Soumahoro: "Il Governo non ha visione, noi vogliamo ridare sorriso e speranza" - Affaritaliani.it

Politica

Soumahoro: "Il Governo non ha visione, noi vogliamo ridare sorriso e speranza"

Critica a tutto campo a una politica che "ha tradito la gente" e una sferzata al Recovery Plan: "Quale idea di società lo ha ispirato? Non se ne è mai discusso"

Aboubakar Soumahoro è la vera novità della sinistra italiana. Il suo carisma spicca in un quadro generale non particolarmente stimolante in termini di dibattito, con i partiti finiti dietro la lavagna a farsi dettare la strada dai “migliori”, siano essi tecnici o personalità forti. O entrambi allo stesso tempo.

In questo scenario asfittico, c'è chi ha il coraggio di andare controcorrente e di affermare che “mai come oggi abbiamo bisogno di politica”. Una voglia di dibattito che ormai da tempo caratterizza le “agorà popolari” che si stanno svolgendo in varie città italiane e dalle quali è nato un nuovo progetto politico: quello della “Comunità Invisibili in Movimento”.

Il volto nuovo della politica italiana è giovane non solo in senso anagrafico (compirà 41 anni il 6 giugno), ma anche e soprattutto per l'entusiasmo con cui si occupa delle categorie più marginali della società, distaccandosi dai toni paludati che rendono la politica sempre più uniforme e monotona. Intervenendo all'evento conclusivo della rassegna di dibattiti organizzati dall'associazione Sinistra X Milano, Soumahoro ha toccato diversi temi nazionali, non risparmiando critiche esplicite sia al Governo Draghi, che più in generale a una classe politica che ha “tradito le persone che si era candidata a rappresentare”. 

Soumahoro, in un periodo nel quale la politica sta battendo in ritirata, lei invece percorre la strada opposta, con un progetto politico molto ambizioso che nasce dal suo impegno di sindacalista, per intercettare le istanze che non trovano risposta. La scorsa settimana avete organizzato una riuscita manifestazione a Roma: a che punto siete del vostro cammino?

Mai come oggi abbiamo bisogno di politica, ma di una politica che sia espressione della condivisione della nostra percezione della sofferenza. Sia di quella della pandemia, sia di quella che ha rappresentato una stagione di norme che non erano altro che picconate al tessuto dei diritti e della dignità delle persone. Abbiamo bisogno di politica, ma che sia capace di dare speranza, in un contesto fatto di disperazione e disconnessione sentimentale. Una politica che sia del fare, dell'agire, che abbia una visione. Una politica che quindi sia anche lo spazio per una comunità: è questo il senso di ciò che stiamo facendo. Stiamo federando sentimenti disconnessi e persone apparentemente diverse, ma accomunate da bisogni quali reddito, lavoro, diritto alla libertà, alla giustizia, alla dignità della persona. Una politica che abbia la capacità di volare tra le stelle dei desideri, ma rimanendo coi piedi nel fango e nella miseria delle periferie e delle zone rurali. Dobbiamo trasformare la miseria in speranza. In questo cammino che stiamo portando avanti vi è l'elemento dell'entusiasmo. Il tema è essere in grado di spogliarsi dell'io egocentrico per abbracciare il bandierone del noi relazionale, empatico, capace di trasformare l'entusiasmo individuale in una prospettiva collettiva. Quindi qui siamo di fronte a un entusiasmo inarrestabile. Questo è il sentimento che stiamo portando avanti e ringrazio affaritaliani.it, che è stato tra i primi ad accendere i riflettori su noi, che poi non siamo invisibili: le partite IVA, i rider, i caduti sul lavoro come Luana D'Orazio non sono invisibili, sono persone visibili dal punto di vista della loro partecipazione. Sono però invisibili dal punto di vista dei diritti e della dignità. Ecco, si può parlare di “politica” se non riesce ad accendere i riflettori su queste cose? La politica delle retoriche da anni ha costruito il proprio patrimonio sulla polveriera sociale, che per anni è stata un modo per capitalizzare i voti, ma non per dare speranza a chi ci vive dentro.

Come è possibile conciliare il rispetto dei diritti dei lavoratori con la situazione di estrema precarietà nella quale la società si trova anche a causa della pandemia di Covid?

