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Politica
Mattarella, un discorso banale che non migliorerà il Paese. L'EDITORIALE

Giuro di non avere nulla contro il Presidente Sergio Mattarella. Lo considero anzi il migliore dei presidenti degli ultimi decenni. È vero, parla in un modo stentoreo e quasi ultimativo, ma è il suo stile. Probabilmente non può farci niente. Non più di quanto Franco Locatelli sia colpevole del suo modo comico di parlare, che Maurizio Crozza ha reso immortale. Né l’intonazione di Mattarella né il salmodiare di Locatelli sono strumenti adeguati per giudicare il più alto magistrato italiano o un accademico d’Italia, che è anche Presidente del Consiglio Superiore di Sanità.

Inoltre Mattarella, per servizio istituzionale, è obbligato a snocciolare sciocchezze speranzose e benedicenti, e va notato a suo merito che non ce ne propina più dell’assoluto minimo. Infatti il suo discorso di avant’ieri sera è durato solo quattordici minuti. Mentre altri Presidenti hanno annoiato anche le mucche con discorsi interminabili.

IL DISCORSO DEL PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA

L’affermazione che il Presidente dice sciocchezze non è ingiuriosa. Se al contrario dicesse cose significative, coraggiose e, per ciò stesso, divisive, non soltanto formalmente esorbiterebbe dal suo compito istituzionalmente super partes, ma sostanzialmente farebbe venir meno la fiducia nella sua imparzialità.

Il difetto è nel manico: nell’allocuzione di fine anno. Come diceva Wittgenstein, di ciò di cui non si può affermare nulla di ragionevole, è meglio tacere. Ecco perché, se fossi il Presidente, starei ancor più zitto del primo Cossiga. Del resto Mattarella non rischia di essere scambiato per un uomo di paglia. Ha già dimostrato di essere capace di azioni energiche e risolute quando – essendo poi minacciato, non ridete, di “impeachment”, non ridete, da Luigi Di Maio – rifiutò di controfirmare la nomina a ministro di Paolo Savona.

 

Purtroppo la tradizione italiana è quella che è: se agli italiani piacciono gli sproloqui resistenziali di Sandro Pertini, amen. In democrazia, comanda il popolo. I discorsi in partenza dal Quirinale sono un male necessario, ma da qui a prenderli sul serio, ce ne corre.

Il Presidente ha invitato i politici italiani a sfuggire alla tentazione di “illusori interessi di parte”. Che è come invitare le iene a resistere alla tentazione di mangiare carne di venerdì. Chi può credere che le ipotesi di crisi che percorrono Roma in tutte le direzioni dovrebbero fermarsi dinanzi all’emergenza pandemica? Mattarella fa finta di non sapere che, se il governo dovesse cadere, malgrado l’attaccamento alla poltrona di tutti i parlamentari, sarà perché essi non saranno stati capaci di resistere, anche se sostenuti dal più forte degli istinti, quello della sopravvivenza. Figurarsi quanto badino alla pandemia. Se già in tempo di pace non hanno previsto che i vaccini non soltanto bisogna averli, ma anche inocularli. A milioni.

A proposito di vaccini, è in corso in Italia una sceneggiata surreale. Si parla di renderli obbligatori, mentre è chiaro che non basteranno per tutti. Che sarebbe come obbligare mille persone ad entrare in una stanza di quattro metri per quattro. E poi hanno condito questo problema con un errore di comunicazione: i cittadini sono stati invitati a vaccinarsi per il bene della nazione, di cui non importa niente a nessuno, mentre sarebbe stato sufficiente ricordare: “Chi non si vaccina rischia di morire. Se non volete morire e assassinare i vostri cari col contagio, cercate di vaccinarvi. Purtroppo di vaccini non ce n’è abbastanza per tutti”. Ecco un discorso che avrebbe trovato orecchie attente: perché fa realisticamente appello all’interesse dei singoli.

Né diversamente vanno le cose riguardo all’invito del Presidente a non sperperare gli oltre duecento miliardi (spalmati su cinque anni) che aspettiamo dall’Europa. Come se, dagli Anni Settanta del secolo scorso, i politici italiani fossero capaci di altro. Basti dire che, in occasione di questa pandemia, il governo ha già speso (in deficit) oltre centoquaranta miliardi in sussidi, senza un piano per rilanciare l’Italia e la sua economia. Fra qualche mese, quando la pioggia di banconote dovrà fermarsi, ne vedremo delle belle.

Ascoltiamo Mattarella: “Il piano europeo per la ripresa, e la sua declinazione nazionale - che deve essere concreta, efficace, rigorosa, senza disperdere risorse - possono permetterci di superare fragilità strutturali che hanno impedito all'Italia di crescere come avrebbe potuto". Mi piacerebbe poterlo prendere a parte e chiedergli: “Presidente, lei è un galantuomo. Crede realmente di potere usare senza ridere espressioni come ‘concreta, efficace, rigorosa, senza disperdere risorse’?”

Il 2021, proclamano tutti, deve essere l’anno della ripartenza. Per me sarà l’anno in cui anche i ciechi e i sordi si accorgeranno dei guasti del 2020 e - a mano a mano che passeranno le settimane – di quelli del 2021.

È l’ora dei costruttori. Sarà pure l’ora, ma all’appello mancano proprio i costruttori. Fra l’altro, con la pandemia, molti di loro sono falliti senza colpa. Inoltre, quando i politici parlano di rilanciare l’economia, piuttosto che pensare a lasciare ai costruttori la libertà di lavorare, pensano keynesianamente agli investimenti in deficit dello Stato. Cioè a nuovi debiti e nuovi sperperi. Fanno parte dei costruttori quelli che tengono in piedi l’Alitalia o sovvenzionano l’Ilva di Taranto?

Il polso dell’Italia ce lo dà Giuseppe Conte il quale ha commentato il discorso del Presidente con queste parole: “Sono certo che ce la faremo” E pensando che nel 2019 aveva detto che il 2020 sarebbe stato “un anno bellissimo”, sappiamo cosa aspettarci.

Ossignùr, in che mani siamo.

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