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Politica
Lia Levi, quando le parole non bastano: la scrittrice evoca il fascismo

Lia Levi evoca lo spettro del fascismo contro Giorgia Meloni

La scrittrice ebraica Lia Levi, dopo che Giorgia Meloni aveva condannato senza “se “ e senza “ma” il rastrellamento del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943 ha commentato: "Una dichiarazione ineccepibile. Non possiamo e non dobbiamo agire o pensare in base a un preconcetto, basandoci solo sulle origini politiche o partitiche. L’essenziale è ciò che viene detto ora. Anche se, sia ben chiaro, noi non abbassiamo la guardia".  Ma cosa aveva detto la leader di Fratelli d’Italia in procinto di divenire la prima donna premier d’Italia?

"Il 16 ottobre 1943 è per Roma e per l'Italia una giornata tragica, buia e insanabile. Quella mattina, pochi minuti dopo le 5:00, la vile e disumana deportazione di ebrei romani per mano della furia nazifascista: donne, uomini e bambini furono strappati dalla vita, casa per casa. Più di mille persone furono deportate e di loro solo quindici uomini e una donna fecero ritorno. Nessuno dei bambini. Un orrore che deve essere da monito perché certe tragedie non accadano più. Una memoria che sappia essere di tutti gli italiani, una memoria che serve a costruire gli anticorpi contro l'indifferenza e l'odio. Una memoria per continuare a combattere, in ogni sua forma,  l'antisemitismo".

Non solo. La Meloni in mattinata aveva chiamato la presidentessa della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello alla quale aveva espresso “vicinanza e sostegno”. Quel giorno di 79 anni fa la Gestapo prelevò, soprattutto nella zona di Portico d’Ottavia nel centro di Roma, 1259 persone che furono deportate direttamente ad Auschwitz.

Lo stesso presidente del Senato Ignazio La Russa ha espresso analoga solidarietà al Capo della comunità ebraica milanese ma tutto questo non sembra mai bastare, come occorresse comunque fare sempre qualcosa di più. L’efferato atto è stato condannato sempre, anche ai tempi di Giorgio Almirante e dell’MSI e sinceramente non si capisce quale stigma storico possa avere ereditato Giorgia Meloni da una vicenda lontanissima, in cui lei non era ancora nata. 

Pochi giorni fa c’è stata l’ingerenza del governo francese con il ministro Laurence Boone che ha dichiarato: “Vogliamo lavorare con Roma ma vigileremo su rispetto diritti e libertà. Saremo molto attenti al rispetto dei valori e delle regole dello Stato di diritto” irritando non poco la Meloni stessa e gran parte del popolo italiano che si vede già sotto tutela da parte dei cugini d’Oltralpe.

La scrittrice ha poi ripreso il concetto: "Anche se dentro di noi può esserci un dubbio, comprensibile viste le radici politiche di Giorgia Meloni, dobbiamo sempre sperare che ci sia la reale e definitiva presa di coscienza morale e storica di ciò che è accaduto in quel 16 ottobre qui a Roma. La dichiarazione, lo ripeto, è ineccepibile e spero che ora non ci sia qualcuno che pensi a un mio sdoganamento o altro, per carità. Non abbassiamo la guardia, semplicemente la frase corrisponde alla verità. La memoria serve davvero a fare sì che un orrore non si ripeta".

Insomma la scrittrice ancora non si fida della Meloni a causa delle “sue radici politiche” non considerando il lunghissimo tempo trascorso e la profonda trasformazione che la destra italiana ha fatto sigillandola con la “svolta di Fiuggi”. Non vorremmo che insieme ai “professionisti dell’anti – mafia”, come li definì un grande scrittore come Leonardo Sciascia, ci siano anche i “professionisti del rastrellamento”. Continuare ad addossare dubbi e sospetti odierni sul passato è come dire che Papa Francesco è responsabile della Santa Inquisizione o San Paolo della persecuzione dei cristiani e dell’uccisione di Santo Stefano, non a caso definito dalla Chiesa cattolica protomartire. E’ tempo che certe ferite siano richiuse lo chiede la Storia, lo chiede il popolo italiano che lo ha decretato con il suo voto democratico dello scorso 25 settembre.

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