Crisi della politica? E quella di tv e giornaloni, allora? Marco Pannella...
CRISI DELLA POLITICA ORMAI VISIBILE E CONCLAMATA, MA QUELLA DEI MAINSTREAM-MEDIA NON E’ MENO GRAVE.
A TV E GIORNALONI TRADIZIONALI NON CREDE PIU’ NESSUNO. UNA DERIVA CHIARA IN TUTTO L’OCCIDENTE AVANZATO.
IN ITALIA, IN PIU’, UNA PICCOLA (MA FEROCE) RETE DI COMPARI E COMARI, UN POLITBURO AUTOREFERENZIALE: SI LEGGONO FRA LORO, VANNO IN VACANZA INSIEME, SI OSPITANO FRA LORO, SI CITANO FRA LORO. SI ODIANO E SI INVIDIANO ANCHE: MA IN UN CONTESTO CHE E’ RIGIDAMENTE COMUNE.
ESSENZIALE ESCLUDERE OGNI DIVERSITA’, OPPURE INCLUDERLA MA SOLO PER OMOLOGARLA.
SU QUESTO, LE RAGIONI PRE-VEGGENTI DI MARCO PANNELLA...ANCHE SE ORA ASSISTIAMO A UNA “INVERSIONE” DEL TIPO DI QUELLE EVOCATE DA CARMELO BENE…
Si parla molto e giustamente (forse non abbastanza) della crisi della politica tradizionale, della sua largamente perduta credibilità. Di un ceto politico comunque disprezzato (quando lo merita e anche nei casi in cui non lo meriterebbe), squalificato, irriso, ridotto a una trentina di comparse intercambiabili sulle poltroncine dei talk-show televisivi.
Ma non si ragiona a sufficienza di un processo analogo, anche se più lento e meno visibile, che investe i media tradizionali: le grandi tv, i grandi giornali, i mainstream-media.
Non sono più giovane, ma sono vecchio abbastanza per ricordare un tempo in cui una cosa detta in tv o scritta su un quotidiano nazionale aveva di per sé un sigillo di autorevolezza, di credibilità, di ufficialità.
Oggi, e sia i dati di ascolto televisivo sia le cifre sulla vendita dei giornali ne sono testimonianze chiare, quei media non solo non sono più in grado di determinare l’agenda pubblica, ma nemmeno di farsi credere.
La deriva vale un po’ in tutto l’Occidente avanzato. In tempi di crisi dell’establishment tradizionale e delle vecchie élites, anche i grandi media (che sono naturalmente parte di quella realtà) soffrono.
In Italia, si aggiunge un sovrappiù tutto domestico, che è legato alla casta giornalistica, così feroce nel colpire la casta politica, e così autoassolutoria rispetto a se stessa.
Con poche e altamente meritorie eccezioni (direttori coraggiosi, commentatori non allineati, cronisti scrupolosi), esiste una sorta di rete di comari e compari, un politiburo autoreferenziale costituito da un centinaio di firme. Si scrivono fra loro, si leggono fra loro, vanno in vacanza insieme, si ospitano nei rispettivi spazi e programmi, si citano fra loro. Si odiano e si invidiano, anche: ma in un contesto che è rigidamente comune.
Per costoro, è essenziale (e insieme naturalissimo, fisiologico, automatico) escludere ogni diversità, transennare gli outsider: oppure di tanto in tanto includerli, ma solo per omologarli, annetterli, normalizzarli.
Su questo, aveva ragione in modo preveggente Marco Pannella. Tra le tante cose (forse non così tante come credeva, e certo non tutte) su cui aveva assolutamente visto giusto per lunga parte del suo percorso, c’era proprio questo elemento di chiusura del ceto dominante nei media. Marco lo riconduceva al “regime”, immaginando qualcosa che da molto tempo non c’è più: un “centro decisionale” capace di determinare le cose (memorabile la formula pannelliana “Pci-P2-PScalfari…”). Qualcosa del genere si ripeté molti anni dopo (per ammissione più o meno esplicita degli stessi interessati) con le consultazioni telefoniche tra grandi direttori, ai tempi di Tangentopoli, sui titoli di prima pagina dei quotidiani del giorno dopo.
Oggi, invece, nel grande slabbramento italiano, c’è una “inversione” del tipo di quelle che amava Carmelo Bene. I decisori non decidono: semmai “sono decisi”. Subiscono l’inerzia determinata dal pilota automatico del “politicamente corretto”, e sanno – senza neanche bisogno di ordini o consultazioni – cosa va incluso e cosa va escluso.
Poi però non ci si stupisca se ormai pochi fruiscono dell’informazione tradizionale, e se ancora meno le credono.
Daniele Capezzone
@capezzone