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Palazzi & potere
Bruxelles si comporta come se non ci fosse il nuovo europarlamento

L'unione europea, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi, è stata una grande invenzione istituzionale, prodotta per reazione a un'immensa tragedia, di cui oggi gli europei non possono fare a meno. Ma è anche una costruzione che deve essere perfezionata perché così non sta più in piedi. Assomiglia infatti a quei giovanottoni di un tempo che, quando esplodevano fisicamente nell'adolescenza, non potendo acquistarsi nuovi vestiti, avevano camicie che non si chiudevano più, scarpe rese estive decapottandole sulle dita per farle respirare, pantaloni all'inguine perché non arrivavano più a metà coscia. L'Europa unita di oggi è un'entità demografica rilevantissima (più di mezzo miliardo di abitanti ad alto reddito, ad alta istruzione e ad alto welfare), e dispone di una struttura industriale e produttiva molto importante, con un potenziale di innovazione e di ricerca al top nel mondo.

Ma un'entità così importante, nei fatti, è sbriciolata fra 28 stati, ognuno dei quali, per il momento legittimamente, intendiamoci, esprime la sua politica estera e militare. Per responsabilità della Francia (che silurò ai tempi di De Gaulle la Ced, cioè la Comunità europea della difesa e successivamente impallinò anche la Costituzione europea; e adesso se la prende con il sovranismo degli altri) e per acquiescenza della Germania, la Ue non è una comunità di 28 stati ma un'unione che, da una parte, è comandata da due soli paesi (Francia e Germania, appunto) e dall'altra viene guidata da una Commissione paraburocratica e onnipotente, non eletta direttamente da nessun cittadino europeo e sotto la quale il Parlamento europeo svolge la funzione di orpello per dare l'idea (che non è assolutamente vera) che la Ue è un organismo democratico che trae il suo potere dal popolo come avviene a livello nazionale per tutti i paesi che la compongono.

Il Parlamento europeo è una finzione di Parlamento. Ma fingere una istituzione così importante significa minare alla base l'intera struttura comunitaria, mettendone programmaticamente in discussione la sua legittimità e finendo per ridicolizzarla. E ridicolizzare un parlamento è il massimo dell'offesa alla democrazia che si possa fare, anche se si fa finta che ciò non sia vero.

Fino a pochi anni fa il Parlamento europeo era concepito come una sorta di ricovero per politici a fine carriera, o totalmente bolliti, che però lavorano poco (4 o 5 giorni al mese) e percepiscono stipendi da favola. Basti pensare che, tutt'ora, il Parlamento europeo non può nemmeno proporre nuove leggi. Tuttavia quello che l'istituzione europea, bloccata da interessi corposi ma accuratamente dissimulati, non è riuscita a fare, l'ha fatto il popolo europeo in quest'ultima elezione continentale che è stata vissuta e combattuta come un'elezione vera, non con paesi che si combattevano come nazioni ma con idee e formazioni di livello comunitario che si stavano affermando attraverso la lotta.

Il merito di questa spontanea e recente evoluzione democratica del Vecchio continente è dovuta paradossalmente (ma anche molto concretamente) all'emergere di paesi cosiddetti sovranisti. Un termine, questo, usato come epiteto anziché essere espressivo di opinioni politiche. Oltretutto, come tutti i termini diciamo così ideologici, degenerati dagli interessi della battaglia politica, essi partono molto spesso come collettori di idee ma poi finiscono per trasformarsi in oggetti contundenti. Questa degenerazione, per quanto sia deprecabile, è anche inevitabile, nel senso che non c'è nulla da fare perché le cose non vadano così. L'importante però è rendersi conto che esse vanno così, perché, in questo modo, gli elettori si mitridatizzano alla demagogia.

Le recenti elezioni europee, per la prima volta in quest'ultima tornata elettorale, hanno infranto i confini nazionali, o, meglio, hanno cominciato a infrangerli. Le forze politiche, infatti, hanno smesso di agire imbozzolate nei loro paesi e hanno cominciato ad aprirsi alle altre nazioni, a cercare alleanze transnazionali e a capire che l'Europa la si costruisce se i partiti (e la gente) capiscono che è a livello europeo che si vince o si perde. Non in teoria, come si è sinora blaterato, ma in concreto, mischiando le carte politiche e partitiche.

Senonché, mentre le carte dei partiti politici si stanno fortunatamente e spontaneamente mischiando a livello continentale, la struttura istituzionale comunitaria resta bloccata a un precedente copione antidemocratico che è, impunemente, durato troppo a lungo e che la cupola di Bruxelles vorrebbe tenere ancora in piedi senza nemmeno tentare di fare un semplice lifting, se non altro per salvare la faccia. Per cui, ad esempio, si è assistito (dieci giorni prima del voto per l'elezione del nuovo parlamento europeo) a una riunione comunitaria pubblica e solenne (al solito egemonizzata da francesi e tedeschi) con la quale si sceglieva (alla luce del sole! Con il massimo, quindi, dell'impunità) la distribuzione dei posti nella futura Commissione europea.

Insomma, mentre era in corso una elezione europea per accertare come il popolo europeo intendeva distribuire il potere politico fra le varie formazioni partitiche in lizza, il parlamento (diciamo così per comodità) uscente, in effetti è la Commissione, iniziava le trattative per decidere il peso dei poteri che avrebbero dovuto uscire dal voto che, allora, era imminentissimo . Se non altro per decenza, la cupola comunitaria poteva rinviare di fare il suo spezzatino di potere, in attesa della sentenza delle urne. Invece, operando in questo suo modo, l'istituzione europea ha fatto lo sberleffo non al sovranismo, che è sempre possibile, ma alla democrazia, che è inaccettabile. Quousque tandem abutere patientia nostram? Fino a quando (Commissione) abuserai della nostra pazienza?

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