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Politica
La marcia in più dei cattolici in politica

Stiamo seguendo con attenzione e interesse giornalistico la maturazione ed evoluzione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte da professore di diritto a leader politico sin dalla sua partecipazione, a fine settembre, alla nostra Piazza, a Ceglie Messapica. In quell’occasione il premier si è definito un “cattolico non di sinistra ma democratico” e ha confidato il suo desiderio di veder crescere “qualche seme” dal suo impegno governativo.

Pubblichiamo oggi il suo intervento di qualche giorno fa ad Avellino, ospite di Gianfranco Rotondi e della Democrazia Cristiana, nel corso della commemorazione di Fiorentino Sullo.

Un discorso importante, quello pronunciato da Conte ad Avellino, rivelatore di molte cose. A partire dall’albero genealogico del cattolicesimo del premier, i suoi ancoraggi e riferimenti dottrinari, politici e filosofici, i principi a cui ispira la sua azione governativa, inevitabilmente politica.

Un’utile lettura a futura memoria per il momento in cui magari, chi può dirlo, l’Avvocato del popolo vorrà scendere in campo con un suo movimento o partito.

Buona lettura

(Angelo Maria Perrino)

***

Cari giovani vi invito a considerare che conoscere la nostra Storia significa conoscere e affrontare anche meglio il nostro presente e poi poter partecipare, essere pienamente e consapevolmente partecipi della progettazione del nostro futuro, perché il nostro futuro ha un cuore antico e per progettare dobbiamo conoscere.

L’evento odierno, con il quale si aprono le celebrazioni per il centenario della nascita di Fiorentino Sullo, è un’occasione preziosa per riflettere sulla figura di un politico di chiaro rilievo nella vita dell’Italia repubblicana: il più giovane deputato all’Assemblea costituente, parlamentare dal 1946 al 1976 e, di nuovo, dal 1979 al 1987, più volte Sottosegretario e Ministro.

Sarà certamente rievocato il suo profilo di insigne giurista, di raffinato umanista, di intellettuale, come pure il suo impegno riformatore in favore del Sud, l’attenzione speciale che pose sulla questione meridionale, l’originalità e – per più di un verso - la modernità delle soluzioni da lui prospettate per tentare di sollevare le Regioni del Sud dalle condizioni di profondo disagio economico e sociale nelle quali versavano: “Noi crediamo” - sono le sue parole - “alla resurrezione del Mezzogiorno attraverso il Mezzogiorno, non attraverso una forma di “protezionismo politico” degli operai rispetto ai contadini, non attraverso l’abbraccio che venga dal Nord, ma che non modifica se non l’esterno, perché la vera educazione alla libertà deve venire dall’interno, e gli atti di conquista non rappresentano mai affermazioni durature”. Determinante fu anche il suo impegno, purtroppo non destinato al successo, per un progetto di riforma urbanistica che oggi - con terminologia moderna - avremmo potuto definire “equo” e “sostenibile” e che, se fosse stato attuato, avrebbe potuto forse risparmiare al nostro territorio, soprattutto qui al Sud, gli effetti perversi di una speculazione edilizia che ha fortemente compromesso la bellezza e, nello stesso tempo, la sicurezza dei nostri ambienti di vita. E poi ci sarebbe da ricordare anche il suo impegno come ministro del Lavoro e le sue politiche per l’occupazione.

Oggi però, traendo ispirazione da un grande democratico-cristiano, mi è stato proposto di riflettere, insieme a voi Studenti, sul ruolo dei cattolici in Assemblea costituente, sul contributo da loro offerto alla definizione di quelle trame normative del nostro dettato costituzionale, che voi stessi apprezzate ancora oggi: perché questa nostra Costituzione è ancora oggi viva, attuale, qualcuno addirittura dice a ragione dice che in alcune parti deve essere ancora attuata. Il suo contributo quindi ai principi fondamentali e al sistema dei diritti e delle libertà, sia in riferimento all’assetto dei pubblici poteri.

