà lì, è inutile sommare caos al caos".

Non tutti la pensano così e in molti dicono che le cose sarebbero potute essere gestite in maniera differente. "Abbiamo perso le elezioni, non illudiamoci", spiega Messina. "Il voto ci dice chiaramente che non abbiamo captato l'esigenza di cambiamento di una parte dell'elettorato colpita dalla crisi e che chiedeva che gli fosse data speranza. Invece di fare questo abbiamo sovraccaricato ancora di più gli italiani. Il Pd deve partire da questa riflessione:  o cambiamo o moriamo".

Vista la chiusura generalizzata a Berlusconi le ipotesi di governo sul tappeto rimangono due e in nessuno dei casi Bersani ne uscirà bene. La prima è quella di un governo tecnico di grandi intese per rimettere in pista il Paese, tranquillizzare i mercati e poi di nuovo tutti al voto. Di questa esperienza Bersani non farebbe parte e c'è da scommetterci che il prossimo Congresso del Pd metterebbe la parola fine sulla sua carriera. L'ipotesi due è che Bersani rimanga aggrappato alla sua vittoria di misura e riesca, con l'aiuto dei grillini, a fare un governo con una agenda condivisa che punti su anti-corruzione, criminalità organizzata, istruzione, spesa pubblica, finanziamento ai partiti. In questo caso però la resa dei conti interna non tarderebbe ad arrivare: le elezioni sono state perse e questo non si può nascondere.
 

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