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Palazzi & potere
Editoria: giornali e giornalisti nella bufera. Ecco perchè

Nel momento in cui contro i giornalisti non si è solo scatenata una bufera politica fatta di ingiurie (da parte di chi non vede valorizzate le sue azioni o le sue tesi) ma anche di massicce e costanti diserzioni di parte di lettori che un tempo erano fedeli nella quotidiana lettura del giornale da loro preferito, è il caso, da parte di noi giornalisti, di porci delle domande serie, anche se urticanti per noi stessi, sul modo con il quale facciamo il nostro mestiere. Non per gettare la croce addosso a nessuno, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi, ma per capire che cosa non va e per cercare di rivedere almeno le più visibili storture informative di cui tutti, chi più e chi meno, siamo protagonisti.

Ieri a Palermo si è svolto un vertice internazionale organizzato dal governo italiano con la partecipazione di 30 paesi allo scopo di approfondire i colloqui fra le parti direttamente o indirettamente in causa al fine di stabilizzare la situazione libica dove è in atto una sanguinosa guerra civile. Questo vertice era imperniato sulla partecipazione dei capi delle due fazioni che si stanno sparando addosso, il leader Al Sarraj, che è considerato tale solo dall'Onu e dai paesi che si attengono alle direttive dell'Onu, e il generale Haftar che non solo si fa una baffo delle risoluzioni dell'Onu ma che dispone anche di forze armate più organizzate ed efficaci e che si propone di governare l'intera Libia.

Mettere in contatto i due era un'impresa quasi impossibile. L'Italia l'ha tentata. Ed è riuscita nello scopo che si proponeva: far avvicinare le parti in conflitto e legittimare una regia politica nella soluzione dei problemi mediterranei. Un mare nel quale l'Italia non a caso è completamente distesa anche se Parigi non si rassegna a questo fatto che è geografico, prima ancora che politico. Ma quasi tutti i giornali italiani e quasi tutte le trasmissioni tv (parlo di una percentuale bulgara, sul 90%) fino al giorno prima dell'incontro avevano sposato risolutamente la tesi che un governo di dilettanti come quello legapentastellato del premier Conte avrebbe fatto un buco nell'acqua e che il vertice sarebbe miseramente fallito.

In ogni caso, al vertice di Palermo, dicevano sempre i media italiani in coro, avrebbe partecipato solo l'onusiano Al Sarraj e non anche il filo egiziano-russo, Haftar. Invece al vertice hanno partecipato tutti e due gli antagonisti ma essi, come dimostra inequivocabilmente la fotografia pubblicata nel corpo di questo articolo, non solo si sono stretti la mano ma hanno anche accennato a un sorriso che deve essere costato molto ad entrambi visto che debbono riferirsi alle loro fazioni armate che dalla Libia seguivano l'incontro. Non dimentichiamo che i due stanno sparandosi addosso anche quest'oggi. Farli incontrare non deve essere stato facile. Ma Conte ci è riuscito. Possibile che tutti i media italiani abbiano previsto l'opposto? Che figura ci fanno? Si sono posti questa domanda? Domani, molto probabilmente, questo incontro (che è una vera e propria rottura del ghiaccio, in un paese dilaniato dallo scontro armato) sarà mascherato da una vicenda tutto sommato marginale che è l'anticipato abbandono del summit da parte della delegazione turca. La motivazione è che non si è sentita valorizzata nel suo ruolo di paese strategico non solo nell'area mediorientale ma anche in quella nordafricana. Questi incontri internazionali, essendo un teatro con tanti spettatori nel mondo, sono inevitabilmente anche delle sceneggiate in cui c'è chi si agita e chi si placa, in un gioco di interessi che spesso sono contrapposti.

Ma bufale di questo tipo i media italiani e internazionali ne hanno costruite parecchie. In occasione del voto sulla Brexit tutti erano d'accordo che il Regno Unito non sarebbe uscito dall'Europa. È successo l'opposto. Le elezioni americane sarebbero state vinte, al di là di ogni dubbio, da Hillary Clinton contro il nato sconfitto Donald Trump. Si è vista come è andata. Nelle elezioni di midterm negli Usa era dato per certo da tutti che Trump sarebbe stato travolto. Invece in quelle stesse elezioni l'invincibile Obama aveva a suo tempo perso 63 seggi da deputati, quasi il doppio di quelli persi da Trump.

Un tempo si diceva che i giornali italiani non reggevano il confronto con i grandi quotidiani dei paesi più sviluppati. E questa affermazione non era lontana dalla verità. Oggi questa notazione non è assolutamente più vera. Ma non perché i giornali italiani siano nel frattempo migliorati (anche se, in parte, è vero anche questo) ma soprattutto perché i giornali stranieri sono peggiorati, diventando spesso l'ombra di ciò che essi erano.

In Italia il ventaglio informativo era più variato. Accanto ai giornali di opinione c'erano i giornali di partito. I primi avevano il vincolo di una certa oggettività nel riferire fatti e opinioni. I secondi invece, in quanto organi di partito, erano scopertamente di parte e quindi erano autorizzati alla faziosità. Con la scomparsa dei giornali di partito, non è che sia scomparsa la faziosità (che in una società libera svolge anch'essa una funzione importante, se non altro perché alimenta il dibattito e, quando serve, anche lo scontro). Non è scomparsa la faziosità, dicevo, ma essa si è trasferita nei grandi giornali. Quindi è una faziosità più mimetizzata e più pericolosa. In più, specie nell'ultimo ventennio, i grandi giornali hanno smesso di veicolare diverse visioni del mondo ma sono diventati sempre più simili fra di loro.

Un tempo (non molto tempo fa, intendiamoci) i lettori più accorti o smaliziati che volevano costruirsi una loro opinione sulle vicende di attualità comperavano la cosiddetta mazzetta. Non si limitavano cioè a leggere il quotidiano preferito ma spesso ne acquistavano più di uno, la mazzetta, appunto. Oggi questa abitudine si è di molto affievolita. Da un sondaggio su questo nuovo atteggiamento (che, alla fine, influisce anche sulle tirature) è emerso che i lettori di più quotidiani si limitano sempre più a leggerne uno solo, perché dicono che «i vari giornali si assomigliano tutti e dicono tutti le stesse cose». Da qui la conclusione: perché acquistarne di più?

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