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Politica
Governo: il futuro si deciderà dopo l'Emilia. Tutti i possibili scenari

C’è una discussione che imperversa da mesi: ammesso che in Emilia-Romagna il voto consegni la regione alla Lega, decretando la fine dell’egemonia comunista e post-comunista, durata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ciò comporterà la caduta del governo?

Le risposte a questa domanda sono varie. Chi è un parlamentare (e non parliamo di chi è Presidente del Consiglio per grazia ricevuta) dice che il voto non cambia i numeri della maggioranza - cosa vera - e dunque a suo parere il governo non risentirà di queste elezioni. E ciò quand’anche esse dovessero decretare una sonora sconfitta sia del Pd sia del M5s, la cui presenza è ormai di testimonianza. A danno del Pd.

Ovviamente questa spiegazione puramente tecnica non rivela il fondo del problema. Ciò che motiva la resistenza della maggioranza, aggrappata ai suoi numeri in Parlamento, è il fatto che, se si andasse a nuove elezioni, molti parlamentari non ritroverebbero più il loro scranno. Lo sottolineano brutalmente quei commentatori, come Vittorio Feltri, i quali osservano che è soltanto il forte interesse personale dei singoli parlamenti, più esattamente l’interesse a non perdere lo stipendio e la pensione, a prevalere su ogni altra considerazione. Ragione per la quale potremmo essere costretti a tenerci questo simil-governo fino alla scadenza naturale della legislatura. Quand’anche la gente avesse tendenza ad inseguire questi politici coi forconi, se mettono il naso fuori dal palazzo.

Molti altri invece sono convinti che il governo non possa durare per “incontestabili motivi morali”. La coalizione giallo-rossa, come numeri, forse ha rappresentato il popolo del marzo 2018, certo non quello di oggi. Da oltre un anno vi è un totale contrasto fra la maggioranza in Parlamento e la maggioranza nel Paese, tanto che questo governo, dal punto di vista astrattamente democratico, è già da tempo illegittimo. E figurarsi dopo un’ulteriore batosta. Ma questo ragionamento idealistico manca di base giuridica. E comunque la maggioranza non rinunzierebbe al seggio neanche se conservarlo fosse anticostituzionale, figurarsi quando a suo vantaggio convergono diritto e interesse. Dunque, per quanto convincente l’argomento possa apparire all’italiano medio, nei fatti non vale niente. Non si può votare ad ogni stormir di foglie, o appena il popolo cambia idea. Ad ammettere che abbia sbagliato, nel 2018, è bene che paghi per i suoi errori. Se soffre e si sente inascoltato, imputet sibi, se la prenda con sé stesso, non con chi approfitta dei suoi errori.

E tuttavia è possibile vedere il problema da un’altra angolazione, secondo la quale ambedue le tesi potrebbero essere insostenibili e “dogmatiche”. È vero che l’interesse è una molla potentissima, ma non sempre gli uomini agiscono per interesse. E non sempre riconoscono il loro. Sia la tesi morale, sia la tesi dell’interesse sono tutt’altro che a tenuta stagna. Lo studio della storia (stavolta magistra vitae) insegna che due delle forze più importanti degli avvenimenti sono il caso e, soprattutto, la follia. Due fattori del tutto ineliminabili e del tutto imprevedibili.

Come non bastasse, in politica gli attori in campo sono caratterizzati dalla mancanza di scrupoli e dall’avidità di potere. E a volte non solo di potere. Se dunque, a torto o a ragione, qualcuno penserà che a lui personalmente far cadere il governo convenga, nulla lo tratterrà. Se Erostrato fu disposto ad incendiare il tempio di Artemide senza ragione, figurarsi quanto sarebbe disposto a farlo un politico, se avesse da guadagnarci.

Rimane soltanto da ipotizzare un caso che renda verosimile uno schema. Ammettiamo che Italia Viva, il partitino di MatteoRenzi, sia essenziale alla maggioranza e ammettiamo che i suoi consensi, per come annunciati dai sondaggi, non aumentino. Identificata una causa popolare che ne valga la pena, cioè che abbia una notevole presa sul grande pubblico, Renzi potrebbe farsene paladino e, a sorpresa, far cadere il governo per essa. Il getto dei dadi potrebbe essere motivato sia dalla speranza del successo derivante da quella “coraggiosa iniziativa” in favore del popolo, sia dal fatto che il partitino non rischia niente, dal momento che non riesce a prendere il volo, nemmeno per superare lo sbarramento della proporzionale. E nel frattempo sarebbe caduto il governo, sarebbero state sciolte le Camere o chissà che altro.

La favola dello scorpione che chiede alla rana di traghettarlo e in corso di traversata la punge, facendola morire (e morendo lui stesso annegato, semplicemente “perché è la mia natura”) vale anche per gli uomini. Ecco perché si diceva che l’interesse non è una bussola sicura. Basti pensare a Fini. Per mesi ci si è scervellati per capire che cosa mai ci potesse guadagnare facendo la guerra a Berlusconi. Ma niente lo fece deflettere dall’azione intrapresa, fino al totale suicidio politico. La storia è fatta anche dai Gianfranco Fini.

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