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Politica
Governo, Conte respira ma il “killer” Renzi ha già il premier nel mirino

Il premier Conte ride per non piangere ben sapendo che il compromesso trovato in zona Cesarini a Palazzo Chigi sulla manovra è solo un tappabuchi per il Paese in crisi e sfiduciato, l’ennesima mediazione al ribasso per tenere unita col mastice una maggioranza politicamente inesistente. Conte volteggia instancabile e con indubbia maestria sul trapezio ben sapendo che sotto sono in tanti, a cominciare dagli esponenti dei partiti di governo, ad attenderlo: non con il tappeto per attutirne il colpo in caso di caduta ma per il de profundis. Al di là dell’ottimismo di facciata del premier e dei mezzi sorrisi di Zingaretti, la situazione appare sempre più compromessa. Prosegue il gioco delle tre carte. Conte zittisce Renzi che sulla manovra cerca di metterci il cappello: “Ho impedito l’aumento delle tasse”. Conte l’aveva già anticipato: “Renzi è un pessimista cosmico” ma sa bene che Renzi, soprattutto, è un killer politico che ha messo nel mirino proprio l’avvocato premier. 

Adesso Renzi cambia gioco: ha tolto le sicure alle sue bombe puntando diritto alle elezioni politiche anticipate, obiettivo condiviso oramai anche dal Pd, pur se in modo meno scoperto. Fatto sta che il leader di Italia Viva Renzi e anche il capo del Pd Zingaretti hanno messo in moto le rispettive “macchine da guerra” in previsione di un possibile scioglimento anticipato delle Camere a gennaio con lo sbocco di nuove elezioni a fine marzo 2020, il 22 o il 29 del mese. Ma, come già anticipato ieri da Affaritaliani, Renzi e Zingaretti rischiano di infilarsi nel classico cul de sac, con risultati delle urne negativi, se non disastrosi. Le stime di Renato Mannheimer per Affaritaliani.it sull’eventualità del voto in primavera danno gli attuali partiti al governo in forte calo o in grave crisi di consensi e, all’opposto, la Lega nettamente prima con il 35%, FdI boom all’11%, FI al 6%, con lo sbocco di un nuovo governo di centrodestra (52%) con Salvini premier o addirittura con Giorgetti a Palazzo Chigi e Matteo “gran burattinaio”. I nodi vengono al pettine in una realtà double-face. 

Nel Parlamento ci sono partiti “gonfiati” che non dispongono più dei voti ottenuti nel 2018, in particolare con il M5S che pur avendo dimezzato i suoi consensi elettorali (certificato anche dal risultato delle Europee) mantiene la maggioranza nelle Camere e nel governo e con il nuovo partitino di Renzi che nei sondaggi già citati è sul 3% ma resta decisivo con ministri nell’esecutivo e una folta rappresentanza parlamentare agli ordini dell’ex Rottamatore. Ciò porta a una situazione surreale. Il governo costretto a procedere a zig-zag e alla giornata, senza un progetto politico-programmatico. In altre parole, questo è il frutto delle scelte non fatte dopo la crisi di agosto, rifiutando le elezioni politiche anticipate per paura di consegnare l’Italia a Salvini e al centrodestra. Addirittura si mettono le mani avanti, dicendo “no” al ritorno alle urne politiche anche in caso di sconfitta storica della sinistra il 26 gennaio in Emilia Romagna. Conte può poco, sempre meno, costretto a mediare fra i marosi degli interessi dei singoli partiti e delle rispettive leadership. Per Conte, il problema oggi non è né l’arrabattante Di Maio né Zingaretti sor tentenna. 

Il problema è Renzi. Conte dice dell’ex premier: “E’ un pessimista cosmico” ma sa bene che Matteo il Rottamatore, dello “Stai sereno, Enrico” indirizzato nel 2014 all’allora inquilino di Palazzo Chigi Enrico Letta, soprattutto è un killer politico che ha messo nel mirino proprio l’avvocato premier. E, come ben sa chi lo conosce, l’ex segretario Pd ed ex premier oggi socio in “affari” nell’esecutivo, più è alle strette più è pronto a dar fuoco alle micce e a far saltare tutto rientrando poi in scena come salvatore della patria. Valeva ieri, vale soprattutto oggi, con il suo partitino-mignon Italia Viva che non decolla, con la procura di Firenze che gli soffia sul collo con l’inchiesta sulla fondazione Open. Per Matteo la tattica diventa strategia: far cadere o far lasciare cadere il governo Conte non per andare al giudizio delle urne che sarebbe per lui disastroso, ma per rientrare dopo la crisi in un esecutivo di basso profilo e di poche pretese, un governo “tecnico” con lui a capo. Così il pallino non è in mano a Conte. Tutt’al più sia Conte sia Zingaretti possono spiazzare il “rubamazzi” di Rignano in un sol modo: anticipandolo, andando diritti alle urne, mandandolo a casa. 

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