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Politica
Se in Italia a decidere sono sempre i giudici...

 

Ha suscitato un nuovo focolaio di polemiche la recente decisione della consulta di bocciare il referendum proposto da otto consigli Regionali e sostenuto dalla Lega per abrogare la quota proporzionale nel sistema elettorale a vantaggio di un maggioritario puro. Salvini non ha perso l'occasione per gridare allo “scandalo e alla vergogna” definendo la decisione come un “furto di democrazia”. Parole certamente forti e inequivocabili, forse dettate anche dall'avvicinarsi di fondamentali elezioni per il rinnovo del governo in Calabria e soprattutto nella rossa Emilia, ma il problema dei ruoli all'interno della suddivisioni dei poteri dello Stato sta diventando sempre più una questione aperta. Quando, infatti, sulle presunte inefficienze della politica interviene in maniera a volte pure scomposta un altro organo dello Stato, qualche problema esiste. In questi giorni si è celebrata la ricorrenza del ventennale della scomparsa di Bettino Craxi, uno dei massimi simboli di quella triste stagione politica. Ancora adesso a vent'anni dalla scomparsa di quello che nel bene e nel male è stato uno dei massimi esponenti della politica italiana della prima repubblica, qualcuno non perde occasione per ricordare i trascorsi giudiziari dell’ex presidente del Consiglio, come se la sua parabola politica fosse ristretta unicamente a quanto emerso dall'inchiesta “mani pulite”.

Dal 1992 in poi i tempi della politica, infatti, quasi inesorabilmente sono stati scanditi dalle inchieste e dalla azione della magistratura. L'ascesa e la caduta di Berlusconi sono state in qualche modo accompagnate dalle innumerevoli inchieste giudiziarie a suo carico. Il suo alleato stiorico e poi trasformatosi in “avversario” Gianfranco Fini è stato spazzato via, in poco tempo, proprio da una inchiesta giudiziaria sulla controversa questione della casa donata al partito a Montecarlo. Lo stesso eroe di Mani pulite Antonio di Pietro è stato colpito da diverse inchieste sul poco chiaro utilizzo che il suo partito avrebbe fatto dei fondi pubblici ad esso destinati. Adesso “obiettivo”delle inchieste sembra essere diventato il nuovo mattatore della politica italiana Matteo Salvini. I casi delle navi Gregoretti e Diciotto, che sono valsi altrettantoi avvisi di garanzia per sequestero di persona,  al leader della Lega, nello svolgimento del suo compito, condivisibile o meno, con i poteri e l'autorità che gli garantiva la costituzione, in qualità di minsitro della Repubblica, sono emblematici nel rappresentare quanto si stia assotigliando il confine che separa le prerogative, l'autonomia l'indipendenza della magistratura dalla politica. Ma anche su altre questioni meno strettamente politiche, come per esempio quella del fine vita i giudici hanno mostrato di volere  quantomeno  indirizzare una politica forse un po troppo titubante e poco incisiva. Ora la magistratura sembra giocare un ruolo sempre più ingombrante anche sul delicato argomento della legge elettorale. La questione pare delicata perché se da un lato mostra tutte le inadeguatezze di una politica troppo litigiosa e che non sa dare le risposte che il paese richiede, dall'altro manifesta come la suddivisione dei poteri rischi di essere diventato un confine sempre più labile e sottile.

Troppe volte cambi nella composizione di governi locali e nazionali sono stati decisi da inchieste giudiziarie, ancora prima che esse arrivassero alla definitiva sentenza. Se quindi pare esagerato forse definire l'ultima decisione della consulta come un “furto di democrazia” sarebbe ora però che si operasse una discussione, scevra il più possibile da polemiche di parte sui ruoli che lo Stato di diritto affida ai suoi poteri rappresentativi. Anche perché occorre aggiungere che anche grazie a questa insana “commistione”  sono spesso scoppiati scandali che hanno coinvolto a vario grado  magistrati a causa del loro poco chiaro legame con apparati dello Stato, come quello recentissimo che ha coinvolto il giudice  Palamara e parte del Csm. Il potere politico, se troppo mischiato con quello giudiziario, infatti, rischia di creare un corto circuito dei principi dello stato di diritto, che si basa proprio sulla separazione dei tre poteri fondamentali: esecutivo legislativo e giudiziario. In Italia ormai a dettare le regole del gioco e non solo della politica, sembrano essere sempre più i giudici con le loro inchieste che i rappresentanti del popolo democraticamente eletti. Questo perché il nostro è forse l'unico paese democratico ad avere una parte della magistratura  fortemente politicizzata. In nessun altro paese due ex magistrati infatti, hanno fondato un partito. In nessun altro paese esistono delle “correnti”  all'interno della magistratura stessa, come si trattasse di un partito qualsiasi. I magistrati non devono fare politica così come i politici non devono entrare nel merito delle sentenze giudiziarie.

Troppi magistrati rincorrono la celebrità con roboanti inchieste che poi spesso si traducono in un nulla di fatto. E troppi politici credono di poter trovare nella magistratura una sponda da utilizzare a fini politici. Di tutto ciò sicuramente è colpevole la politica in primis, che ha mostrato tutti i suoi limiti nello svolgere quella che è la sua funzione legislativa, certa stampa sempre pronta a cavalcare e ad enfatizzare alcune inchieste giudiziarie e anche di certa magistratura, che evidentemente si sente stretta nel suo ruolo  giurisdizionale e si arroga il diritto di sostituire la politica nelle sue inefficienze. Ultimo esempio lampante di ciò trova chiara raffigurazione nella inchiesta sui presunti finanziamenti illecito ricevuti dalla fondazione Open, scoppiata con una tempistica quantomeno dubbia proprio all'indomani della uscita di Matteo Renzi dal PD.

Detta inchiesta ad oggi risulta essere senza nessun rilievo penale per l'ex presidente del Consiglio, ma è indubbio che il clamore suscitato dalla cosa abbia sicuramente nuociuto a lui e al suo nuovo partito. Con questo chiaramente nessuno si deve sentire immune dalle inchieste e dal lavoro della magistratura, ma è indubbio che questo deve anche riguardare le cautele e le attenzioni che ogni indagine giudiziaria comporta per legge per tutti. “ la legge e uguale per tutti” non deve rimanere una effige appesa sui muri di tutti i tribunali, ma deve essere un sacrosanto diritto, che non sempre trova riscontro nel nostro paese. In questo ambito va compresa  anche la tanto discussa legge sulla prescrizione, affinché non rischi di diventare una ulteriore arma in più in mano a chi già utilizza la giustizia per compiti non consoni a quelli dettati dalla costituzione, soprattutto se non si mette mano alla questione non più procrastinabile dei tempi biblici della giustizia italiana. Per sgomberare il campo da polemiche, dibattiti e tensioni di cui il nostro paese certo non ha bisogno,servirebbe allora una chiara e definitiva presa in carico delle proprie responsabilità che ognuno ha nello svolgimento della propria funzione. La politica faccia le leggi e la giustizia si occupi di farle rispettare. Così funziona nella principali democrazie di tutto il mondo, un po meno ultimamente in Italia.

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