L'Italia dei sedicenti profughi - Affaritaliani.it

Palazzi & potere

L'Italia dei sedicenti profughi

Anche senza ottenere lo status di rifugiato in Italia si ottiene accoglienza.

 
È il «grande limbo» italiano: un’oscura terra di mezzo fondata sugli scogli della burocrazia e sulle montagne di pratiche accumulate nei tribunali e soprattutto sull’attesa del giudizio finale, ovviamente nella speranza che sia la più lunga possibile. Per entrare nel limbo basta una formula magica di tre sillabe: «ricorso». Negli ultimi cinque anni, scrive Maurizio Tortorella su Panorama, ha aperto le porte d’Italia a quasi 112 mila migranti, che all’apparenza non ne avevano alcun diritto. 
 
E il fenomeno è in continuo aumento, alimentato com’è dal passa-parola e dalla sua totale gratuità. Dal gennaio 2012 allo scorso 30 settembre, oltre 230 mila immigrati che si dichiaravano «profughi» sono stati esaminati dalle Commissioni territoriali prefettizie, invocando il diritto d’asilo. Oltre 45 su 100, per l’esattezza 111.677, ne sono stati riconosciuti indegni. È possibile, e forse probabile, che in stragrande maggioranza abbiano bluffato, se non barato. Di certo nessuno di loro è riuscito a dimostrare di possedere i requisiti minimi per ottenere nemmeno la «protezione sussidiaria», la formula secondaria d’asilo che scatta a favore di chi correrebbe il rischio di subire almeno un «grave danno» se fosse costretto a tornare nel suo Paese, anche se ad aspettarlo non ci sono guerre civili, regimi dittatoriali o persecuzioni razziali, politiche, religiose. 
 
Del resto, gli stranieri in arrivo nel 2016 da zone effettivamente di guerra, come la Siria o l’Iraq, sono stati appena un migliaio, mentre c’è stato un vero boom dalla Costa D’Avorio (5.862), dalla Guinea (4.441), dal Ghana (3.628). Naturalmente, ogni storia è a sé e come tale viene valutata, ma tra il 60 e il 70 per cento degli immigrati da queste zone non vengono accolti perché tecnicamente «non profughi».
 
Altrove, per esempio in Germania, Gran Bretagna e Francia, i sedicenti perseguitati che vengono respinti dagli uffici esaminatori sono subito classificati come clandestini o migranti economici: a quel punto possono tutt’al più appellarsi a un funzionario della stessa struttura, che in pochi giorni decide sulla loro sorte. Se il giudizio è confermato, vengono riaccompagnati al confine. 

 
In Italia, invece, tutto è diverso. Una volta ottenuto il timbro con il No alla loro domanda d’asilo, i sedicenti profughi hanno due strade. O scompaiono nel nulla, da veri clandestini, oppure hanno 30 giorni per presentare ricorso al tribunale civile più vicino. A quel punto, finalmente accolti nel «grande limbo», aspettano che la giustizia italiana faccia il suo lento corso. I tempi dell’attesa sono lunghi: in primo grado il tribunale avrebbe sei mesi per trattare il caso, ma ne impiega almeno otto-dieci. Poi c’è la Corte d’appello: altri 10-12 mesi. Infine viene la Cassazione. Così, per circa tre anni, i sedicenti profughi vengono trattati come «rifugiati sospesi», con tutti i benefici del caso: permesso di soggiorno, assistenza sanitaria, diritto all’istruzione e all’accoglienza in una struttura convenzionata, o in alternativa un sussidio in denaro sui 35 euro giornalieri, mille euro al mese.