Quello dei cattolici fu certamente un contributo decisivo, non solo perché la democrazia cristiana era l’aggregazione politica più numerosa presente in Assemblea costituente, ma soprattutto perché quelle donne e quegli uomini, pur mostrando diverse sensibilità, seppero esprimere, negli anni decisivi della ricostruzione, una vivacità, addirittura un’originalità di pensiero e di elaborazione politica, giuridica, economica tale da imprimere un indirizzo decisivo al lavoro costituente.

Questa originalità e freschezza di pensiero ha molte cause, una in particolare riconducibile ad una particolare contingenza storica. Durante gli anni del fascismo, l’unica associazione non fascista che riuscì a sopravvivere con un significativo margine di autonomia fu l’Azione cattolica, la cui autonomia, contro le pretese egemoniche del regime, fu difesa da Pio XI con l’enciclica Non abbiamo bisogno. Nelle fila dell’Azione cattolica poté dunque formarsi una generazione di intellettuali e di politici democratici che, a partire dal 1943, assunsero coraggiosamente la responsabilità della cosa pubblica, elaborando - in un documento noto come Codice di Camaldoli - i tratti salienti del loro pensiero in campo politico e istituzionale. Già in quel fondamentale documento, come pure nei due contributi di Alcide De Gasperi - Idee ricostruttive della democrazia cristiana, diffuso clandestinamente il 26 luglio 1943 e La parola ai democratici cristiani, scritto i 12 dicembre dello stesso anno - emerge nettamente la duplice scelta in favore del primato della persona umana e del regime democratico rappresentativo, fondato sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri. Quello democratico-rappresentativo era riconosciuto come il miglior sistema politico, in coerenza con i Radiomessaggi di Pio XII, il quale - con lucidità e consapevolezza - parlò di risveglio democratico dei popoli dopo un lungo torpore invernale.

In tale prospettiva, la Costituzione - dopo gli anni della dittatura e la tragedia della guerra - avrebbe dovuto tradurre i nuovi valori in proposizioni normative, aprendo la stagione della democrazia e dei diritti, nella quale i cattolici avrebbero dovuto agire da protagonisti. Lo affermerà De Gasperi, pochi mesi dopo l’entrata in vigore della Costituzione, nella conferenza Le basi morali della democrazia, tenuta a Bruxelles nel dicembre del 1948: “se il regime democratico, veramente e liberamente attuato, è tale da lasciare agire e fiorire il fermento evangelico del cristianesimo, noi abbiamo diritto di sperare che tale energia dinamica fecondi e nobiliti la democrazia e sommuova e rinnovi tutta la civiltà; abbiamo il diritto di sperare e abbiamo anche il dovere di offrire alla democrazia il contributo della nostra filosofia, della nostra morale e della nostra tradizione”.

In questa prospettiva, possiamo affermare che il ruolo dei cattolici, prima ancora che nella definizione dei contenuti del testo, fu determinante nel porre un primo, decisivo interrogativo: quale Costituzione per la nascente Repubblica? Che significato essa avrebbe dovuto assumere all’interno dell’ordinamento giuridico? Grazie anche all’apporto di costituzionalisti di assoluto valore, come Costantino Mortati e Emidio Tosato, i cattolici si posero innazitutto il problema di superare le Costituzioni liberali e ottocentesche.

Le Costituzioni liberali del XIX secolo erano costituzioni brevi, perché, al di là del riconoscimento circoscritto di alcuni diritti di libertà, si limitavano a ricomprendere - come scriveva Jellinek - “le norme che designano gli organi supremi dello Stato e determinano il modo della loro creazione, i loro reciproci rapporti, la loro sfera di azione e inoltre la posizione fondamentale dell’individuo di fronte al potere statale”.

Per i cattolici, invece, la Costituzione avrebbe dovuto svolgerne una ben altra e più importante funzione, quella di contenere in sé i valori nei quali tutti i cittadini, al di là delle divisioni politiche e ideologiche, potessero riconoscersi, la visione del mondo sulla quale la comunità politica avrebbe formato un consenso unanime e duraturo. Costantino Mortati parlava, in proposito, di “costituzione materiale”: “la costituzione è anche una compagine sociale, che si esprime in una particolare visione politica, cioè in un certo modo di intendere e di avvisare il bene comune, dunque un “fatto normativo” fondante e condizionante la costituzione formale”: la costituzione come anima della πόλις che si fa custode di ciò che è buono e dalla quale può dipendere la qualità della vita dei cittadini.

