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Politica
Russiagate, "Trappola orchestrata ad arte. Una faida tra salviniani"
Foto Facebook

"A commentare il famigerato (ed un po’ comico) affaire leghista in Russia c’è il rischio, come diresti tu Maestro Dagonov, che scappi alla grande la frizione. Per prima cosa sarebbe il caso di analizzare i fatti certi per poi arrivare a fare qualche supposizione su cosa sia realmente avvenuto e perché. Ma sappiamo che in Italia la tentazione di commentare prima ancora di raccontare e’ forte - in questo come in altri casi". Lo scrive Igor Pellicciari (docente Università di Urbino - Università Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali) su Dagospia, ricostruendo i fatti del Russiagate. 

"La dinamica dell’episodio più che un incontro al vertice ricorda una trappola orchestrata ad arte per fare abboccare degli ingenui interlocutori stranieri, esaltati da luoghi comuni sulla Russia paese dei balocchi e calatisi nel ruolo delle spie venute dal freddo.  Chi vive a Mosca sa perfettamente che seguendo una tradizione iniziata nel periodo sovietico per motivi di controllo e rafforzatasi di recente per motivi di sicurezza anti-terrorismo, tutte le lobby degli alberghi 5 stelle nella zona del Cremlino (e spesso anche quelli nelle immediate vicinanze) pullulano di telecamere di sicurezza e microfoni ad alta definizione". 

"Come avvenuto nel caso del vice-cancelliere austriaco Strache, la trappola e’ scattata ed ha funzionato benissimo, giocando sull’ignoranza, narcisismo protagonista, provincialismo internazionalista delle vittime predestinate  nonché  - ma questo va dimostrato - su un senso di affarismo tutto italico, dove si parte sperando di fare un Golden Golda 65 milioni ma poi ci si accontenta male che vada anche di 65.000 euro quando si capisce che probabilmente non si quaglierà nulla". 

Ma quale era l’obiettivo di questa trappola rispetto  e chi ne era il vero mandante? "Pista americana e russa a parte, vi è poi una terza ipotesi sul possibile mandante dell’ affaire del Metropol che sta girando in queste ore a Mosca, molto meno sofisticata e più banale delle precedenti. E’ una ipotesi che appassiona meno gli analisti ma che risveglia l’italico interesse per il gossip in salsa politica, tanto caro alle nostre cronache.  Essa vorrebbe l’esca del Metropol essere il risultato di una faida tutta interna ai salviniani che operano su Mosca, ovvero tra quanti cercano di accreditarsi come il rappresentante primo e vero del leader leghista al Cremlino. E’ questa una posizione a cui in molti puntano che oltre ad uno status prestigioso politico, assicura anche di riflesso un grande potere negoziale e di indirizzo delle numerose relazioni tra Italia e Russia, in tutti i campi. Vista da questa prospettiva, il vero obiettivo iniziale della trappola della intercettazione sarebbe non tanto Salvini, quanto lo stesso Savoini – che, risvolti penali a parte, vede oramai compromesso il suo ruolo futuro di ambasciatore leghista a Mosca – a tutto vantaggio di quanti ancora puntano all’ambito ruolo".


 

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