Coronavirus, ecco il "libro nero" - Affaritaliani.it

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Coronavirus, ecco il "libro nero"

Coronavirus, esce il "libro nero": retroscena e segreti della pandeamia che ha sconvolto l'Italia. Scritto da Andrea Indini e Giuseppe De Lorenzo

Al termine di questa lunga inchiesta sull'epidemia in Italia, scrivono gli autori Andrea Indini (Responsabile de IlGiornale.it) e Giuseppe De Lorenzo nelle conclusioni del libro, sono purtroppo più i quesiti che rimangono irrisolti di quelli a cui la scienza in primis e la politica in seconda battuta siano riusciti a dare risposta. Tanto per cominciare appare ancora avvolto nel mistero il luogo in cui si è verificato il «salto di specie» del nuovo coronavirus dal pipistrello. Sebbene i primi pazienti venissero tutti (o quasi) dal mercato Huanan di Wuhan, gli studiosi sono sempre più convinti che le ricerche vadano svolte altrove. «Abbiamo individuato lì il Sars-CoV-2 in campioni come maniglie di porte, la pavimentazione e gli scarichi, ma non in campioni di animali surgelati - ha spiegato Shi Zhengli - il wet market potrebbe essere stato solo un luogo affollato dove si è verificato un focolaio». Riuscire a capire da dove arriva veramente il virus non è un esercizio di ricostruzione storica, ma è di vitale importanza per evitare altri errori. Gli stessi, per esempio, che sono stati fatti quando ci siamo trovati ad avere a che fare con la Sars e che al tempo era stata arginata più facilmente. La pandemia, che sta ancora piegando il mondo a tutte le sue latitudini, si è rivelata molto più devastante del previsto, sia in termini sanitari che in termini economici. Ma potrebbe a sua volta rivelarsi addirittura più «leggera» di una possibile futura malattia causata da un altro «nuovo»  patogeno, che magari sta già covando nelle grotte dello Shitou o nelle miniere di Moijang. Potrebbe trattarsi di un altro coronavirus o forse, come già accaduto nel 2016 quando furono sterminati oltre 25mila maiali, di un morbo legato alla dissenteria acuta, la Sads. Tornando indietro al 26 dicembre 2019, quando i medici cinesi si accorgono delle prime «polmoniti di origine sconosciuta», una certezza balza subito all'occhio: al netto degli inganni del Dragone e dei sotterfugi politici dell'Organizzazione mondiale della sanità, tutto il mondo si è fatto cogliere completamente impreparato. Eppure, come abbiamo dimostrato nell'antefatto di questo libro, c’erano state numerose avvisaglie di quanto poi sarebbe successo. Perché i governi, soprattutto quelli dei paesi più ricchi, hanno preferito guardare da tutt'altra parte? Perché, anziché sperperare denaro in voci inutili, non hanno voluto subito investire nel capitolo più importante, quello cioè legato alla salute pubblica? C'è un passaggio molto interessante nell'ultimo libro di David Quammen, L'albero intricato: «La vita nell'universo, per quanto ne sappiamo e a dispetto delle nostre più vivide fantasie, è un fenomeno molto singolare, e circoscritto al pianeta Terra. Ci sono una miriade di ipotesi e speculazioni probabilistiche che assumono il contrario, ma nessuna prova. Le probabilità matematiche e le condizioni chimiche sembrano effettivamente suggerire che la vita dovrebbe esistere anche altrove. Ma la concreta realtà di una forma di vita alternativa, ammesso che ci sia, è finora sfuggita a ogni tipo di indagine. È una supposizione, mentre la vita sulla Terra è un dato di fatto». Perché, dunque, non preservarla? Continua il saggista americano: «La vita è una storia che si è svolta soltanto qui, su una sfera di roccia relativamente piccola, in un angolo trascurabile di una galassia di medie dimensioni. È una storia che, sulla base delle informazioni di cui disponiamo, ha avuto luogo una volta sola. La forma assunta da questa storia, nelle linee generali così come nei più minuti dettagli, riveste quindi un certo interesse». Eppure. Eppure alla difesa della vita il governo cinese ha preferito anteporre i propri interessi politici. Lo stesso ha deciso di fare l'Oms, sottraendo al mondo intero settimane preziose per capire come si comportava il virus all'interno del corpo umano, come lo aggrediva e come, nelle persone più deboli, provocava la morte. Come potremo ancora considerare affidabile un istituto che il 14 gennaio aveva ancora il coraggio di negare la trasmissione del virus da uomo a uomo? Sulla scia di questi errori (molti dei quali voluti o colpevolmente non evitati), i governi occidentali hanno capitolato. Uno dopo l'altro. Il contagio è arrivato nel Vecchio Continente molto prima di quanto sia stato comunicato al pubblico. Perché, per esempio, la