 

Per questi motivi la nostra Costituzione, anche grazie all’apporto dei cattolici, non è una costituzione breve, ma è una costituzione lunga: gli scopi che l’ordinamento statale si prefigge di conseguire sono ampi, sono più estesi i settori materiali disciplinati, sono codificati in modo puntuale, i diritti e le libertà fondamentali, come pure i doveri di solidarietà politica, economica e sociale.

         In questa prospettiva, la rigidità della costituzione e il sindacato di costituzionalità delle leggi furono individuati come i più efficaci presidi di garanzia. Su questo i costituenti cattolici vinsero le riserve delle altre formazioni politiche, in particolare le riserve di sinistra, legate a una visione più marcatamente giacobina della Costituzione e all’idea, espressa nella Costituzione francese del 1793, che nessuna generazione potesse legare alle proprie leggi le generazioni future.

         Dobbiamo riconoscere che i costituenti cattolici offrirono al dibattito costituzionale un contributo di equilibrio e di sensibilità istituzionale, che condusse alla definizione di un avanzato e raffinato sistema di pesi e contrappesi, tale da assicurare al sistema politico italiano, anche nelle fasi più critiche e nei passaggi più difficili della storia repubblicana, la capacità di resistere all’urto di possibili deflagrazioni. Ancora oggi, pur nella consapevolezza di dover intervenire su alcuni istituti, al fine di rendere il sistema più efficiente nel suo complesso e allo scopo di avvicinare quanto più possibile i cittadini alle Istituzioni, occorre di tener conto di quel delicato equilibrio. Ogni intervento di revisione costituzionale presuppone comunque un’attenta verifica degli effetti che esso può produrre sul sistema istituzionale nel suo complesso. Ancora una volta, si mostra la straordinaria attualità il monito che ci giunge dai costituenti cattolici.

         Non v’è dubbio, però, che la cifra dominante del contributo dei cattolici all’Assemblea costituente è racchiusa nel riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Nell’articolo 2 è codificato il principio personalista, da cui la Costituzione deriva la sua organicità e la sua intera architettura. Giorgio La Pira fu certamente tra i più significativi interpreti di questa visione ideale della quale è permeata la nostra Costituzione: “il fine dello Stato - sono le sue parole - non è altro: riconoscere, garantire e, ove necessario, incrementare e promuovere questi fondamentali diritti dell’uomo; né questi diritti sono, perciò, i “riflessi” di quell’azione creatrice: quei diritti preesistono ad ogni statuizione positiva, perché si radicano nella natura e nella struttura della persona umana e della società umana”.

         D’altra parte, la cultura dei cattolici presenti in Assemblea costituente era fortemente nutrita dal pensiero di alcuni filosofi cattolici francesi.

Centrale fu l’apporto di Emmanuel Mounier e di Jacques Maritain che, soprattutto in due opere fondamentali - Umanesimo integrale e L’uomo e lo Stato - cercò di valorizzare un’interpretazione della società e dell’ordinamento giuridico fortemente orientata in senso umanista e, per questo, decisamente innovativa rispetto al passato. Al centro della riflessione filosofica vi è il riconoscimento delle prerogative inalienabili della persona che, fatta ad immagine e somiglianza di Dio, è irriducibile sia agli schemi dell'individualismo liberale sia al collettivismo marxista: La persona non va mai osservata esclusivamente nella sua astratta individualità, ma sempre considerata nella concretezza della sua esistenza, inserita nelle complesse dinamiche della società in cui vive. È forte, in questo movimento di pensiero, la consapevolezza del mistero dell’uomo, della sua grandezza e, conseguentemente, il convincimento che i diritti appartengono all’uomo in quanto tale, preesistono allo Stato: di qui il ricorso al verbo “riconoscere”, che ricorre spesso nel testo della Costituzione.

