Leone fu un mediocre Presidente. Eccessiva la beatificazione post-mortem - Affaritaliani.it

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Leone fu un mediocre Presidente. Eccessiva la beatificazione post-mortem

Pietro Mancini

Eccessiva la beatificazione, post-mortem, di Giovanni Leone (1908-2001), ricordato dal “Corriere della Sera”, con una lunga intervista, in ginocchio, di Aldo Cazzullo alla vedova. Contro di lui, fu scatenata una violenta e infondata campagna, con articoli su “L’Espresso”, diretto da Scalfari, e un libro, vergati da Camilla Cederna- bocciata da Indro Montanelli, sul “Corriere”-sulle presunte tangenti, versate dalla Lockheed. 

Il penalista di Napoli era asceso al Colle, grazie ai voti del MSI, dopo il  niet della DC ad Aldo Moro. E don Giovanni, candidato di riserva, deluse. Fu, certo, uno dei peggiori Capi dello Stato e si dimostrò inadeguato a occupare la più alta carica istituzionale.

Nell’intervista a donna Vittoria, non è stato riferito ai lettori che, tra le migliaia di pagine del dossier Lockheed, emerse anche un assegno, firmato dalla moglie di Leone a favore dell’avvocato Antonio Lefebvre. La signora dichiarò trattarsi della restituzione di un prestito, ma la spiegazione non apparve convincente. 

Giovanni Leone, esimio penalista di Napoli ma politico tutt’altro che acuto, non capì, in tempo, la complessità e la durezza della manovra, che si era andata sviluppando attorno al Quirinale. Si dimostrò incapace di opporsi alle ambizioni e alle pressioni, che gli venivano dal suo entourage familiare e napoletano. E, a differenza di altri presidenti democristiani, che lo avevano preceduto, non fu capace di resistere agli intrighi e agli oscuri giochi politici.

Il PCI  decise che la situazione non fosse più sostenibile e che fossero opportune le dimissioni dell’inquilino del Colle, per consentirgli di «affrontare, in piena libertà, e senza gli inevitabili condizionamenti della carica, la difesa del suo operato».

Ad Andreotti e Zaccagnini, capi della “Balena Bianca”, che salirono al Quirinale, per comunicargli le pressioni comuniste, Leone non oppose obiezioni o resistenze. La sera stessa, diede le dimissioni. E, con tutta la sua famiglia, abbandonò il Quirinale, per stabilirsi alle Rughe, un villone sulla Cassia, poco lontano da Roma, dove è vissuto fino alla morte.

Nessun cenno, nell’articolo del quotidiano milanese, alla  fotografia dell' autunno '75, rimasta, tristemente, famosa. Prima di salire in macchina, rivolto agli studenti dell' Università di Pisa, che lo avevano accolto con slogan ostili, il Presidente alzò la mano destra, facendo le corna. E fece le corna, anche con la mano sinistra, all' altezza dell' inguine. Un gesto, molto volgare, che suscitò proteste. 

Qualche caduta di gusto sarebbe, certo, stata perdonata al successore di Saragat se non si fossero fatti sempre più insistenti gli episodi, che configuravano il Quirinale come un centro di favori e di affari, gestiti da vari membri della famiglia di Leone e dai suoi amici. Tra questi, c' erano il fratello, don Carlo, titolare di uno studio di avvocato a Napoli, e il figlio, Mauro, allora appena trentenne, che veniva pian piano promosso alla carica, inesistente nel nostro ordinamento, di "vicepresidente". Una volta, arrivò al Quirinale Aldo Moro, allora Presidente della Dc, e Mauro era seduto, come sempre, a fianco del padre. Lo statista pugliese fece cenno che voleva restare solo con don Giovanni. Questi, un po' imbarazzato, chiese: "Ma che, o' guaglione non lo vulite?". Moro fece di no con la testa e Mauro dovette uscire.

George Pompidou, Presidente della Francia, invece, non seppe dire di no quando, in occasione di un viaggio di Leone a Parigi, gli venne avanzata la richiesta d' insignire il "guaglione" della Legion d' onore. I fratelli Leone- i "tre monelli scatenati", come li definì nel suo pamphlet Camilla Cederna, benché allevati con severità da una governante inglese, dimenticarono ogni costume di sobrietà e riserbo, quando entrarono al Quirinale. Nelle loro uscite mondane, erano accompagnati dalla scorta a sirene spiegate. Il padre, indulgente, chiuse entrambi gli occhi, senza rendersi conto che anche queste avventurette, troppo esibite, sarebbero diventate, come avvenne, un capo d' accusa contro la sua gestione.
Favoritismi, piccoli intrighi, cattive amicizie, scandaletti rosa, manie di grandezza, affari. Tutto questo non avrebbe avuto conseguenze politiche gravi se non fosse scoppiato, nel '75, lo scandalo Lockheed.
Alla fine, venne accertato che le tangenti erano state realmente versate, ma non a Leone. Una tranche venne incassata dal ministro socialdemocratico, Mario Tanassi, che venne condannato, un' altra da un personaggio del sottobosco politico, che spacciava il nome di Luigi Gui, DC, della terza tranche, non si è conosciuto mai il beneficiario. È verosimile che sia finita nelle tasche di uno dei fratelli Lefebvre, amici intimi del Presidente della Repubblica, a cui, nel luglio del 1978, subentrò il socialista, onesto e stimato, SANDRO Pertini (1896-1990).