Mbaye, lo sguardo d'ebano
Faro batik per migranti anonimi
di Antonio V. Gelormini
Pasqua di Risurrezione non è solo liturgia, penitenza, riti e/o tradizione. C'è una Pasqua in ogni sforzo di riscatto e in ogni testimonianza di voglia di vivere: condivisa e partecipata, tanto da riuscire a trasformarsi in voglia di 'far vivere'. La storia di Mbaye Ndiaye - senegalese approdato in Puglia - ha toccato i cuori di tanti e fatto vibrare di commozione gli occhi e le labbra anche dei più refrattari all'emozione.
Ne aveva parlato qualche giorno fa Guglielmo Minervini in una delle sue "pillole mattutine", col titolo Volti, postata sulla sua bacheca facebook: "C'era fierezza nell'espressione di Mbaye, faccia scura come un ebano. Stava mostrando con orgoglio il primo batik, raffinato ed elegante, prodotto dal laboratorio senegalese promosso con Principi Attivi. Stringeva un pezzo di stoffa ma è come se stesse mostrando la sua Africa".
"Gliel'ho fatto notare. E lui mi ha risposto che si sentiva dentro la sua "negritudine", quella del grande Sengor. Il suo modo di stare qui, a San Severo, in "Casa Sankara", ma senza mai perdere il filo con la propria identità, con le proprie radici. Come dire: l'integrazione non è omologazione. E' contaminazione. E' relazione".
Mbaye, però, sale agli onori della cronaca e diventa una bella testimanianza di auguri per un'autentica Pasqua di Risurrezione per l'amore verso il Paese che lo ha adottato. E per il progetto che vuole perseguire con la sua fondazione: costruire case per i suoi connazionali, che ora vivono in una bidonville tra Foggia e San Severo.

Mbaye in Senegal aveva un'agenzia immobiliare. La speranza di un futuro migliore per i suoi tre figli e per il Senegal e una moglie che spesso viaggia, come cantante al seguito di Youssou N'dour, lo spingono a scappare dall'Africa verso l’Europa. Arriva in Italia, prima a Milano (da un cugino) e poi in Puglia. Unica possibilità, però, è fare il venditore ambulante.
Un giorno capita a San Severo (Fg) e incrocia una realtà che non immaginava: "Non credevo potesse esserci più povertà che nel mio Paese", racconta, "Conterranei impiegati nei campi, per raccogliere pomodori, pagati 3,5 euro l'ora. Donne costrette a prostituirsi". Lavora e si stabilisce a Foggia, dove condivide un appartamento con una decina di persone.
A Foggia sente parlare del 'ghetto', una bidonville nascosta nella campagna del tavoliere tra Foggia e San Severo, dove vivono centinaia di africani. Un girone dell’Inferno. Un incubo debordante di segregazione razziale, presidiato da caporali bianchi e caporali neri: dove identità, rispetto e concetto di persona sono lontani anni luce dal comune sentire e la vita è un continuo prezzo da pagare: anche per l’aria che respiri. Figurarsi il necessario quotidiano o addirittura il resto. Inutile dire quanto e come ogni tipo di traffico possa proliferare in tale aberrante e animalesca situazione.
"Quando sono entrato lì dentro, e ho visto dove vivevano i miei connazionali, ho capito che dovevo fare qualcosa" racconta Mbaye. Prova allora a risedersi, idealmente, alla scrivania della sua agenzia immobiliare in Senegal, e comincia a pensare a suo padre che faceva il muratore. "Ricordo che quando ero ragazzo e volevo dei soldi mio papà mi diceva 'vieni a lavorare con me in cantiere, il denaro si suda'. Così ho imparato a tirare su i muri".

Mette in pratica le sue conoscenze. Con alcuni amici ha avviato l’esperienza di Principi Attivi a Bari e va a parlare con le istituzioni pugliesi, la Regione in primis. E così, con suo nipote Hervé Thomas Sankara, prende in gestione un albergo diffuso, per accogliere tanti suoi amici africani portandoli via dal ghetto. Ma lo sguardo d’ebano di Mbaye è proiettato ben oltre. Questo non basta.
Spinge i suoi inquilini del Thomas Sankara a costituire la cooperativa La Senegalese e si lancia in Ghetto Out, un progetto che prevede l'autocostruzione di moduli abitativi e l'auto-sostentamento alimentare attraverso la coltura di cereali, sui terreni inutilizzati accanto all'albergo diffuso. "Vogliamo costruire le case del futuro, trenta metri quadri in cui possano vivere cinque persone".
Alcune associazioni italiane, come Libera, lo stanno già aiutando. Il sogno della Belleville immaginata alla partenza dal Senegal ora è realizzabile. Manca soltanto l'ok per l'uso dei suoli e poi Mbaye e i suoi connazionali potranno cominciare a costruirla.
La storia di Mbaye e dei suoi amici ha ispirato un’altra realizzazione: quella di un suggestivo documentario, firmato da Francesco Bellizzi e Roberto Tenace, proprio dal titolo Belleville. Tra gli attori: Nadine, la prima ragazza ad aver avuto il coraggio di raccontare quello che ha vissuto e si vice nel ghetto.
E’ una grande gesto d’amore per l’Italia e per la Puglia quello di Mbaye, tutto centrato sulle potenzialità dell’integrazione: “Dimmi dove abiti e ti dirò quanto sei integrato. Questa è la mia sfida - ripete con convinzione e decisione Mbaye Ndiaye del Senegal- e quando riusciremo a far chiudere il ghetto, porterò mia moglie e i miei tre figli a vivere qui. Voglio continuare a fare case".
(gelormini@affaritaliani.it)