Da queste premesse discende che, al centro del sistema, non vi è lo Stato, l’“ingresso di Dio nel mondo”, secondo l’immaginifica metafora hegeliana, che ha tristemente alimentato le concezioni statolatriche del primo Novecento. L’errore più esiziale che può compiere lo Stato – è questa la tesi del personalismo – è proprio quello di considerarsi un tutto, “il tutto” della società politica. Al contrario, la struttura dell’ordinamento deve essere completamente rovesciata. Essa si manifesta come una piramide rovesciata, con l’uomo al vertice e lo Stato al suo servizio: “Lo Stato per la persona e non la persona per lo Stato”. Solo questa profonda “sacralizzazione” dell’uomo, a cui corrisponde una “desacralizzazione” dello Stato, può costituire l’antidoto ai totalitarismi di qualsiasi matrice, che possono manifestarsi, e purtroppo si manifestano ricorrentemente nella nostra storia, nelle nostre vicende politiche, e che oggi assumono anche la veste di totalitarismi di segno diverso, in campo politico, ma anche quelle dottrine economicistiche, che rappresentano delle espressioni e delle concezioni teoriche totalizzanti che dobbiamo.

Di fronte a una cultura che oggi è sempre più orientata, infatti, a “misurare” l’essere umano in base alla sua “resa” economica e sociale, che appare sempre più indirizzata a “rimpicciolire” la persona di fronte alla potenza dell’economia e della tecnica, il “contributo dei cattolici” costituisce ancora oggi un severo monito per tutti coloro che, pur muovendo da matrici ideologiche e culturali distanti, assumono responsabilità politiche.

Nella visione del personalismo cattolico, che tanto ha influito nel “laboratorio costituente”, fortemente esaltata è anche la vocazione “sociale” dell’uomo, essere naturalmente orientato alla relazione. Non solo dunque “primato della persona”, ma anche centralità della “dimensione sociale” della persona.

E qui ci sarebbe da rileggere le due encicliche di Leone XIII (la Rerum Novarum e la Graves de communi re) e l'enciclica Quadragesimo anno di Pio XI.  

 

L’uomo non è una “monade” di fronte allo Stato, ma si inserisce in un contesto di rapporti di natura affettiva, professionale, politica, che il diritto non può trascurare, ma che, al contrario, deve esaltare, secondo un criterio che Aldo Moro definì “socialità progressiva”, intesa come un “progressivo” ampliamento della persona, riguardata - secondo una struttura “a cerchi concentrici” - all'interno di aggregati sempre più ampi: la famiglia, la scuola, le associazioni, le confessioni religiose, i partiti politici, i sindacati, tutte le “formazioni sociali” di cui parla l’articolo 2 della Costituzione.

Questo tempo di crisi, nel quale vengono meno le diverse forme di “mediazione” tra il cittadino e il potere pubblico, rende profondamente attuale questa visione e offre alla riflessione politica e giuridica l’occasione per riconsiderare, attingendo al pensiero dei costituenti cattolici, forme e istituti con cui rafforzare la partecipazione dei cittadini alla vita politica e sociale.

Anche la visione del lavoro, supremo valore costituzionale, è stata fortemente influenzata dall’apporto dei costituenti cattolici, non solo nella definizione dell’articolo 1, la cui formulazione (“Repubblica democratica fondata sul lavoro”) fu voluta da Amintore Fanfani in contrapposizione alla formula, preferita dalle sinistre, “Repubblica democratica di lavoratori”, di più marcato carattere classista ed economicista. Ma quel contributo fu decisivo anche nella definizione del lavoro non come mera “fonte di reddito”, ma come presupposto imprescindibile della dignità di ogni essere umano. Il lavoro - nel pensiero dei costituenti cattolici - è lo spazio nel quale l’uomo esprime la sua personalità, contribuendo – come afferma l’articolo 4 della Costituzione - al progresso materiale e spirituale della società. Il diritto al lavoro non è solo un diritto sociale, ma è anche un diritto di libertà, che si radica nella natura morale dell’uomo, tanto che ciascuno dovrebbe poter lavorare secondo la propria possibilità e la propria scelta.

