Coronavirus, il conto lo pagherà l'Italia intera - Affaritaliani.it

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Coronavirus, il conto lo pagherà l'Italia intera

Coronavirus, il conto lo pagherà l'Italia intera

Non so se ci sia stata una regia unica planetaria, o se questo assurdo risultato sia stato prodotto dal caso, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi. Di fatto, nel mondo, oggi, l'Italia viene vissuta come l'epicentro della diffusione dell'epidemia del coronavirus. Una sorta di Chernobyl biologica. Paradossalmente, Codogno (che ha 15.962 abitanti) ricorre più frequentemente, nei resoconti dei media occidentali, che non la megalopoli cinese di Wuhan dove il 13 gennaio scorso venne registrata la prima morte da coronavirus. Wuhan, non solo ha un popolazione di 11 milioni e 800 mila persone (pari quindi a 740 volte la popolazione di Codogno), ma è anche stata la prima megalopoli nel mondo a essere completamente bloccata da questa epidemia.

L'Italia (di cui Codogno, nell'immaginario collettivo occidentale, è l'ombelico infetto della Penisola) è stata descritta (e viene vissuta) come il paese patogeno, maleodorante, infetto, pericoloso. Ciò avviene mentre in Francia, dove nessuno dice niente in proposito, è stata creata una zona rossa (identica a quella di Codogno) nella città di Creil, nel dipartimento dell'Oise, che, non solo ha più della doppio della popolazione di Codogno (35.575 contro 15.962 abitanti) ma si trova anche a soli 69 chilometri della metropoli di Parigi, alla quale è collocata con il Ter, che è una sorta di metropolitana che ogni giorno scarica, in soli 30 minuti, 18 mila pendolari che possono costituire una terribile miccia infettiva sulla capitale francese che, di abitanti, ne ha 2 milioni e 148 mila. Ebbene Codogno è Chernobyl, Creil invece è niente. Chissà perché è soprattutto come mai la realtà è stata travisata in questo modo.

Di fatto, il travisamento è già avvenuto, purtroppo, mentre il danno a carico dell'economia italiana che è, già adesso, immenso e, per di più, non facilmente arginabile nemmeno a coronavirus battuto, perché, questo, è un danno reputazionale, di immagine perciò profondo oltre che impalpabile. E perciò difficile da non dico cancellare ma nemmeno da arginare.

Ad esempio a New York nel supermercato Whole Foods (che è una specie di Natura Sì, appartenente ad Amazon), che sorge dalle parti di Central park, è scomparso dagli scaffali l'olio italiano che fino a qualche settimana veniva orgogliosamente esibito nelle posizioni di prestigio, a conferma della capacità di scegliere il top di questo prodotto da parte di un catena commerciale che pretende di collocarsi nell'alta gamma alimentare. La cliente che ha insistito per avere l'olio italiano si è sentita rispondere dall'addetta (che non è una semplice venditrice che consegna materialmente i prodotti o aiuta a trovarli ma anche una consigliera dei clienti) e che pure ha recuperato l'olio italiano pescandolo nella parte più alta e meno visibile degli scaffali: «Noi l'olio italiano ce l'abbiamo ancora ma lo vendiamo solo a chi ce lo chiede espressamente e non possiamo fare a meno di dirgli che, usandolo, il rischio di coronavirus è altissimo».

È a causa di questa paura nei confronti della supposta pandemia italica che anche Trump, in via precauzionale, ha sospeso i collegamenti aerei con Milano e Roma con compagnie statunitensi di primaria importanza e ha formalmente invitato i suoi cittadini di eliminare l'Italia come meta turistica e culturale, invitando i suoi connazionali che possono permettersi di farlo di rientrare al più presto nel loro paese d'origine. Inoltre dagli Usa questa psicosi si è diffusa a tal punto che gli importatori Usa (pur essendo chiaro a tutti che il coronavirus non si diffonde sui prodotti) sono arrivati a chiedere una certificazione di esenzione dal virus persino per le forniture di marmo. Inoltre nei consigli di amministrazione se è un componente italiano, che magari è tornato dall'Italia dalle scorse ferie estive, si soffia il naso scoppia il panico generale mentre se si soffiano il naso operatori di altre nazionalità, nessuno si preoccupa.

Come si spiega tutto ciò? Con l'immagine che l'Italia ha saputo dare di sé in queste ultime settimane. In nessun paese del mondo infatti il presidente del consiglio siede per ore e in diretta televisiva nella operation room della Protezione civile. Se il generale di corpo d'armata raggiunge le trincee, vuol dire che la guerra è persa e lui vuole dare a tutti un esempio di eroismo estremo, non per rovesciare l'esito del conflitto, ma per esaltare la sua figura personale. Se avesse voluto vincere la guerra si sarebbe tenuto lontano dalla linea del fuoco dove avrebbero dovuto operare i suoi ufficiali/funzionari, anche di alto grado.

Un premier che (finge) di guidare, per motivi mediatici, le operazioni di contenimento della pandemia sotto gli obiettivi della tv manda un messaggio preciso e probabilmente non adeguatamente valutato e che consiste in questo: la situazione è disperata perché è sfuggita di mano e come tale è stata percepita all'estero. Macron, ad esempio, non è andato in televisione per ore, non ha accusato l'ospedale di Creil di non aver fatto il suo dovere e anzi ha cercato di fare di tutto per minimizzarne l'importanza come focolaio E c'è riuscito, se nessuno ne ha parlato.

E che dire poi delle Tv italiane? Tutte (anche se chi più chi meno; e i telespettatori sanno chi sono le une e le altre) hanno giocato, per soli motivi di audience, la carta rovinografica, con collegamenti infiniti dove se ne sono viste di tutti i colori. Un giornalista alle prime armi ma inutilmente molto entusiasta accoglieva ai margini delle cosiddetta area rossa di Codogno urlando davanti a un'ambulanza in arrivo: «Ha i lampeggianti inseriti e la sirena innestata!», come se le ambulanze in servizio si muovessero in altro modo. Egli poi concludeva, senza sapere niente di cosa stava avvenendo: «Ci sarà dentro un ammalato grave di coronavirus che deve essere ospedalizzato d'urgenza». La colpa, intendiamoci bene, non è sua, ma dei suoi redattori capo che, anziché «restituirlo al lavoro dei campi» come si diceva efficacemente un tempo, gli avranno fatto anche i complimenti dicendogli: «Sai diffondere la paura e tenere su la tensione. Bravo!».

E che dire della Solona da talk show che è una disinvolta tuttofare che non sa niente di virologia ma che, interloquendo con un virologo che è più carico di riconoscimenti scientifici internazionali che non un mulo a piena soma durante la ritirata di Caporetto, lo tratta come se fosse un bambino che ha delle strane idee in testa. Non potendolo contrastare con gli argomenti scientifici (che non possiede) lo contrasta con i risolini saccenti o con trucchetti vecchi come il cucco ma che funzionano sempre come «le ripeto la domanda» che, detto con l'atteggiamento della madre superiore adirata, subliminalmente vuol dire: lei ciurla nel manico perché non mi capisce e non mi vuole capire.

Siccome una società libera vive di pesi e di contrappesi c'è da augurarsi che la corsa irresponsabile e forsennata all'audience, che altrimenti non è contrastabile, venga presto punita dagli inserzionisti che a lungo saranno pesantemente penalizzati nelle loro vendite da questi untori telematici.