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Green Pass, gli italiani chiedono aiuto ma la Ue se ne lava le mani

Green Pass, gli italiani gridano alla discriminazione ma la Commissione Europea fa finta di niente

Gli italiani chiedono aiuto alla Commissione Europea perché il Green Pass impone delle discriminazioni. Ma le loro richieste finiscono nella spazzatura in meno di 24 ore. "La Commissione Europa “prende una decisione politica”, spiega ad Affaritaliani l’avvocato Olga Milanese del comitato organizzativo per il referendum contro il Green Pass, “sconfessando sé stessa”. 


E la storia di un imprenditore bergamasco (che per ovvi motivi preferisce l’anonimato ma di cui possediamo il carteggio con la Ue), uno di quelli che durante la prima fase della pandemia si è organizzato con i propri dipendenti per aiutare chi era rimasto senza assistenza e ha devoluto somme importanti di denaro ai centri di ricerca contro il Covid. A metà settembre, preoccupato per quanto stia accadendo in Italia, segnala quelle che considera "gravissime violazioni delle norme e dei trattati europei e dei diritti garantiti ad ogni cittadino non solo dalla Costituzione della nostra Repubblica ma anche dalla normative Ue, da parte del governo italiano nella questione Covid-19”.

Scrive: in Italia con il Green Pass si discrimina una parte dei cittadini che non possono più “usufruire di moltissime attività (vita sociale, come ristoranti, vita culturale, come mostre ed eventi, vita sportiva, come piscine e palestre), per spostarsi liberamente all’interno della nazione (impedendo dal 1 settembre l’accesso ad aerei e treni intercity o Alta Velocità), ed addirittura per esercitare il proprio diritto al lavoro per intere categorie (insegnanti, sanitari) o per accedere a servizi previsti nella propria attività (servizio mensa) ed anche l'accesso presso le stesse strutture sanitarie”. In quel momento non era ancora stato approvato il cosiddetto Super Green Pass che impedisce le attività lavorative alla stragrande maggioranza della popolazione non munita del lasciapassare verde. 

“Con la propria legislazione”, argomenta l’imprenditore, “lo Stato Italiano sta discriminando i cittadini che hanno scelto di non vaccinarsi, conformemente ai principi sacrosanti e costituzionali di libertà di scelta nelle cure, imponendo loro una sorta di odioso ricatto, ad accettare un vaccino su cui illustri virologi e scienziati hanno espresso le loro notevoli perplessità, sia in ordine all’efficacia, all’opportunità e financo alla sicurezza”.

E cita il passaggio regolamento Ue sul Green Pass che contrastava proprie le possibili discriminazioni: “È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino Anti Covid-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate, o hanno scelto di non essere vaccinate”. L’imprenditore chiede venga aperta una procedura di infrazioni e che si instaurino norme corrette e non discriminatorie.
In meno di 24 ore la Ue risponde: “La capacità di approvare leggi a livello nazionale per affrontare il Coronavirus spetta interamente agli Stati Membri: la Commissione non ha il diritto di interferire nella legislazione e nelle decisioni nazionali su argomenti quali la salute”. Se l’imprenditore vuole presentare “un reclamo contro le autorità nazionali italiane, può rivolgersi al suo difensore civico regionale”.

Eppure l’articolo 36 del regolamento 953 del 2021 del parlamento e del consiglio europeo nella sua versione originale diceva: “È necessario evitare la discriminazione di persone che non sono vaccinate”, e anche di chi “sceglie di non farlo (il vaccino, ndr)”, ma era già aria fritta perché nella traduzione italiana del regolamento la libertà di non vaccinarsi era scomparsa.
“L'Unione Europea sconfessa sé stessa”, spiega ad Affaritaliani.it l'avvocato Olga Milanese del comitato organizzativo per il referendum contro il Green Pass, “perché da un lato dice che il Green Pass non può essere uno strumento di discriminazione e dall'altro ammette che lo sia quando gli Stati lo usano come tale”.

E continua: “È una contraddizione, anche se ci sono altre normative della europea che prevedono la possibilità per gli Stati di regolare l'emergenza interna. Ora bisogna capire cosa si intende per discriminazione. Se la consideriamo nell'accezione che si dà la Convenzione europea dei diritti dell'uomo la risposta della commissione doveva essere un po' più articolata, se invece il discorso di discriminazione è rimesso alla discrezionalità degli Stati allora stiamo freschi. È una decisione meramente politica. Hanno dato più rilevanza alla libertà degli Stati di gestire l'emergenza che non alla possibilità di non discriminare”. 

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