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Solo le immagini possono imprimere e raccontare quanto è accaduto un mese fa a Ginosa, mentre oggi la Città cerca di ritornare alla normalità quotidiana nella speranza di rimettere in sesto “i pezzi” del territorio ferito. Nessuno, però, potrà più dimenticare le giovani vittime, sbalzate fuori dalle proprie autovetture e trascinate verso la morte dalla furia impietosa ed impetuosa dell’acqua, del fango e dei detriti: Rossella Pignalosa, Chiara Moramarco, Giuseppe Bari e Giuseppe Bianculli. Quest’ ultimo, ritrovato il 10 ottobre sommerso da due metri di fango, grazie all’abbaiare incessante di un cane. Ricerche tempestive ed efficienti, in condizioni difficili, senza sosta.

Tre giorni di pioggia battente, dal 6 all’8 ottobre, e poi il sole. Quel sole meridiano che, inondando di mille bagliori le distese dei campi e gli spalti della gravina infonde coraggio e  rafforza l’orgoglio identitario. Sì, l’orgoglio di essere uomini e donne  di un estremo, ma significativo lembo di Sud: Ginosa, appunto. Eppure, questo sole persistente non scalda e non può scaldare gli animi. In questo momento mette ancor più a nudo il disastro, in tutta la sua sconvolgente portata. Un disastro, che si somma «all’incubo nazionale», ovvero al dramma della disoccupazione, che si abbatte su giovani ed adulti.

La Regione Puglia ha chiesto lo stato di calamità ed  il prefetto Gabrielli, capo della Protezione Civile, lo stato di emergenza. Diversi parlamentari hanno visitato i luoghi. Imprenditori e cittadini hanno costituito il “Comitato 7 ottobre” per  poter coordinare tutte le iniziative necessarie a superare le criticità, in piena collaborazione con gli enti di governo locale, regionale e nazionale.

Certo, il bilancio è pesante. I costi di ricostruzione, secondo una prima stima, si aggirerebbero intorno agli 80 milioni di euro. Si dovrà poi pensare anche e con urgenza alla messa in sicurezza del territorio, del quale è emersa la vulnerabilità,  a distanza di soli due anni dall’alluvione di Marina di Ginosa. Non si può continuare a gestire  emergenze. L’economia della Città, a forte vocazione agricola, è compromessa poiché una consistente parte del tessuto produttivo agricolo è stata spazzata via. Molte aziende hanno perso campi di ortaggi, non risarcibili. Ettari di coltivazioni sono coperti dalla potente coltre alluvionale( foto 1). Dove gli impianti di tendoni sono stati abbattuti, i compratori - che in primavera avevano bloccato il prodotto -  chiedono il risarcimento delle caparre.

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La fertile Lama di Palo è un deserto. Sono stati strappati anche oliveti secolari. Nella zona del Pantano si percepisce appieno la potenza del fronte delle acque, ampio  oltre trenta metri, che ha travolto e coperto tutto nella sua corsa verso il Bradano( foto 2). La viabilità è danneggiata in diversi tratti. Sono crollati due ponti. Incredulità, sgomento ed amarezza pervadono l’animo nel percorrere la via del Palombaro, strada panoramica di suggestiva bellezza, interrotta in prossimità dell’omonima gravina. Gravina, ridotta ad un deposito pietroso, che ostruisce per 2/3 l’accesso alla vecchia cava di tufo( foto 3), la cui copertura franando in alcuni punti ha provocato una voragine( foto 4).

Danni anche ad abitazioni. Il 7 ottobre, quando un impressionante quantitativo di alberi divelti ha ostruito le arcate del ponte di S. Leonardo, che collega Ginosa  alla via per Laterza, si è creata una sorta di diga. L’onda di piena alta 15 metri, determinata dallo sblocco, ha abbattuto un fabbricato disabitato( foto 5), distrutto giardini con affaccio sulla gravina(foto 6) e travolto un deposito di camion ed escavatori (foto 7-8-9).

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Danni enormi in molte zone. Moto e macchine sono state trascinate nell’alveo della gravina(foto 10). Sono morti cavalli di razza. Gravi problemi anche al canile, dove i volontari hanno evitato la strage spendendosi in una gara di solidarietà straordinaria. In contrada Cavese i detriti hanno appianato il dislivello tra la gravina ed i campi circostanti ( foto11). Ovunque pali elettrici spezzati(foto 12).

Non si possono ignorare le ricadute negative sul settore turistico. In realtà, ad eccezione di quello balneare che riguarda Marina di Ginosa, questo settore stenta a decollare pienamente, nonostante la ricchezza del patrimonio naturale, storico ed artistico, forse perché non si fa rete o per la mancanza di una adeguata politica culturale. Per valorizzare appieno le risorse del territorio, sì da creare occupazione e sviluppo, non bastano singole iniziative, che ad onor del vero non mancano, ma si dovrebbe progettare un sistema integrato, capace di sensibilizzare e coinvolgere tutte le componenti socio-culturali. Qualcosa è stato avviato, ma il dopo alluvione, spostando necessariamente l’attenzione sull’emergenza e sulla ricostruzione, ha  imposto un rallentamento anche in questa direzione.

