Gli italiani preferiscono un Parlamento di eletti
L’impianto della proposta di legge elettorale Renzi-Berlusconi appare soddisfacente (anche se meglio sarebbe alzare al 40 per cento la soglia per il premio di maggioranza); ma non è accettabile il rifiuto delle preferenze .
Si sa che l’espressione delle preferenze non è essenziale per la democrazia. Non c’è nel sistema uninominale, diffuso in paesi di antica democrazia, e non c’è neanche in Germania dove la metà dei parlamentari viene eletta con il sistema uninominale e l’altra metà con il proporzionale su liste bloccate. Formalmente in quei casi l’elettore non conta nulla nella scelta delle persone al momento dell’elezione; potrebbe però contare in altro modo. Ci può essere il ricorso alle primarie formali, che tuttavia funzionano bene solo nell’ambito dell’uninominale e comunque non sono previste come obbligatorie nel progetto italiano. Più debole, ma non inefficace è la prassi di dibattiti preventivi sui mass media che fanno emergere, anche attraverso sondaggi, diversi gradi di popolarità dei candidati e che inducono quindi i partiti, per non perdere i voti, a scegliere i candidati più popolari e a escludere quelli che abbiano anche la minima macchia (vedi il caso dell’astro nascente tra i politici tedeschi eliminato perché aveva copiato qualche pagina nella tesi di dottorato). Attenzione, però, che questo circuito – decide il partito, ma sulla base delle presunte preferenze degli elettori – è pur sempre un surrogato e comunque funziona solo se molti tra gli elettori scelgono il partito in funzione del candidato. Ciò presuppone una società che non ha estese fratture ideologiche, che genera programmi elettorali molto vicini e che registra quindi significativi spostamenti tra partiti a ogni tornata in funzione dei risultati, ma anche e soprattutto dei candidati.
È il caso italiano? Vari passi in questa direzione sono stati compiuti a livello locale, ma non sembra così a livello nazionale. Non inganni l’esplosione del Movimento 5 Stelle, che ha sì rubato voti a destra e a manca, ma proprio per una conclamata scelta ideologica, ossia per il disprezzo della casta, che ha accomunato e non distinto i candidati, sia quelli dei partiti abbandonati sia quelli del movimento scelto. E semmai il dominio dei mass media nella competizione elettorale ha accentuato il peso dei leader, che diventa una specie di fattore ideologico, capace da solo di determinare la scelta dell’elettore tra i partiti, togliendo forza ai candidati locali.
Ma in una buona democrazia parlamentare è bene che tutti i parlamentari contino e si sentano investiti della rappresentanza popolare . Ecco perché, se è consentito il gioco di parole, esprimo preferenza per la preferenza.
Non valgono le obiezioni basate sulla cattiva esperienza italiana del passato. Le preferenze multiple su lunghe liste di candidati in vaste circoscrizioni – con quel che ne conseguiva come alti costi della propaganda individuale, cordate tra candidati, legami clientelistici – hanno poco a che fare con una sola preferenza espressa entro una lista corta di candidati conosciuti nell’ambito di un ristretto collegio elettorale. Il degrado della competizione elettorale è sempre possibile, ma è lecito attendersi un saldo positivo tra costi della possibile corruzione e benefici della più estesa partecipazione degli elettori alla scelta.
Detto tutto questo a livello di analisi, bisogna aggiungere che oggi in Italia il tema delle preferenze non si esaurisce nel confronto tra rispettabili ragionamenti politici. Di fatto, si tratta soprattutto di una questione di coerenza logica e comportamentale, di quelle che fanno arrabbiare la gente.
Fa arrabbiare l’ineffabile posizione della Corte Costituzionale che trova fondato il tema della incostituzionalità delle preferenze negate dal Porcellum, ma poi afferma, contro il senso comune, che vanno bene anche le liste bloccate in piccoli collegi, perché allora gli elettori sono in grado di conoscere bene le persone e di scegliere il partito di conseguenza. Come se il fatto che sia possibile il giudizio comparato tra candidati di diversi partiti bastasse a negare il diritto a esprimere un giudizio comparato sui candidati del proprio partito.
Fa arrabbiare ancora di più la posizione di Matteo Renzi che quasi irride alle preferenze dopo anni di invettive del Pd contro un sistema elettorale che con le liste bloccate aveva defraudato l’elettore di un sacro diritto e aveva degradato il Parlamento da assemblea degli eletti a congrega di nominati.
Da LaVoce.info