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Politica
Covid: tra gaffe e sfondoni, la politica scivola sulla buccia di banana
(fonte Lapresse)

C’è la pandemia che non dà tregua, da nord a sud d’Italia, ma c’è un altro “virus”, forse meno grave, però altrettanto irrefrenabile: la tendenza a spararla grossa. Da quando il Covid-19 ha cominciato a dilagare in Italia, infatti, a diventare virali, amplificate dai social e dai media, sono state anche le numerose gaffe che hanno visto protagonisti i politici nostrani. L’ultima in ordine di tempo ha coinvolto il governatore della Liguria Giovanni Toti. Galeotto il tweet apparso sul suo profilo istituzionale lo scorso 1 novembre: “Per quanto ci addolori ogni singola vittima del Covid-19, dobbiamo tenere conto di questo dato: solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate”. Parole che hanno suscitato grosse polemiche sui social e nel mondo politico e di fronte alle quali a nulla sono valse le assunzioni di responsabilità da parte dello staff del presidente e le mezze scuse arrivate da Toti stesso. La rete, si sa, non perdona. E lo scivolone al momento si merita il podio. Non foss’altro perché quel definire i pensionati “non indispensabili allo sforzo produttivo” denota non solo uno scollamento dalla realtà in generale, ma pure dalla stessa realtà regionale che, è risaputo, risulta tra le più anziane d’Italia.

Toti, comunque, è in buona compagnia. Anche il governatore della Campania Vincenzo De Luca, che deve in gran parte alla pandemia il balzo di popolarità e la stessa riconferma alla guida della Regione, si è guadagnato sul campo il riconoscimento di gaffeur. Un titolo conseguito però non via Twitter, bensì attraverso le sue consuete dirette Facebook con i cittadini campani. Se, a marzo scorso, in pieno lockdown, il monito ai laureandi, quel “manderemo i carabinieri con il lanciafiamme”, gli valse la ribalta nazionale, non ha sortito lo stesso effetto la sua ultima uscita, il 30 ottobre scorso, sulla chiusura delle scuole. L’aver definito “ogm” e “cresciuta dalla mamma con latte al plutonio” una bambina che voleva a tutti i costi frequentare le lezioni ha in un sol colpo abbattuto il suo rating di gradimento. E così anche lui ha dovuto fare retromarcia e chiedere scusa.

Come non ricordare, poi, la battuta infelice del presidente della Regione Veneto Luca Zaia proprio nei primi mesi di diffusione del virus? Una frase uscita male, parole fraintese, come il governatore provò a spiegare, ma che hanno rischiato di provocare addirittura un incidente diplomatico con la Cina. Galeotta un’intervista all’emittente tv Antenna tre. Correva il mese di febbraio e Zaia scandì: “Penso che la Cina abbia pagato un grande conto in questa epidemia perché li abbiamo visti tutti mangiare i topi vivi o cose del genere”. E, in effetti, la replica dell’ambasciata cinese non si fece attendere: “Offese gratuite che ci lasciano basiti”, fu la reazione istituzionale di Pechino.

Ma la galleria degli sfondoni è lunga. E ci rientra a pieno titolo pure l’assessore alla Sanita della Lombardia Giulio Gallera che, il 23 maggio, durante la quotidiana conferenza stampa, vestì i panni del virologo per spiegare il metodo di contagio da Covid. “Per infettare me bisogna trovare due persone infette nello stesso momento”, ipse dixit. E fu subito polemica. Con annessa ironia social.

