Palazzi & potere
Sulla cultura Sky batte Viale Mazzini: a che serve questa Rai?
E’ di questi giorni la notizia che la prima trasposizione cinematografica sul grande pittore rinascimentale Raffaello Sanzio “Raffaello – Il principe delle Arti - in 3D”, prodotta da Sky in collaborazione con i Musei Vaticani e Magnitudo Film, in tre giorni ha portato al cinema 45 mila persone incassando oltre 400 mila euro.
E’ stato il primo film per media copia, superando grandi blockbuster come La Bella e la Bestia. Anche per questo è stato deciso un bis nelle sale per altri due giorni, il 19 e 20 aprile, per poi essere poi distribuito nei cinema di 60 Paesi del mondo, tra cui Inghilterra, Germania, Francia, Belgio, Olanda, Scandinavia, Russia, USA, Canada, Australia, Nuova Zelanda.
Sempre in questi giorni la commissione parlamentare di Vigilanza Rai ha votato il parere sul rinnovo alla Rai della concessione del Servizio Pubblico radiofonico, televisivo e multimediale.
Anche questa volta, come nella precedente, sono stati inclusi nella concessione decennale vincoli, impegni, propositi e indicazioni a favore della cultura e dell'arte. Ma la domanda è: saranno rispettati? E come? Perché Sky, senza alcun obbligo, riesce a parlare di cultura in maniera tale da farne un successo di pubblico ed economico, mentre spesso la Rai appare costretta a inseguire?
Il nostro Paese dispone di un patrimonio linguistico e storico-culturale (arte, turismo, moda, cinema…) illimitato, su cui sarebbe il caso di favorire un’attività di tipo didattico-educativo, ma la Rai sta perdendo progressivamente tale prerogativa. Non dico che si debba auspicare il ritorno a programmi come “Non è mai troppo tardi” del “Maestro” Manzi, che pure non sarebbe una cattiva idea sbagliata visti i tanti “nuovi” italiani immigrati che popolano il nostro Paese. Basterebbe, però, avere un po' di considerazione per il telespettatore e per la sua intelligenza, telespettatore ormai troppo spesso disaffezionato e rassegnato.
A fronte di ciò, si fatica a capire perché la Rai si concentri con grande impiego di risorse ad offrire programmi generalisti di intrattenimento che spesso appaiono fini a loro stessi, mentre preferisca perdere la programmazione di eventi come la “Premiazione dei David di Donatello” (ormai dallo scorso anno trasmessa da Sky), dopo aver trasformato questa cerimonia internazionale in un evento con appeal calante, ai limiti del noioso. Eppure il direttore generale Campo Dall’Orto si era impegnato a riportare l’evento in Rai: che fine ha fatto quell’impegno?
Lo dice la nuova Concessione, come anche quella vecchia, e lo dice anche il Contratto di servizio: La Rai ha il dovere di impegnarsi nell’ambito della cultura, delle arti, dell’informazione, della crescita intellettuale del Paese. Facendolo, potrebbe realizzare anche prodotti da esportazione. Si citano spesso gli esempi di Montalbano e di Piero e Alberto Angela: non possono rimanere dei casi isolati. Lo stesso successo dei “Medici”, una grande produzione di livello internazionale, è arrivato grazie all’operato dei vertici Rai precedenti, su un’idea del grande Ettore Bernabei.
Se la Rai si impegnasse maggiormente, riuscirebbe ad aumentare il proprio fatturato e i suoi prodotti diventerebbero modello di esportazione. Un modello capace di attrarre investimenti e risorse dall’estero favorendo anche la partecipazione di partner internazionali. Ormai una tale possibilità di espansione è facilitata anche dall’uso sempre più esteso della digitalizzazione dei segnali che permettono la distribuzione di prodotti validi a costi ridotti.
E invece il servizio pubblico persiste nell’utilizzare in maniera irresponsabile le proprie risorse come fece anni fa, preferendo trasmettere il concerto di Capodanno della Fenice di Venezia anziché utilizzare la sua Orchestra Sinfonica di Torino.
Alla fine la domanda che sempre più spesso i cittadini si rivolgono, alla quale è sempre più difficile trovare risposte condivise, è la seguente: a che serve questa Rai?
Michele Anzaldi