Politica
Premierato, un'avventura pericolosa che non cambia il Sistema
L’elezione diretta del premier è irrilevante: un mero specchietto per le allodole
NUOVE PROPOSTE SUL “PREMIERATO”
La riforma del “premierato” è un progetto programmatico del governo Meloni al quale i proponenti danno particolare importanza, addirittura “la madre di tutte la riforme” secondo la Presidente del Consiglio. Dovrebbe dare stabilità ai nostri governi e quindi permettere loro di ben operare. Permetterebbe di raggiungere la tanto agognata e sempre sfuggente “governabilità”. Su questo progetto è intervenuto negli ultimi giorni un gruppo di studiosi –giuristi e politologi- con alcuni significativi emendamenti. Mi propongo di illustrare brevemente il progetto governativo, le modifiche proposte dai tecnici, e poi discutere l’uno e le altre.
Noi siamo una Repubblica Parlamentare. Cosa vuol dire? Notiamo che tra gli organi di rilievo costituzionale solo il Parlamento è eletto dal popolo. Il Presidente della Repubblica, che è il Capo dello Stato, è eletto da un ricco corpo elettorale che comprende le due Camere e i rappresentanti delle Regioni; il Presidente del Consiglio dei Ministri, che, come i Ministri, non deve essere un parlamentare, nominato dal Presidente della Repubblica dopo ampie consultazioni con i gruppi politici presenti in Parlamento, riceve la sua investitura dal Parlamento all’atto di esporre il suo programma e presentare il suo governo per chiederne la fiducia, di cui ha bisogno come tutti noi dell’aria. L’organo cardine del sistema è dunque il Parlamento.
Questo sistema, che occorre con diverse varianti in numerosi paesi europei, va valutato nel suo complesso. Mentre può aver senso voler passare a un sistema diverso, ad esempio presidenziale, in cui il Capo dello Stato è anche capo del governo ed è eletto direttamente dal popolo, non ha senso dire che il Capo del governo ha nel secondo sistema una “legittimazione democratica” di cui è privo nel primo. Dunque nel progetto di riforma del governo Meloni il Presidente del Consiglio viene eletto dal popolo, ma sarebbe ridicolo dire, come purtroppo il testo dice, che sarebbe “legittimato dal popolo”. Al Presidente della Repubblica non resterebbe che prendere atto dell’esito elettorale che lo ha scelto, e inviarlo al Parlamento.
Di per sé, questo non cambierebbe di molto il rapporto tra Presidente del Consiglio e Parlamento, perché sempre della fiducia del secondo il primo avrebbe bisogno. L’istituto della fiducia non verrebbe eliminato ma solo ritoccato e indebolito. Che cosa dunque darebbe al nuovo Presidente del Consiglio una posizione di forza nei confronti del Parlamento? Perché è questo il risultato che si cercherebbe. Come spiega un diligente espositore del progetto Meloni, “il Presidente del Consiglio sarebbe eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. La modifica imporrebbe anche una legge elettorale, rispettando i principi di rappresentatività e governabilità, che assegni un premio di maggioranza su base nazionale che garantisca il 55% dei seggi nelle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri.”
Ma come potrebbe un premio di maggioranza di questa entità rispettare i principi di “rappresentatività e governabilità”? Questo è del tutto irrealistico.
Altro che apportare “legittimazione democratica” al sistema parlamentare! Vediamo allora la recentissima proposta degli esperti: “La candidatura alla carica di Primo Ministro avviene mediante collegamento con i candidati all’elezione delle Camere, secondo modalità stabilite dalla legge elettorale, di tipo maggioritario, che prevede altresì la pubblicazione dei nomi dei candidati Primo Ministro sulle schede elettorali. Il Presidente della Repubblica, alla proclamazione dei risultati per l’elezione delle Camere, nomina Primo Ministro il candidato indicato a tale carica al quale è collegata la maggioranza dei parlamentari eletti.”
E’ sparita l’aperta menzione dell’oltraggioso premio di maggioranza, ma la sostanza è invariata. Una legge maggioritaria assicurerà la sopravvivenza parlamentare al candidato del raggruppamento vincente, con il 30%, magari il 20% dei voti. L’elezione diretta, di per sé, è irrilevante: un mero specchietto per le allodole. Quello che conta è la legge elettorale, una “legge maggioritaria” che non potrà soddisfare il principio di rappresentatività. Non passerà un qualsiasi controllo di costituzionalità. Che grandi esperti questi “esperti”!
Ma si possono fare ancora due osservazioni. Primo, il sistema proposto avrebbe un effetto di frammentazione piuttosto che di consolidamento delle forze politiche. Infatti a qualsiasi gruppo converrebbe tentare di mettersi in proprio, perché potrebbe aspirare a vincere anche con percentuali irrisorie di voti. Secondo, perché mai la Presidente Meloni vuole tentare questa avventura? Ha una maggioranza comodissima che le permette di fare quello che le pare. Anche senza premio che le garantisca il 55% dei seggi. Perché allora concupire il 55% dei seggi?