Più in generale in campo economico, sempre traendo ispirazione dalla dottrina sociale della Chiesa, i costituenti cattolici elaborarono una terza via tra liberalismo e marxismo, in grado di conciliare il riconoscimento dei diritti con le istanze sociali più avanzate. La critica all’individualismo liberale muoveva dalla sollecitudine evangelica verso i poveri e gli oppressi, ai quali, per un supremo dovere di giustizia, occorre fornire i mezzi necessari per poter vivere dignitosamente. Nello stesso tempo, in antitesi ai modelli collettivisti e a ogni forme di dirigismo interventista, l’azione riformatrice, volta a estendere quanto più possibile i benefici della vita associata, doveva avvenire attraverso la collaborazione, quanto più possibile fruttuosa, tra le classi sociali, secondo un modello - che sarà caratteristico della Democrazia Cristiana - interclassista, capace di porre in relazione, in vista di una loro pacifica composizione, interessi economici anche fortemente contrastanti.

La vocazione a fondare l’attività economica su un preciso quadro valoriale è al cuore delle teorie economiche e lavoriste dei costituenti cattolici; e qui dobbiamo citare ancora soprattutto di Amintore Fanfani, fortemente orientato a sostenere la necessità di astringere il sistema capitalistico a precisi controlli pubblici.

Oggi, in un mondo segnato da nuove e intollerabili diseguaglianze, nel quale il lavoro adeguatamente retribuito torna ad essere ahimè “privilegio di pochi”, nel quale nuove forme di sfruttamento pongono in discussione diritti che ritenevamo acquisiti per sempre al patrimonio delle nostre democrazie avanzate, in cui si acuiscono i conflitti tra la massa degli esclusi e i pochi privilegiati chiusi nelle loro “fortezze assediate”, di grande attualità può tornare ad essere la lezione del cattolicesimo democratico. L’attenzione che la Chiesa pone, con rinnovato interesse, ai temi sociali è il segno dell’emergere di nuove sfide, ai quali i cattolici non possono sottrarsi. Pensate ad esempio all’enciclica Laudato si’, insieme all’esortazione apostolica Evangelii gaudium che - pur in un mutato contesto geopolitico - potremmo considerare la Rerum novarum del XXI secolo; questi testi richiamano le coscienze dei cattolici a un potente risveglio dal torpore nel quale sembravano cadute; costringono a guardare, con rinnovata sollecitudine, alle tragedie del tempo attuale; chiedono di compiere ogni sforzo per ridurre le macroscopiche ingiustizie che attraversano la nostra società e che mettono in discussione, in misura non tollerabile, i diritti fondamentali della persona; richiedono la massima attenzione alla soluzione delle crisi planetarie - crisi di questi giorni, con particolare riguardo a quella ambientale oltre che alla crisi siriana; impongono di riconsiderare il rapporto tra economia e finanza, tra produzione e consumo, nella consapevolezza che l’uomo esprime valori che non possono ridursi al solo soddisfacimento di bisogni individuali, ma l’uomo persegue interessi che sfuggono alla egoistica logica del profitto. Ed è per questo che anche le teorie economiche tradizionali sono oggi in crisi, quelle fondate sulla scelta razionale: perché l’uomo non è solo fatto, intriso, di razionalità economica.

L’ulteriore profilo che vorrei mettere in luce, tra i tanti che il tema che mi è stato assegnato sollecita e suggerisce, è il valore della laicità. Questo principio non è affermato in modo esplicito in nessuna disposizione costituzionale: si è - se permettete - progressivamente disvelato ed è emerso, dalla trama del testo costituzionale, in una sua peculiare declinazione, certamente molto lontana da altri modelli di laicità che vediamo in altri ordinamento giuridici. Perché al tradizionale aspetto garantista, di matrice liberale, si affianca l’aspetto promozionale, in base al quale la laicità non è avvertita come esclusione degli interessi religiosi dei cittadini dallo spazio pubblico e dall’area di intervento dei pubblici poteri, ma il principio di laicità è da noi inteso come riconoscimento del ruolo del fattore religioso, nella consapevolezza dell’apporto che quella dimensione - in una sfera plurale e polifonica - può offrire al dibattito pubblico. E ci sono ovviamente vari articoli della Costituzione da cui traiamo fondamento e fondiamo questa interpretazione, questo modello di laicità fortemente inclusivo.

