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Politica
Dall'uomo solo al comando a collegialità.Cosa cambia col Conte 2 ma rischio...

La nascita del nuovo governo giallo-rosso, Cinque Stelle-Pd, imprime una svolta radicale alla scena politica italiana. E' il sentire diffuso che circola tra le segrete stanze dei cosiddetti poteri forti romani e milanesi, dall'alta finanza, alle banche, dalla Curia vaticana alla Borsa, dai sindacati ai “circuiti” della presidenza della Repubblica fino agli euroburocrati.

 

 

Dopo il collasso del “governo” del cosiddetto “cambiamento”, l'Italia si ricolloca con certezza nella posizione dello scacchiere globale tradizionalmente assunta. L'esecutivo Cinque stelle-Lega è stato uno dei più turbolenti della storia, per i suoi rapporti con i vertici comunitari e con le élites internazionali. Un esecutivo anomalo che si reggeva sul duopolio Matteo Salvini-Luigi Di Maio e sulla promessa del premier Giuseppe Conte di essere l'avvocato degli italiani: una sorta di difensore d'ufficio dei loro diritti contro lo strapotere delle élites.


 

Ora, dopo la rottura di Salvini, per la nuova esperienza di governo il neo presidente del consiglio, Conte, ha incassato proprio l'endorsement delle élites tanto osteggiate dal governo che precedentemente presiedeva: dal plauso di Jean Claude Juncker ai commissari europei più ostili, come Pierre Moscovici, dalla futura presidente della Bce, Christine Lagarde, alla neo presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, fino a Manuel Macron e Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti che è stato il primo a manifestargli un appoggio incondizionato, spianando la strada al Conte 2.


 

Per Conte la strada però non sarà facile. Le necessarie misure economiche da approvare per disinnescare le clausole Iva da 23 miliardi e una manovra di bilancio problematica saranno solo questioni momentanee. Bisognerà capire come e se manifesterà di nuovo questo ruolo di “avvocato degli italiani”.


 

Tanto più oggi che, dopo una stagione lunghissima in cui “l'uomo solo al comando” veniva rappresentato come la panacea a tutti i mali, torna al centro della scena “la collegialità nelle decisioni”.

Prima c'è stato Silvio Berlusconi, poi Romano Prodi e a seguire tutti gli altri uomini politici più o meno forti e soli a cui venivano affidate le sorti della nazione, da D'Alema a Monti, Letta, Renzi, fino al duo Salvini-Di Maio. Per qualcuno questo ritorno alla collegialità, in cui più soggetti devono arrivare ad un compromesso per individuare le scelte, non è nient'altro che la democrazia. Per altri invece è un palese problema che non fa che paralizzare e parcellizzare le decisioni dello Stato, senza decidere alcunché.

 

Conte stesso dovrà bilanciare le sue scelte con altre figure non di contorno. A sinistra con il segretario Nicola Zingaretti oltre che con capifila quali Matteo Renzi e Dario Franceschini, ricordandosi il ruolo preponderante del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Con i 5 Stelle invece trovandosi di fronte un redivivo Beppe Grillo, un Luigi Di Maio ridimensionato ma non eliminato e il sempre presente Davide Casaleggio con la sua piattaforma Rousseau. Ripiombando così nel dramma attuale delle democrazie occidentali: la difficoltà dei leader e dei grandi apparati dello Stato a prendere velocemente decisioni efficaci che migliorino la vita degli elettori (e non solo la propria in quanto politici detentori di un potere). Con l'effetto, proporzionale a quanto questo potere di decisione è diffuso, di restare paralizzati, demandando invece così tutte le decisioni che contano a piccole élites economico-politiche non elette da nessuno e che perseguono interessi privatissimi.


 

Leslie Sklair e Luciano Gallino, sociologi di stampo mondiale, hanno spiegato per anni che le nuove democrazie sono dominate dall'egemonia di alcune élites economico-politiche, una cosiddetta "nuova classe capitalistica transnazionale" che dalle proprie torri di cristallo in metropoli come New York, Washington, Londra, Francoforte, Nuova Delhi, Shanghai, decidono la vita sociale ed economica di tutti noi, imprimendo una distruzione dello Stato sociale, un certo sviluppo all'economia, del lavoro e delle città. In questa fase storica i partiti non sono più canali della rappresentanza degli elettori ma venditori di prodotti più o meno affini ai desideri di queste élites. Discorso a cui sia il M5S degli albori che la Lega si erano in qualche modo sottratti con la costituzione del loro anomalo governo. Ma prima del naufragio.

Ora o questa nuova collegialità di forze che è al potere (M5S-Pd), tanto apprezzata dalle élites economico-politiche

internazionali, troverà strade impreviste per migliorare la vita degli elettori, oppure siamo condannati alla paralisi dello Stato, al rafforzamento dei poteri delle élites e all'inevitabile crescita del dissenso nella società italiana. Con le conseguenze che si possono immaginare.

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