 
Nel 2014 hanno fatto ricorso il 73 per cento dei migranti che si erano visti negare il diritto d’asilo. Nel 2015 la quota è salita all’80. Poi il trucco si è risaputo e ha fatto l’en-plein: nel 2016 la quasi totalità dei respinti ha bussato a un palazzo di giustizia. A spanne, sono oltre 90 mila procedimenti aperti solo negli ultimi tre anni. I tribunali sono così intasati da questa valanga di ricorsi che in giugno il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha ipotizzato una soluzione d’emergenza: creare sezioni specializzate per accelerare l’esame dei ricorsi dei sedicenti profughi, ed eliminare il giudizio d’appello, «così come accade in Francia, Spagna e Belgio» dice Orlando «dove sono previsti solo due gradi di giudizio: un primo di merito e un secondo di legittimità». Forse da noi la proposta di riforma non reggerebbe a una valutazione di costituzionalità. Sta di fatto che il governo Renzi non l’ha presa nemmeno in considerazione. 
 
È così che i palazzi di giustizia, soprattutto alcuni, stanno esplodendo. La stessa Associazione nazionale magistrati lancia l’allarme: «Molti uffici sono al collasso». A Milano il presidente del tribunale, Roberto Bichi, sciorina a Panorama i dati di una guerra che pare già persa: «Da 260 ricorsi presentati nel 2013» dice «siamo saliti a 640 nel 2014, a 1.679 nel 2015, e a 3.011 iscritti al 30 settembre scorso. A fine  anno saranno più di 4 mila». In stragrande maggioranza, i giudici confermano i no delle Commissioni territoriali: nel 2015 a Milano i rigetti sono stati 1.041, oltre il 62 per cento. Ma va tenuto conto che molti presunti profughi non si presentano in udienza, e la causa va avanti per le lunghe. «E anche gli accoglimenti non garantiscono il diritto d’asilo» spiega Bichi «perché più spesso viene concessa una generica protezione umanitaria, ben diversa dallo status di profugo». Bichi finora ha fatto fronte allo tsunami applicando alla prima sezione civile, competente per la materia e composta da otto giudici, altri 30 magistrati a tempo parziale, di cui dieci onorari. «Se però va avanti così» commenta «sarà davvero difficile resistere». 
 
Anche a Napoli il presidente del tribunale, Ettore Ferrara, assiste sconcertato a un incremento di ricorsi che tra 2015 e 2016 ha superato il 500 per cento: «Erano 800 nel 2015, sono 4.500 allo scorso 30 settembre» rivela. «È una cifra enorme». A Venezia l’impennata è di poco inferiore: 1.142 ricorsi nel 2014, raddoppiati a 2.086 nel 2015; nei primi due mesi del 2016 sono stati 485, tre volte più numerosi rispetto ai 172 del primo bimestre 2015. Ma la macchina giudiziaria veneziana ha il motore imballato: i ricorsi giacenti sono 2.859, e dal giugno 2015 ne sono stati definiti appena 402. A Roma i ricorsi sono aumentati da 1.595 nel 2013 a 2.200 nel 2015. Sono stati 1.100 nel primo trimestre 2016: saranno 4-5 mila per dicembre.
 
Insomma, ovunque è una Caporetto giudiziaria, che si abbatte su uffici già gravati da un cronico arretrato. Ma è anche un disastro economico per il bilancio della nostra giustizia. Perché la totalità dei sedicenti profughi, ovviamente, chiede il gratuito patrocinio, cioè un avvocato d’ufficio pagato dallo Stato. E dato che un processo comporta una parcella sui 900 euro, i 90 mila casi degli ultimi tre anni hanno fatto sborsare all’erario oltre 80 milioni solo per il primo grado. Per il giudizio d’appello, poi, la parcella va tra 800 e 1.200 euro. Ma dopo un No in secondo grado spesso il sedicente profugo scompare, ripresentandosi con nuovo nome e nuova richiesta d’asilo. E la giostra ricomincia.
 

Si calcola così che le sole spese di giustizia per i profughi respinti costino sui 50-60 milioni l’anno allo Stato. Cui poi va aggiunto ben altro: i mille euro di sussidio mensile e gli altri benefici garantiti alle decine di migliaia di migranti che, pur mai riconosciuti ufficialmente come rifugiati, entrano nel «grande limbo». E contribuiscono al «grande salasso». (ha collaborato Maria Pirro)