Mi avvio a conclusione perché mi rendo conto che sto abusando della vostra pazienza.

Dobbiamo però chiederci: cosa resta oggi di questo patrimonio straordinario di cultura politica?

Certamente il patrimonio di idee e di valori, che la tradizione politica del cattolicesimo democratico ha elaborato nel XX secolo, rappresenta una risorsa etico-politica alla quale poter attingere, anche muovendo da prospettive differenti, con lo scopo di individuare i percorsi più efficaci per realizzare il bene comune. D’altra parte, il cristianesimo è una religione “incarnata”: per un cristiano ogni fuga dalla responsabilità “politica”, da una prospettiva di cura e di responsabilità, è una fuga dal mondo, è un tradimento della propria missione. Ne erano pienamente consapevoli i cattolici che parteciparono prima alla lotta di liberazione nazionale e, poi, all’Assemblea costituente, assumendosi la responsabilità della costruzione del nuovo Stato democratico.

Certamente il nuovo umanesimo (mi avete sentito menzionarlo spesso) al quale è ispirata la mia azione politica e che alimenta il mio impegno al servizio del Paese, trae nutrimento da quel patrimonio di valori che merita di essere attualizzato e vivificato, per i tratti di sorprendente modernità che vi si scorgono e, soprattutto, per la sua capacità di offrire risposte ai bisogni più profondi dell’uomo contemporaneo, attraversato da nuove paure e da un rinnovato senso di smarrimento, di finutidine.

 

 

 

 

Dopo decenni di ritiro dalla politica, ai cattolici serve comunque un sussulto di responsabilità e, senza indulgere in ripiegamenti identitari o abbracciare posizioni temporaliste, è chiesto di animare la vita politica e sociale, collaborando, laicamente e con metodo democratico, alla vita della “città terrena”, per offrire il contributo della propria visione dell’uomo e della società, che tanta parte ha avuto nella costruzione dei nostri ordinamenti democratici, come pure della casa comune europea, al quale attesero, in spirito di collaborazione, tre grandi democratici cristiani: De Gasperi, Adenauer, Schuman.

Ci si può interrogare se questo sia il tempo di una rinnovata unità politica dei cattolici. Se oggi si avverta la necessità o anche l’opportunità di una compagine partitica organizzata dai cattolici. Forse, più che di una rinnovata “democrazia cristiana”, ragionerei, come suggeriva Pietro Scoppola, di una rinnovata “democrazia dei cristiani”.

Una rinnovata presenza dei cattolici nella politica italiana può costituire, infatti, una preziosa risorsa etico-politica utile a declinare, tra le altre cose, i termini e i contenuti di un nuovo umanesimo che muova dal primato della persona, colta nella concretezza della sua dimensione esistenziale e sociale, per fornire risposte alle molteplici sfide a cui la nostra epoca espone l’essere umano: che vanno dal potere della tecnica che tende a sopraffarlo, dalla globalizzazione che tende a emarginarlo, dalla imperante visione economicistica che tende a esiliarlo ai margini del consorzio sociale, da una rivoluzione info-telematica che rischia di anonimizzarlo.

Oggi più che mai i cattolici sono chiamati a fornire il loro contributo di idee, di cultura politica e istituzionale, di credibilità personale, di passione civile. Oggi più che mai i cattolici sono chiamati, coraggiosamente, a fornire la loro testimonianza misurando lo scarto che esiste tra gli aneliti religiosi e le difficoltà secolari.

In definitiva, e concludo, a distanza di quasi cento anni, pur in un contesto politico, sociale ed economico profondamente diverso, rimane attuale l’appello all’impegno in politica dei cattolici fatto da Sturzo e la sua esortazione ad essere “liberi e forti”.

(Il discorso del presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad Avellino, in occasione della cerimonia di commemorazione per il centenario della morte del parlamentare della Democrazia Cristiana ed ex ministro Fiorentino Sullo)

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