La pandemia c'è e non a caso c'è il distanziamento sociale... per chi ancora se lo può permettere. Per una certa parte della nostra popolazione è un privilegio. Detto questo, c'erano dati allarmanti già prima della pandemia, che poi si sono acuiti in termini di precarietà esistenziale, di invisibilità, di lavoratori e lavoratrici impoverite, di famiglie monoreddito, di disparità e discriminazione salariale a danno delle donne, di persone di diversa provenienza geografica e anche su base generazionale. I dati Istat dicono che abbiamo un esercito di precari, in particolare giovani. Ma noi abbiamo una politica che non dà loro speranza, anche se il Next Generation è pensato per loro. Il piano mandato in Europa era di oltre 200 pagine, ma con un solo paragrafo sulla lotta al sommerso e sulla cultura della prevenzione. Una certa politica si è nascosta dietro la parola “precarietà”, ma in realtà è la stessa politica che ha costruito questo esercito di precari. Può essere credibile una politica che nel corso degli anni ha svuotato lo strumento dei centri per l'impiego? La precarietà alimentata in questi anni non era altro che il risultato di un tessuto legislativo costruito nel tempo. Cosa si potrebbe fare oggi? Partiamo dal tema della centralità del lavoro, ma dentro un cambiamento di paradigma. Il lavoro come inteso nell'art. 1 della nostra Costituzione, con diritti e dignità. Ma partiamo anche dal tema del reddito, che sia sganciato dal lavoro. Partiamo dai giovani: chi li ascolta più? Chi dà loro speranza? Chi ascolte le periferie? Intere città oggi sono diventate luoghi per soli ricchi, dove non ci si può più permettere di affittare una casa. Quando un diritto diventa un privilegio, non è più un diritto. Questa polveriera che c'è oggi non si può più nascondere. Non si può dire “è il momento di dare”, in relazione a quanto detto dal Presidente del Consiglio. No, questo è il momento di redistribuire! Redistribuire da un punto di vista di un welfare generativo, in una prospettiva di progressismo trasformativo, non finalizzata a campare politicamente sul disagio delle persone. Per alcuni il venire meno di tali disagi provoca inconsistenza e inesistenza politica. 

Il riferimento che lei fa a Draghi è la risposta a una proposta di Letta che riguardava l'investimento sui giovani. Proprio qui a Milano dai giovani del Pd è nata la proposta di fare degli stage uno strumento di lavoro rispettoso della dignità e non una forma di sfruttamento. Perché c'è cosa poca attenzione nei confronti, che in questa pandemia hanno pagato un prezzo altissimo?

La condizione dei giovani non è frutto di una dannazione divina, ma di scelte poltiche fatte nel corso degli anni e che vedono come responsabili anche coloro che oggi dicono di voler rimettere al centro una questione di giustizia sociale. Va bene, ma nello stesso stesso tempo cerchiamo di mettere le basi per non rendere uguale il tessuto che ci ha accompagnato sin qui. Faccio un esempio: possiamo continuare a parlare di lotta al precariato mentre è ancora in piedi il tessuto legislativo di ciò che è rimasto del Jobs Act? Oppure senza stabilire un ruolo minimo del ruolo della politica rispetto alla dittatura dell'economia degli algoritmi? E qui cito Amazon. Possiamo parlarne quando abbiamo giovani titolari di partite IVA che per certi versi sono in realtà lavoratori subordinati? Il tema non è dire “Facciamo il reddito di cittadinanza e subordiniamolo al lavoro”: le due cose vanno sganciate. Di fronte a ogni proposta, bisogna capire qual è la visione, perché se non c'è siamo punto e a capo. Faccio un altro esempio: è possibile dire che si vuole assolutamente lo Ius Soli e nel contempo tenere in piedi l'architettura legislativa della Bossi-Fini? No, c'è qualcosa che non funziona! Su questi temi ci stiamo giocando la tenuta sociale della nostra comunità: bisogna prenderne atto. Va bene parlare di giustizia sociale, ma in quale paradigma economico? Abbiamo l'art. 3 della Costituzione, che parla dello Stato che deve rimuovere gli ostacoli per lo sviluppo della persona, ma dentro quale modello economico? Quello che ha accompagnato le scelte di chi si era candidato ad essere la speranza dei senza voce, degli invisibili, dei precari, degli insegnanti, dei tramvieri, dei giornalisti che con devozione continua a raccontare la nostra comunità e poi li ha abbandonati. Noi vogliamo federare questo mondo, ma nella consapevolezza che c'è bisogno di un tessuto economico che metta la persona al centro. Oggi, sentendo parlare il Papa, qualcuno potrebbe scambiarlo per Berlinguer! Questo è il tema! Chi invece doveva farsi interprete delle visioni di Berlinguer oggi ne parla in trasmissioni da cabaret, per così dire. Come Comunità degli Invisibili il nostro perimetro è parlare con chi si è visto togliere la propria speranza, sotto qualsiasi ombrello dovesse trovarsi, ma intorno ai valori della giustizia sociale, della solidarietà, dell'antifascismo: i valori che hanno portato alla realizzazione della Costituzione, che se viene lasciata a se stessa è solo carta, come diceva Calamandrei, ma invece ha bisogno di combustibile, azione, passione, responsabilità. Abbiamo bisogno di redistribuzione, ma chi pone oggi questo argomento? Quali sono state le scelte politiche di questi ultimi 20/30 anni? Ci vogliono iniziative coerenti.