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Politica
Salvini pop, Renzi snob. E Conte...I social? Inquinano la politica

Social e politica, l'analisi dopo l'annuncio Instagram del sindaco di Milano Sala

di Vincenzo Caccioppoli

Sembrano proprio passati i tempi delle campagne elettorali tradizionali, con i comizi per le strade ( sempre più vuoti) le grande convention o le tribune politiche in televisione. Tutto quasi azzerato ben prima del Covid, con le sue conseguenti regole restrittive. Ormai anche la politica e la comunicazione si gioca da tempo sempre più sui social. Con tutti i benefici e i danni che il loro utilizzo comporta ( basti pensare allo scandalo Cambridge Analytics o a quello delle innumerevoli fake news ).

L’ ultimo esempio, in ordine di tempo, è stato la scelta del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, di comunicare via Instagram, la sua ricandidatura alle elezioni della prossima primavera. Il presidente del consiglio Giuseppe Conte, invece ha da tempo scelto il più diffuso Facebook, per annunciare i dettagli dei suoi DPCM, abbandonando le più paludate e forse ormai un po' anacronistiche dirette a reti unificate, forse anche per non essere da meno dello sceriffo di Salerno, Vincenzo de Luca, che da mesi intrattiene lunghe e seguitissime dirette Facebook, per difendere e spiegare le sue scelte ma anche per sferrare dure stilettate ai suoi detrattori, Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris in testa.

Ma il social che sicuramente viene maggiormente utilizzato dai politici ad ogni latitudine è sicuramente twitter, forse per la sua caratteristica di brevità nel messaggio veicolato, ideale per brevi slogan o frasi ad effetto, molto meno per veicolare pensieri e opinioni articolate. Il primo esempio di una sorta di “abuso” di questo strumento a fini politici è sicuramente rappresentato dal presidente ( quasi ex) degli Usa, Donald Trump, sia durante la campagna elettorale trionfale del 2016, che durante i suoi 4 anni alla Casa Bianca. Non è un caso se più della metà degli ingenti investimenti pubblicitari della campagna elettorale del suo rivale Joe Biden sono stati indirizzati verso campagne promozionali e di direct marketing tramite i principali social network, togliendo perciò a Trump la forza esclusiva della sua principale arma mediatica. In casa nostra Matteo Salvini sui social ha costruito grazie ad una vera e propria squadra di esperti di social marketing, la cosiddetta “bestia”, guidata dal guru Luca Morisi, una incessante campagna politica che ha contribuito grandemente a far salire il consenso del capitano e della Lega dal 4% al 34% delle elezioni europee.

Il web utilizzato ad arte per aumentare consenso, coinvolgendo un numero molto più alto di persone, rispetto a qualsiasi altro strumento o mass media. Con i social, i politici, riescono ad eliminare quella sorta di distacco che spesso le persone hanno sentito verso l'uomo pubblico. Tutto questo ha contribuito a coinvolgere molte più persone, che in questo modo si sono sentite più vicine e sono state più propense a partecipare alla competizione elettorale. Questo è stata la grande intuizione, messa perfettamente in opera da Salvini e dal suo team.

Tutto il contrario di quello fatto per esempio da Renzi, altro grande utilizzatore dei social, ma in maniera molto più distaccata, e con quella sorta di presunzione, che il politico ha sempre avuto. In questo l'utilizzo dei social ha determinato un aumento dei detrattori, rispetto ai fautori che hanno avuto gioco facile a criticare l'arrivismo e l'antipatia del politico fiorentino. Senza parlare dei vecchi politici alla Berlusconi, il cui maldestro utilizzo dei social è stato più deleterio che altro, contribuendo forse ad affossarli definitivamente. 

I social insomma sono diventati strumento per propaganda e per attacchi diplomatici anche duri, come l’episodio di fine Novembre quando Zhao Lijian, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, che ha diffuso via twitter una foto, che mostrava il fotomontaggio di un soldato australiano maltrattare un bimbo afghano, creando cosi un serio incidente diplomatico fra Pechino e Canberra. I politici come influencer che usano gli algoritmi e le diavolerie del digital marketing, per amplificare il consenso attraverso la rete.