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Rispetto,infatti, all’azione sinergica avviata dalla Pro Loco in collaborazione con le forze imprenditoriali della Città  per la programmazione e la promozione della 40a edizione della Passio Christi - manifestazione premiata con il bollino “Meraviglia italiana” -  in questo momento la priorità è data dal recupero della location stessa: lo scenario del Villaggio rupestre del Casale. Nella conta dei danni, oltre alla viabilità della gravina, dove peraltro è saltato il collettore fognario, vi è la perdita di 2/3 del pianoro-palcoscenico( foto 13), spazzato dalle acque, che hanno messo a nudo grossi macigni - “li pemiti”- staccatisi dalla sommità del villaggio quando Ginosa fu colpita dal violento terremoto, che devastò la Basilicata  il 16 dicembre 1857.

Tante le domande ed i dubbi. Vi sono colpe ed a chi attribuirle? Certamente l’attenzione al reticolo idrogeologico non è stata tra le priorità delle amministrazioni. Peraltro, come mai non è stato possibile prevedere le condizioni meteorologiche? Si deve convenire però che l’evento ha avuto i caratteri dell’eccezionalità. Se l’ultimo disastro è quello del sisma testè citato, che provocò 16 morti, ricercare nella memoria storica un nubifragio di queste proporzioni significa risalire ad almeno tre secoli fa ed oltre. Infatti, fino al 7 mattina in gravina vi erano i ruderi di una chiesa subdiale costruita - come si apprendeva da un’incisione all’interno del portale in tufo - nel 1731( foto14-15).

GIN15  ingresso della chiesa crollata

A quella data - che diventa un punto di riferimento -  non c’era memoria di simili piene. Si trattava di un luogo di culto, in parte già crollato, edificato sul piano antistante un ipogeo, posto al primo livello abitativo del terzo villaggio rupestre. Il villaggio emerso in tutta la sua evidenza proprio dopo la scomparsa dei pianori e degli orti, realizzati dagli uomini in un lungo spazio temporale  con un paziente lavoro, ricoprendo di terra  gli spalti tufacei e sottraendo spazio al flusso delle acque( foto 16-17). Di questa chiesa, dopo la piena, permangono solo i resti di una delle cappelle laterali, semisommersa dal fango(foto 18).

Una chiesa si è persa ed un’altra è stata ritrovata. In realtà non si tratta di una scoperta, ma di una conferma. Il luogo sacro - del quale avevamo intuito la presenza -è venuto alla luce con il crollo della recinzione dovuta al riutilizzo, dapprima in cantina, poi in ovile( foto 19). Nella zona sottostante sono stati rinvenuti frammenti ceramici e resti umani da datare( foto 20) a conferma che la gravina è un giacimento culturale ancora tutto da scoprire.

Osservandola  offre una  visione d’insieme  impressionante. E’ di una bellezza primordiale, pietrosa, dal biancore  siderale. Il solco è ritornato ad essere il letto di un torrente, elemento, questo, di riflessione sul quale aprire tavoli di confronto, per cercare adeguate soluzioni di promozione turistica. Mentre in molte città si chiudono i centri urbani al traffico, a Ginosa non si può pensare di rendere transitabile l’alveo, né di illuminare artificialmente le grotte (peraltro, l’acqua ha spazzato via l’impianto di illuminazione- foto 21), né di realizzare bed and breakfast nel Casale.

GIN19   La cripta emersa

Il luttuoso e devastante avvenimento dà oggi, invece, l’occasione per avviare un avanzato piano di monitoraggio di tutto il territorio, gravina compresa, dove - forse - esistono soglie di rischio anche per la franosità dei massi, correlata alla quantità di precipitazione, che ha già provocato il distacco di un blocco sommitale. In fondo, la dimensione storico-antropologica, leggibile nei resti del vivere in rupe, rivela ancestrali capacità simboliche ed estetiche, produttrici di senso ed animate da profonda spiritualità, dalle quali non si può prescindere

Risuona la necessità di promuovere l’etica ambientale, mirata a rafforzare la responsabilità sociale ed il senso del limite, che impone di bloccare progetti che intendano sfruttare e mercificare anche le pietre, in nome di un presunto nuovo filone turistico e di una concezione economica dell’esistenza, organizzata su aspetti quantitativi.  Non basta acquisire ed elaborare dati; occorre fronteggiare le domande acute che l’homo sapiens sapiens si è posto fin da antica data e che forse oggi ha accantonato o dimenticato. Occorre soprattutto valorizzare la bellezza in quanto bellezza e non in virtù dello sfruttamento.

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