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Politica
Marco travaglio, liberale di destra. Ora se la prende con Giorgia Meloni

Fenomenologia di Marco Travaglio. Ora ce l’ha con la Meloni

 

Tutto parte da un articolo vergato con mano sudata e cuore indocile da Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano dall’eloquente titolo “L’avete voluta la Meloni? Pedalate”.

L’iracondo direttore se la prende, questa volta, contro tutti quei giornalisti (contro cui ha un odio atavico particolare) dei “giornaloni” e cita in un buffo plurale “i Sambuca, le Concite, i Politi, i De Angelis, i Damilani, i Giannini, i Severgnini, De Benedetti (“Pur di liberarci di Conte, ben venga Berlusconi”) che avrebbero distrutto la sua creatura (di Travaglio) e cioè il Conte2 producendo, alla fine, l’inevitabile vittoria, prossima ventura, di Giorgia Meloni.

Marco Travaglio, per i pochi che non lo sapessero, è un uomo di destra, un conservatore, liberale quando gli conviene, ultragiustizialista. Ha votato Lega, IdV, Cinque Stelle ma mai il Pd e la sinistra (con cui campa e prospera).

Iniziò a scrivere alla fucina di Indro Montanelli a Il Giornale, dove cominciò ad occuparsi di cronaca giudiziaria con un archivio tale da far impallidire quello di Giulio Andreotti. Lavoraccio andato poi mestamente al macero con l’apparire di Google, da qui la sua incomprensibile ostilità per questo motore di ricerca.

Faccia bronzea, ricciolotti ribelli, sorrisetto ineffabile stampato su una faccia da rivoluzionario francese illuminista che “sa la Verità”, prese dal maestro il rimpicoglionismo militante (detto senza ironia) che lo portò a rompere con l’amato / odiato Berlusconi, suo editore.

A quel punto lui, ripetiamolo, uomo di destra, per una curiosa vendetta del destino (i malvagi parlano però di opportunismo) ha scritto sempre per giornali di sinistra tra cui L’Unità (povero Indro!), La Repubblica, L’Espresso e appunto Il Fatto Quotidiano (che prende il nome dal programma televisivo Il Fatto di Enzo Biagi, noto avversario di sinistra proprio di Indro Montanelli). Insomma la contraddizione è stato il suo viatico. La cattiveria il suo companatico. Il motteggio storpiante la sua patologia (ne parlò Freud in “Psicopatologia della vita quotidiana”).

Da sempre giustizialista, forse per invidia, divenne il megafono di Antonio Di Pietro per poi trasferirsi, una volta esauritosi il ciclo di Italia dei Valori, armi e bagagli nei Cinque Stelle alla corte di Beppe Grillo. La leggenda dice che si chiamino a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Travaglio è torinese doc, “gente sfumata” la chiamava Beppe Fenoglio, che ambisce al successo e non si rassegna. E da vero tricoteuse sabaudo ha orgasmi irrefrenabili al solo sentire il tintinnio delle manette. I nemici lo definiscono Marco Angoscia, storpiandogli per vendetta il cognome, come fa lui abitualmente con un sorrisetto gianduiotto di sottofondo. Ha fatto carriera grazie a Silvio Berlusconi, non come velino, ma come oppositore del Capo, un po’ come i Giovani Turchi nel Pd.

Ora se la prende con Giorgia Meloni che per un conservatore come lui è un po’ come sparare sulla Madonna. Ma Travaglio è fatto così. Pur di attaccare i suoi colleghi ripudia anche il suo conservatorismo e si finge “comunista”. Ora che i Cinque Stelle sono in grande difficoltà lo si vede aggirarsi pensoso tra le future nebbie del Po sperando che sorga qualche altro giustizialista che gli salvi la cadrega.

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