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Aldo Moro, il martire pugliese della politica

Il ricordo personale del sorriso di Aldo Moro, vittima delle Brigate Rosse e martire di libertà e democrazia, nel giorno che celebra il centenario della sua nascita a Maglie (Le) il 23 settembre 1916, quando ricevette - in linea con la tradizione meridiana dell'epoca - ben tre nomi di battesimo: Aldo Romeo Luigi Moro. Politico lungimirante, accademico appassionato e raffinato giurista italiano, due volte Presidente del Consiglio dei Ministri, Segretario politico e presidente del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana.

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E' una sorta di pellegrinaggio laico quello che compio, ogni volta che mi capita di tornare a Roma, recandomi anche solo per pochi momenti in via Caetani. Davanti alla lapide che ricorda la tragedia umana di un grande statista: "Cinquantaquattro giorni dopo il suo barbaro rapimento, venne ritrovato in questo luogo, la mattina del 9 maggio 1978, il corpo crivellato di proiettili di Aldo Moro. Il suo sacrificio freddamente voluto con disumana ferocia, da chi tentava inutilmente d'impedire l'attuazione di un programma coraggioso e lungimirante a beneficio dell'intero popolo italiano, resterà  quale monito e insegnamento a tutti i cittadini per un rinnovato impegno di unità  nazionale nella giustizia, nella pace, nel progresso sociale".

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E' l'omaggio spontaneo, con un viaggio nella memoria che si ripete ogni volta davanti a quella lapide, a chi un giorno entrò con dolcezza e senza saperlo nel percorso formativo di un ragazzino di paese. Ponendo riparo col sorriso, la calma e la forza del progetto politico ad un'ingiustizia, che ne aveva segnato l'intera adolescenza.

Flash back al 2 maggio del 1967 nell'aula di quinta elementare dell'Istituto di Suore della Carità  di Troia, un piccolo centro della Daunia, in Puglia. Quella mattina Raffaele, uno dei nostri "compagni di classe" (che bizzarra è la vita, se penso alla terminologia), venne punito, rimanendo fuori e in piedi fino al nostro rientro a casa, per aver partecipato il giorno prima, insieme a suo padre, alla sfilata del 1° maggio. Una punizione incomprensibile. Uno strappo che segnò le nostre coscienze e che accese inquietanti interrogativi: Raffaele veniva punito per aver seguito suo padre. Incredibile. Ancor più per me, che facevo il chierichetto e vedevo quella famiglia di 'comunisti' ogni domenica a Messa fare anche la Comunione.

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Quella mattina del 16 marzo 1978 Aldo Moro in Parlamento avrebbe sancito il riparo a un'antica ingiustizia. Il suo era stato un lavoro tenace e paziente, per poter convincere molti cattolici (non tutti) ad accogliere i comunisti nella maggioranza. Lo dettava il senso di responsabilità  verso il Paese. Lo suggeriva proprio l'ispirazione cristiana, che imponeva di anteporre il bene comune all'affermazione di ogni identità  di parte.

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La riparazione venne interrotta violentemente da un'improvvisa frenata, a cui seguì una micidiale raffica di mitra, che lasciò a terra all'incrocio di via Fani le vite innocenti di cinque servitori dello Stato. L'impotenza, la paura e poi il terrore presero il sopravvento e per 55 giorni tennero il mondo sul filo di un'inutile speranza. Fino al dolore, all'amarezza e al dramma del corpo giustiziato e abbandonato in una Renault rossa in via Caetani. L'ingiustizia aveva trovato riparo in un'ingiustizia ancora più grande.

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Ferdinando Imposimato non usa mezzi termini a proposito dell’assassinio di Aldo Moro e di una serie di stragi ed esecuzioni eccellenti: “Oggi sappiamo che i Servizi erano deviati da politici in carne ed ossa, con nome e cognome, per loro precisi obiettivi, e che la partita era giocata sia sulla scacchiera nazionale che su quella internazionale”.

Il quadro che emerge dai suoi libri e, in particolare, dall’ultimo “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia - Perché Aldo Moro doveva morire? La storia vera” è davvero inquietante. Soprattutto se si considera che i maggiori protagonisti “oscuri” di quelle vicende sono poi approdati ai vertici istituzionali del Paese, qualcuno addirittura con funzioni di garanzia costituzionale.

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Un intreccio di interessi contrapposti che ha visto coinvolti apparati dello Stato, Forze dell’ordine, politici, bande malavitose, Servizi Segreti, organizzazioni mafiose, faccendieri e intellegence internazionali.

Ero convinto che "il mio eroe sorridente" ce l'avrebbe fatta. Nessuno aveva il diritto di spegnere quel sorriso rassicurante, che aveva calmato i miei timori di bambino con la sua stessa ciocca di capelli bianchi, messogli in braccio, in una singolare forma di omaggio, durante uno dei tanti tour elettorali nei paesi di provincia. Il sorriso e la carezza confortante avevano fatto di quel segno di diversità  un elemento di uguaglianza. Anzi, un vero e proprio motivo di orgoglio: avevo il ciuffo bianco come Aldo Moro. E lui lo sapeva.

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Anche per questo continuerò ad andare a pregare davanti a quella lapide. E chiederò ai miei figli, Eduardo e Benedetta, di farlo con me e dopo di me, e di insegnare a farlo anche ai figli dei loro figli. Affinché la forza del ricordo e dolcezza di quel sorriso alimentino a lungo la fiamma dei giusti.

(gelormini@affaritaliani.it)

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