Pd, il “minestrone” di Veltroni - Affaritaliani.it

Politica

Pd, il “minestrone” di Veltroni

Massimo Falcioni

 

Nella guerra interna del Partito democratico Walter Veltroni ha alzato l’asticella per legittimare il pd quale argine decisivo contro i populismi, moderna forza riformista che trova in Gramsci-Berlinguer e De Gasperi-Moro e altri politici del ‘900 le proprie radici ideali, culturali, politiche. Veltroni, con un editoriale di domenica scorsa su l’Unità, contesta chi – come l’ex Pci Emanuele Macaluso – attacca il partito di Renzi perché “privo di un asse politico-culturale”, ridotto a “un aggregato politico-elettorale caratterizzato da personalismi”. Insomma, per Veltroni, quelle culture (cattolica, comunista, socialista) e quei partiti (Dc, Pci, Psi) l’un contro l’altro armati nel ‘900, caduto il Muro di Berlino, non potevano non ritrovarsi e non saldarsi nel Partito democratico. Anzi non potevano non andare “oltre” con: “una formazione del nuovo mondo, del nuovo millennio”. Quindi: “Non solo le convergenze dei democratici separati del Novecento ma una identità forte e propria”. A quasi nove anni dalla sua nascita, il Pd è elettoralmente il primo partito italiano, forza politica di centro-sinistra nel Pse, al governo con Matteo Renzi premier-segretario, partito però privo di bussola strategica, dilaniato all’interno, per quell’”amalgama mal riuscita” (D’Alema) e per quella “identità forte e propria” sempre sbandierata e mai dimostrata.  Partendo da premesse molto discutibili Veltroni mette a rischio le basi su cui vuole fondare oggi la credibilità del Pd rischiando di smarrirsi nel labirinto della storia. Di quella storia controversa del secolo scorso, cui la sinistra cofondatrice dell’attuale pidì non si è mai voluta misurare fino in fondo. I tre principali partiti richiamati da Walter – Dc, Pci, Psi – sono stati cancellati, ma per cause profondamente differenti: i democristiani e i socialisti travolti dall’onda giudiziaria di Tangentopoli e il Pci finito sotto le macerie del fallimento del comunismo. I limiti e le forzature del pensiero veltroniano vanno oltre: come è possibile “coniugare” Gramsci e Berlinguer con De Gasperi e Moro e fra i due esponenti comunisti dimenticarsi del “Migliore”, quel Palmiro Togliatti da sempre ispiratore di Berlinguer e considerato da De Gasperi, Moro, Fanfani la “quinta colonna” di una nazione “nemica” quale l’Unione Sovietica?

Nel Partito democratico, da Veltroni in su, si è sempre messo sullo stesso piano Dc e Pci, intesi come partiti “nazionali” e “riformisti”, quando il primo era ancorato all’identità religiosa del cattolicesimo e ai valori delle grandi democrazie liberali occidentali, pro Usa, contro i totalitarismi rossi e neri e il secondo si basava sul marxismo-leninismo, pro Urss, intendendo il mercato come “il” problema e lo Stato la soluzione.

Berlinguer – al pari di Togliatti (ma anche di Gramsci) si è sempre battuto per il superamento del capitalismo e per realizzare in Italia una “società socialista”, pur se sempre più smarcata dalla casa madre sovietica.  Non solo. Il capo più amato dai comunisti italiani, tutt’ora presente come icona nei circoli del Pd, rivendicò con orgoglio la “diversità” del Pci, partito dalla “mani pulite” in alternativa alla “degenerata” Dc e anche al Psi autonomista di Craxi. Il Pci riformista a cui Veltroni fa riferimento era quello del buon governo delle “giunte rosse” degli anni ’70, lo stesso partito – però -  della “doppiezza” fra democrazia e dittatura del proletariato (proteso verso l’ora X nel refrain:“Quand asrà oura asrò prount”), il partito che “predica l’odio” (De Gasperi), contro la “proprietà privata”, contro il padrone,  contro la borghesia “parassita”, contro i socialisti e i socialdemocratici venduti, contro la scuola privata, la riforma della casa e dell’agricoltura, contro la realizzazione delle autostrade, della tv a colori, il partito che ha insegnato al bracciante di non togliersi il cappello davanti al padrone ma ha anche nascosto tante scomode verità illudendo milioni di persone sulle bugie. Il Compromesso storico fu solo una brevissima e fallimentare parentesi con l’offerta di Berlinguer alla Dc di “larghe intese” contro i rischi dell’eversione e degli “opposti estremismi”, a favore di uno sviluppo democratico, soprattutto con l’obiettivo di dare al Pci la sospirata legittimazione come forza di governo. Quel Moro a cui fa oggi riferimento Veltroni è il premier diccì che nel 1974 ribadisce la “netta diversità ideologica” fra Dc e Pci e che rifiuta l’abbraccio col “nemico”: “niente alternativa né aggiunta “deformante” dei comunisti alla maggioranza di governo”. Di fronte all’attacco del Pci alla Dc per le tangenti sul caso Lockheed Moro si fa garante del suo partito con un monito pesante alla Camera: “Onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare. Vi diciamo di non sottovalutare la grande forza degli italiani che da più di tre decenni trova nella Dc la sua espressione e la sua difesa”. E’ la chiamata per tutti i “moderati” e per tutti gli anti comunisti a fare quadrato passando sopra ai “peccati veniali” della Balena bianca, la porta in faccia sbattuta davanti al Pci, la conferma di due partiti alternativi l’uno all’altro. Oggi Veltroni lancia il suo monito: “Non sciupiamo il Pd, perché dopo vedo solo il baratro del dilagare di forme inimmaginabili di populismo”. Siamo all’appello finale del “voto utile”, della crociata contro il nemico alle porte, del Pd unico e ultimo baluardo della democrazia italiana? Forse Veltroni ha ragione. Ma cosa si difende oggi, difendendo il Pd? Qual è il “vero” Partito democratico? Quello dei D’Alema, Bersani&C, nati in quel Pci di (poche) luci e (molte) ombre, mai ripudiato, a presidio di una sinistra che non si sa più cos’è e cosa vuole o quello dei Renzi, Boschi, Serracchiani&C orgogliosi di essere politicamente “orfani”, pragmatici, dediti a governare giorno dopo giorno senza orizzonti ideali, spinti dal vento che tira, certi che è meglio “un uovo oggi di una gallina domani”, nella logica del potere per il potere, della tenaglia: “O con me o contro di me”?