Chissà cosa penserebbe il grande pensatore e filosofo Max Weber, che, alla fine del’800, teorizzava o meglio auspicava che la politica non fosse il punto di arrivo per individui opportunisti, ma che fosse data in mano a persone consapevoli e preparate, a persone che hanno una certa professionalità. Purtroppo il serio rischio che si corre abusando dei social network in politica, sia proprio quello del premiare il facile ed immediato consenso opportunistico, nascondendo dietro il web e i facili slogan il messaggio politico, svilendo cosi la normale e tradizionale dialettica politica, che viene regolamentata dalle dinamiche dei social network, che rischiano di diventare loro stessi parte in causa del gioco, come recentemente visto con le regole censorie adottate per coprire messaggi ritenuti, non si sa a che titolo, diffamatori o non consoni.

Ecco perchè allora utile sarebbe se le potenzialità delle tecnologie in esame fossero sfruttate per coltivare la partecipazione critica e massiva dei cittadini ai processi democratici aumentando la rappresentatività ed il peso delle forze politiche al “tavolo” della contesa generale, come all’inizio sembrava essere il progetto da cui è sorto il movimento dei cinque stelle. La politica gestita dal basso, l’assioma che uno vale uno, la democrazia gestita sulla rete, il governo del popolo e per il popolo, ma solo se internauta occorre dire e iscritto al blog prima e alla piattaforma ad hoc dopo. Ma il progetto è presto naufragato, sommerso dalle lusinghe del potere e delle prebende, che hanno scatenato i peggiori e irrefrenabili istinti di sopravvivenza al sole dei palazzi romani, e con il motto mors tua, vita mea che mette in cantina il vecchio uno vale uno. Altra cosa invece se queste potenzialità tecnologiche, venissero usate in modo distorto, al solo fine di vincere competizioni elettorali, coltivando un’ autoreferenzialità e uno iato tra Politica e società il cui unico esito non può che essere la perdita di potere e di capacità di influenza. Nel 1984, quando internet era ai suoi primissimi vagiti, Robert B. Cialdini, ha pubblicato un saggio con il titolo “Le armi della persuasione”, in cui dimostra come al ricorrere di determinate circostanze, a determinare le nostre scelte intervengono degli automatismi ricorrenti, che sono prevedibili e riconducibili ad alcune categorie generali.

In sintesi, laddove un individuo sia sovra stimolato da un numero elevato di input di scelta rapidi e costanti tenderà a non operare in modo razionale (mediante logica), ma a scegliere in base ai seguenti criteri automatici: Difficile non riconoscere in queste teorie la vera molla che spinge i social e i nuovi eroi moderni che li dominano, gli influencer. Basti pensare alle polemiche create intorno alla richiesta fatta dal presidente Conte ad uno dei più famosi di questi, Fedez per promuovere l’utilizzo della mascherina. La politica insomma si piega al nuovo mondo e alla nuovo sacro graal della comunicazione e del marketing, quello social. Ma questo appiattimento della politica alle logiche di internet e del suo principale megafono, rappresentato dai social network, rischia inevitabilmente di compromettere la caratteristica principale della politica che è quella di essere comunque un arte nobile, con tutte le sue distorsioni, assai preziosa per la sua finalità che dovrebbe essere quella di perseguire il bene comune. Forse la pandemia, e le regole per contenerlo che hanno azzerato tutte le occasioni di partecipazione politica, hanno evidenziato le pecche del web e della sua fredda comunicazione. Perché fin dall’antica Grecia, culla della civiltà e dove ebbe origine l’arte della politica, come oggi noi la conosciamo, la politica è partecipativa e ha bisogno della dialettica e del confronto diretto( nel caso specifico l’ assemblea della ecclesia ), che non possono e non devono essere demandati ad un messaggio o ad un flashmob su un social di tendenza.

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