Sull’altare delle parole dal sen fuggite non ci sono solo le Regioni. Se ne contano tante, infatti, anche nel governo. Lo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte non è immune alla febbre da gaffe. Ne ha servita una su un piatto d’argento ai suoi detrattori quando, il 5 settembre scorso, ospite alla festa del Fatto quotidiano, in risposta alla manifestazione dei No mask a Roma, dichiarò più volte che i decessi in Italia erano a quota 135mila, anziché 35mila: “Alle persone che scendono oggi in piazza ricordo soltanto i numeri - sottolineò -. Oltre 274mila contagi generali e 135mila decessi”. Ovviamente, pure la risposta della rete non si fece attendere. A colpi di tweet che oscillavano dall’ironico “il premier dà i numeri” alla richiesta esplicita di dimissioni. Un’occasione che, in realtà, anche gli avversari politici del presidente del Consiglio non si sono lasciati sfuggire. A cominciare dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che subito twittò: Conte non sa quanti siano i morti di Covid-19 in Italia. Spara 135mila (invece di 35mila), provano a correggerlo e lui insiste. Ecco in che mani siamo. In un altro Stato avrebbe fatto scandalo. In Italia i media di regime tacciono e anzi Tg1 manda in onda la dichiarazione falsa”.

Non che, tuttavia, la stessa Meloni sia senza “peccato”. Nel suo caso un altro tipo di errore di calcolo. Fu proprio la leader di FdI, infatti, in un duro attacco rivolto al premier in Aula il 29 luglio scorso, ad annunciare il no del centrodestra compatto alla proroga dello stato d’emergenza. “E’ da pazzi irresponsabili, non saremo vostri conniventi”, disse Meloni. E, a ben guardare, i fatti non le hanno dato ragione. E’ vero che ha più volte chiarito la sua posizione e, quindi, una contrarietà alla proroga scaturita dalla mancata condivisione con le opposizioni di evidenze scientifiche alla base della decisione, ma tant’è, il messaggio era ormai passato. E che dire di Salvini? L’astinenza da piazze e selfie gli ha giocato un brutto tiro. E così si è dovuto subire i rimbrotti del conduttore Giovanni Floris a “DiMartedì” il 10 giungo. Il motivo del contendere? Le critiche per la violazione delle norme anti-Covid durante la manifestazione del centrodestra a piazza del Popolo. “Posso togliermi la mascherina mentre parlo con una signora?”, provò a difendersi il leader della Lega. Ma invano. Nessuna sponda nello studio televisivo, solo un secco no come risposta.

Rimanendo nell’ambito di errori di calcolo o, meglio ancora, di tempistiche sbagliate, però, non si può tacere del libro “Perché guariremo - Dai giorni più duri a una nuova idea di salute” di Roberto Speranza, che era atteso nelle librerie il 22 ottobre scorso e non è mai arrivato, facendo fiorire le più disparata ipotesi in merito. Non sarà stata semplicemente una questione d’opportunità a far slittare l’uscita a data ancora da destinarsi? A ben vedere, il virus già aveva ricominciato a galoppare nel Paese, divorando in parte quel vantaggio che l’Italia si era ritagliata rispetto al resto d’Europa.

A onore del vero, la vicenda del libro non è l’unico scivolone che ha visto protagonista il ministro della Salute. Un polverone di polemiche ha destato, per esempio, la sua proposta, anticipata negli studi di “Che tempo che fa” il 12 ottobre, di vietare ogni tipo di festa, anche quelle nel chiuso delle abitazioni, contando sull’aiuto delle segnalazioni dei cittadini. Un inciampo in piena regola che fa il paio con quello di un altro ministro del governo Conte due. Protagonista della gaffe questa volta è stata la titolare del ministero dei Trasporti Paola De Micheli. La buccia di banana? L’autocertificazione da esibire durante il coprifuoco. A detta di De Micheli, infatti, col coprifuoco si può uscire, “se lei deve andare dalla fidanzata - ha spiegato al direttore di Libero Pietro Senaldi negli studi di “DiMartedì” il 28 ottobre scorso -, e se ha una necessità può uscire”.

Peccato che le autocertificazioni, sin dai primi Dpcm, hanno sempre e solo riguardato spostamenti per comprovate esigenze di lavoro, salute e situazioni di necessità. D’altronde, la lunga serie di decreti e circolari che sta scandendo i delicati mesi del Covid ci ha abituato alle comunicazioni istituzionali spesso molto vicine alla gaffe. E’ stato così con la definizione di congiunti, ma anche con le linee dettate dal Viminale su jogging e attività motoria. Per tacere dell’annosa questione delle passeggiate sotto casa consentite ai minori se accompagnati però da un solo genitore.

 

 

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