Germania non ha portato in sede europea l'esistenza di un focolaio alle porte di Monaco, permettendo agli infetti di andarsene al mare delle Canarie o sulle piste da sci austriache? Perché quando il grande malato d'Europa era l'Italia nessuno ha mosso un dito per aiutarla? Gli egoismi di Bruxelles sulle forniture dei materiali sanitari hanno mostrato, ancora una volta, la fragilità dell'Unione europea. E Roma si è trovata sola. Probabilmente il governo Conte ha dovuto gestire una situazione più grande di sé. Pd e M5s non erano pronti a farlo. E così gli errori si sono sprecati. La mancanza di umiltà ha trasformato decisioni, che andavano prese per il bene del Paese, in dialettica politica inutile. Lo dimostra la gestione (grossolana) dell'istituzione della zona rossa in Val Seriana. Forse, come abbiamo visto, non si poteva fare altrimenti: impossibile chiudere tutti quei Comuni che, da Bergamo a salire, si inerpicano sulle valli. E poi, quando hanno iniziato ad arrivare dati drammatici, c'erano altre zone nelle stesse condizioni. Se si fosse scelto di chiudere Bergamo, lo stesso si sarebbe dovuto fare con Brescia e Cremona. E che dire di Piacenza? Per miracolo la città nella Regione «rossa», e con un numero molto elevato di morti sulle spalle, non è mai stata toccata dalle polemiche. Perché? Perché tutto è politica. Come lo scontro sui tamponi, che il ministero della Salute non voleva venissero fatti agli asintomatici o ai parenti dei morti da coronavirus (salvo poi incolpare le Regioni di non averli fatti); o il braccio di ferro sulle autopsie, che fino all'ultimo sono state sconsigliate nonostante si sapesse che avrebbero potuto svelare particolari importanti sul modo in cui il virus danneggia l’organismo. I pasticci fatti con i decreti e le direttive emanate in fretta e furia dall'esecutivo sono figlie di questa approssimazione. Un'approssimazione generata probabilmente anche dagli scontri intestini tra scienziati. Mai come questa volta hanno dato dimostrazione che sarebbe meglio parlare sulla base di dati certi e non seguendo l’emozione del momento. Virologi e infettivologi sono riusciti a fare peggio dei politici che, a loro volta, anche davanti a una situazione  di così grave  portata, sono riusciti a dire tutto e il contrario di tutto. Prima hanno rassicurato i cittadini («siamo pronti»), poi li hanno illusi («andrà tutto bene») e infine terrorizzati («va protratto lo stato di emergenza»). La verità è che la politica ha deciso mettersi nelle mani degli esperti pur di non prendere decisioni complesse. Il ministero della Salute, che inizialmente aveva seguito i contagi a Wuhan, si è trovato esautorato dalla Protezione Civile e da una sfilza di inutili task force. Per oltre venti giorni la struttura dell’emergenza è rimasta sostanzialmente inerte, senza prepararsi adeguatamente, finché non è stata investita dall’onda anomala. E così nessuno, quando il 27 marzo 2020 si spegnevano 969 vite nell'arco di appena ventiquattr'ore (il giorno più nero per l'Italia dall'inizio della pandemia), aveva ancora capito granché di come arginare il virus. Non lasciamoci trarre in inganno. Anche oggi che stiamo ultimando la stesura di questo libro e che già si parla di studi clinici per un eventuale vaccino, la comunità scientifica sembra brancolare nel buio. Nessuno sa ancora spiegare con certezza come si attiva il contagio e soprattutto come fa a dilagare. Nessuno sa mettere nero su bianco un vademecum (non allarmista) per evitare di esporsi inutilmente al virus. I balletti dell'Oms sull'uso delle mascherine e dei guanti ne sono la prova. Il risultato è stato trascinare il mondo intero in una terribile crisi economica, ben più grave di quella esplosa nel 2006 con la bolla dei subprime, perché più endemica e destinata a destabilizzare le fondamenta produttive di tutti i Paesi. A fronte di tutto questo viene da chiedersi se abbiamo imparato la lezione e se, poco alla volta, riusciremo a dare una risposta (sincera) a tutti gli interrogativi suscitati da questa terribile esperienza.. Il virus, infatti, che ha lanciato il suo attacco mentre eravamo impegnati a guardare altrove, ha messo in evidenza senza pietà i limiti drammatici della nostra capacità di analisi, della capacità di organizzare una reazione efficace ed efficiente, le debolezze del sistema sanitario, le fragilità del sistema economico, i gravi tentennamenti della classe dirigente. Al netto, ovviamente, di esempi singoli o anche collettivi di eroismo e dedizione. Guardare altrove, in guerra, è uno degli errori peggiori che si possa commettere. Insieme a un altro: quello di non marciare compatti contro il nemico comune.