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PugliaItalia
La fornace dei veleni

di Ennio Tangrosso

Ancora una volta ad onta di ogni senso di umana giustizia, scaltri avvocati e lentezze giudiziarie, provano a “fare tana” e quindi “liberi tutti” a vantaggio di para-imprenditori e probi inquinatori professionali.

Nel caso di specie l’inquinamento accertato di una fornace dismessa, avvenuto a mezzo di 50 mila tonnellate circa di fanghi tossici (scarti di fonderia provenienti dal nord Italia ma anche dalla Corea e da altre nazioni) sversati e tombati illegalmente nel bel mezzo di una silente ed ex vergine vallata al confine tra i comuni di Troia, Orsara di Puglia e Castelluccio dei Sauri in provincia di Foggia, non troverebbe responsabili.

Giardinetto Korea
 

L’antefatto è questo: con un banale artificio alla fine degli anni novanta un gruppetto di “buoni imprenditori” veneti (avete letto bene, veneti non partenopei) iniziò a trasportare dei fanghi che dovevano servire a creare un impasto speciale con la locale argilla per produrre laterizi di qualità superiore. Una motivazione ineccepibile, accettabile e auspicabile.

Una manna dal cielo, una benedizione per il Subappennino Dauno, area cosiddetta depressa e afflitta da cronica ed endemica disoccupazione, vedere la possibilità di riaprire uno stabilimento che aveva dato lavoro a più di cento operai fino agli inizi degli anni ’80.

Certo è che la messa in produzione del mattone al fango avvelenato non è mai avvenuta, né tanto meno chi aveva rilasciato le autorizzazioni si prese cura, all’epoca dei fatti, di verificare che cosa si facesse nello stabilimento visto che non si producevano laterizi pur se le attività fervevano.

Comunque sia, meglio così, vi immaginate quale destino avrebbe potuto cogliere, nei prossimi anni, quelle famiglie che fossero andate ad abitare in un bel appartamento realizzato con il mattone al fango di fonderia (questi fanghi sono ricchi di cromo, mercurio, arsenico e altri metalli cosiddetti pesanti tutte sostanze assai poco salutari) più leggero, più resistente meglio coibentante (queste erano le caratteristiche attribuite al nuovo mattone)?

Daunia giardinetto troia rifiuti
 

Quando la fornace riaprì i cancelli, i fanghi, che arrivavano con un costante via vai di camion, che non si fermava neanche di notte, vennero interrati in profonde voragini scavate nel recinto dello stabilimento. Poi gli stessi fanghi impastati con il cemento servirono a pavimentare l’intero stabilimento (piazzali, capannoni, parcheggi, di tutto e di più, insomma migliaia di mq lastricati di cemento al cromo) per coprire il tutto; mentre la restante parte venne sversata a colmare i vuoti aperti negli strati d’argilla della adiacente cava dai quali, in origine, si estraeva la materia prima per far funzionare la fornace.

Infine, poco prima di togliere le tende, gli ultimi carichi riempirono per intero i capannoni industriali abbandonati (elementare Watson, avrebbe detto il più sprovveduto degli Sherlock Holmes dei Monti Dauni). Il tutto senza nessun riguardo per l’ambiente e senza alcun rispetto per i potenziali danni causati dallo spolverio delle polveri sugli abitanti dei poderi e della vicina frazione di Giardinetto.

Giardinetto procura
 

L’idea era venuta a tale Giuseppe De Munari, trevigiano, (avete letto bene trevigiano, non partenopeo) un manager esperto nel campo dei rifiuti, che aveva coinvolto gli imprenditori locali e creato le connessioni adatte, così narra il dott. Antonio Laronga P.M. del Tribunale di Lucera. Purtroppo oggi, sia Laronga che il Tribunale sono stati trasferiti altrove e questo ci si sa.

L’inverosimile è che dopo un processo durato circa 15 anni il PM (costretto da impotenza giudiziaria?) chiede assoluzioni, proscioglimenti e prescrizioni e una istanza alla Congregazione per le cause dei santi, presso la curia romana, per aprire un processo di beatificazione per tante brave e buone persone, no?

Senza aspettare l’arringa della difesa (dei presunti inquinatori) che sciorinerà di certo le molte buone e giustificate ragioni per sversare e tombare veleni, un fatto è certo: prima che il De Munari avesse la sua bella alzata d’ingegno, Giardinetto era un luogo sicuramente salubre ora nessuno potrebbe certificarne la sua originale salubrità.

giardinetto 4
 

Pertanto, oltre i cavilli e le prescrizioni un responsabile dovrà pur esserci, a meno che non si dimostri che i fanghi siano precipitati da soli sulla fornace, nel qual caso andrebbero raccolti ugualmente, magari, confezionati e venduti come reliquia di un evento miracoloso.

Parimenti professiamo il sacrosanto diritto alla difesa con un limite etico però, un limite che riesca a mantenere evidenti i contorni di giustezza di una prorompente verità. Insomma è etico e giusto difendere ogni imputato ma con il limite ed il rispetto della verità, dove evidente s’intende. Mistificare la realtà per garantire l’impunità per reati tanto evidenti e tanto gravi a danno di intere comunità dovrebbe dissuadere ogni sopraffino leguleio ad andare oltre una equa e giusta difesa.

Ora, alla luce di fatti tanto evidenti e dei relativi conosciuti autori, esiste una giustizia che di fronte alle evidenze possa sentenziare al di là delle disposizioni giurisprudenziali, dei rinvii e delle prescrizioni? Esiste una giustizia che torni a mettere al centro gli interessi comuni piuttosto che i diritti soggettivi? Esiste una giustizia giusta in grado di condannare i colpevoli pur se prescritti quantificando “l’illecito guadagno” per restituirlo come contributo a risarcimento del disastro ambientale causato? Esiste una giustizia che possa liberarci delle malie giudiziarie? Lo si continua a sperare ardentemente!

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Pubblicato in precedenza: Per PM assoluzioni e prescrizioni Giardinetto:…

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