Ius Scholae, ecco perchè è un bivio politico e costituzionale per l’Italia
Lo Ius Scholae può essere uno strumento di cambio di rotta, anche calmierato, purché si adatti la norma nazionale alle necessità di Stato
Ecco perchè lo Ius Schoale è la cosa più conservatrice, liberale e progressista che si possa fare allo stesso tempo. Il commento
Se c’è una proposta di legge che possa contemperare speranze di crescita, affezione nazionale degli stranieri e dignità del percorso educativo è proprio lo Ius Scholae. Chiariamo un punto di partenza: l’obiettivo non è l’integrazione (né può esserlo) perché non ci si può integrare tra diversi se la base è quella religiosa. In questa dimensione l’integrazione non c’entra atteso che, ad esempio, la fede musulmana non si può rendere intrisa di cristianesimo e viceversa; così valgasi anche per l’ebraismo, ecc. Il processo di integrazione degli individui in quanto tale, invece, è un fatto ex post (cioè che viene in un secondo momento) sempreché ci siano due fattori concomitanti a indirizzarla: la scelta politica e le consequenziali politiche pubbliche.
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Quanto al primo fattore lo Ius soli (cioè il diritto di cittadinanza per nascita) ha già dimostrato il suo fallimento in Francia che lo ha adottato fino al 2023 (chiamato doppio Ius soli). E la riforma ultima del governo nominato da Macron è stata appoggiata per giunta dalla destra di Marin Le Pen (le aree salviniane e meloniane non si comprende come possano non sostenere una proposta di Ius Scholae a questo punto).
Se pensiamo per un attimo che la fetta di eventuali “cittadinabili” con lo Ius Scholae sarebbe intorno a 560.000 ragazzi e ragazze che già studiano, significa che il vero punto è politico: a generazione di studenti si vuole dare una dignità sociale commisurata all’impegno profuso per assimilare la nostra cultura (che non è solo nostra, ricordiamocelo, ma appartiene al mondo e alla storia di questo pianeta) senza rinunciare alle proprie radici e alla propria religione (che sono, peraltro, cose distinte e separate dal percorso educativo benché non asimmetriche)?
Poi c’è il secondo fattore ovverosia capire quali scelte di politiche pubbliche fare per far fronte ad alcuni fenomeni che senza lo Ius Scholae continueranno ad acuirsi. Primo fra tutti i procedimenti burocratici di inserimento nel mondo del lavoro (come ha spiegato il Governatore della Banca d’Italia Panetta al Meeting di Rimini 2024).
C’è, quindi, una scelta politica da prendere sul tema della cittadinanza a prescindere dal programma elettorale di chi ha vinto le elezioni nel 2022. Perché il problema è evidente e non aspetta la fine della legislatura. A quei 560.000 ragazzi e ragazze bisogna dare una risposta e una prospettiva per sentirsi italiani anche sulla “carta” perché le norme esistenti non sono più funzionali. E non si può avere un approccio ideologico, ma sistematico e futuristico.
L’Italia è a un bivio politico dove, in realtà, lo Ius Schoale è la cosa più conservatrice, liberale e progressista che si possa fare allo stesso tempo: primo perché permette al nuovo cittadino di aver assimilato la sua dimensione sociale a tutto tondo senza rinunciare alla contemporanea viviscenza delle sue origini nel rispetto dell’altro e affezionandosi, al contempo, sempre più al Paese nel quale studia, cresce, lavora e si realizza; secondo perché diventare cittadini per meriti sul campo rispecchia il principio di “libertà nella regola fatta propria”; terzo perché non si può rimanere ancorati al medioevo normativo (anche i romani concedevano cittadinanza per meriti militari ad esempio) con il rischio di generare insoddisfazioni sociali e riluttanze come accaduto in Francia con le banlieue (anche se in quel caso ciò che non ha funzionato è stato lo Ius soli che, in realtà, è l’altra faccia della stessa medaglia del problema di cui si parla).
Quella legge del 1992 (n. 91) ha un problema: non risponde più alle esigenze attuali. Ed è anche un problema costituzionale. Il Paese, in definitiva, o guarda al futuro o rischia di aumentare fratture generazionali interne. Lo Ius Scholae può essere uno strumento di cambio di rotta, anche calmierato, purché si adatti la norma nazionale alle necessità di Stato. Affrontare la realtà è d’obbligo prima che la realtà stessa affronti la politica.
*Avvocato, Docente Universitario, già Vice presidente Commissione Giustizia del Ministero dello Sviluppo Economico e delegato italiano al G20 under 40 Amburgo 2022 (industrie e sviluppo economico), esperto giurista rispondente per l'Italia del World Justice Project (Commissione Europea)