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Fisco e Dintorni
La Corte Europea boccia la norma sulle targhe estere
Avv. Margherita Kòsa

Lo Stato italiano per oltre tre anni ha incassato elevate sanzioni pecuniarie e ha causato ingenti danni ai cittadini sulla base di una norma macroscopicamente illegittima.

Le giustificazioni del Governo italiano si fondano su delle semplici presunzioni generiche di abuso, ritenute irragionevoli dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e non costituenti motivi imperativi di interesse generale. Secondo la Corte sovranazionale i soggetti definiti dalla stampa italiana "furbetti" sono stati sanzionati per un fatto lecito e meritevole di tutela.

Il caso esaminato dalla Corte è relativo alla contravvenzione elevata, in data 17.2.2019, ex art. 93 comma 1-bis Codice della Strada, ad una coppia di coniugi, da parte della Polizia Stradale di Massa Carrara. Il marito risultava residente in Italia, mentre la moglie in Slovacchia con i due figli. La coppia e figli si stavano recando al supermercato a bordo dell’auto di proprietà della moglie, immatricolata in Slovacchia. L’auto veniva condotta inizialmente dalla donna e successivamente dal marito. Le modifiche del Codice della Strada erano in vigore da un paio di mesi circa e la pubblica amministrazione effettuava assiduo controllo delle auto targate all’estero e dei loro conducenti che a dire del Governo sarebbero dei “furbetti” intenzionati ad eludere delle norme.

Il ricorrente, con il patrocinio dell’Avv. Margherita Kòsa del Foro di Milano, con Ricorso ex art. 204-bis Codice della Strada, impugnava la citata contravvenzione richiedendo al giudice adito la disapplicazione della norma, in quanto in palese contrasto con le normative europee ed in subordine di rimettere la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, al fine di ottenere una pronuncia pregiudiziale.

Il Giudice di Pace di Massa, in persona del Dott. Alfredo Bassioni, con ordinanza del 16.6.2020 (RG. n. 183/2019), rimetteva la questione alla CGUE (C-274/20), richiedendo di verificare se il citato articolo potesse, anche solo in maniera indiretta, occulta e/o materiale, limitare o rendere difficoltoso, per i cittadini europei, l’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri, l’esercizio del diritto di libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, della libertà di stabilimento e della libertà di prestazioni dei servizi, circolazione dei capitali, influire in qualche modo sui suddetti diritti e/o di essere discriminatrice sulla base di nazionalità.

La Commissione Europea, il Governo italiano, nonché gli Stati membri interessati depositavano delle Osservazioni scritte.

Parte ricorrente richiedeva inoltre di fissarsi pubblica udienza, al fine di illustrare, in replica alle Osservazioni del Governo italiano, quanto siano irragionevoli le giustificazioni a supporto della violazione delle norme europee, addotte dall’Italia. La Corte riteneva pronta la questione per la decisione e le ulteriori chiarificazioni superflue e quindi tratteneva la causa in decisione.

Con sentenza pronunciata in data 16.12.2021 (C-274/20) la Corte ha dichiarato che l’art. 93 comma 1-bis viola le normative europee ed in particolare l’art. 63 del TFUE, secondo cui sono “vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri”, in quanto il prestito transfrontaliero di autovetture costituisce movimento di capitali.

Di conseguenza, a risposta alle questioni sollevate dal giudice del rinvio la Corte dichiara che l’art. 63, par. 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato membro, a prescindere dalla persona alla quale il veicolo è intestato, senza tener conto della durata di utilizzo di detto veicolo nel primo Stato membro e senza che l’interessato possa far valere un diritto a un’esenzione, qualora il medesimo veicolo non sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel primo Stato membro a titolo permanente né sia, di fatto, utilizzato in tal modo.

Per i motivi sopra esposti la Corte (Sesta Sezione) ha dichiarato:

“L’art. 63, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato membro da più di 60 giorni di circolarvi con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, a prescindere dalla persona alla quale il veicolo è intestato, senza tener conto della durata di utilizzo di detto nel primo Stato membro e senza che l’interessato possa far valere un diritto a un’esenzione, qualora il medesimo veicolo non sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel primo Stato membro a titolo permanente né sia, di fatto, utilizzato in tal modo”.

(Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 16 dicembre 2021, nella causa C-274/20, composta da L. Bay Larsen, vicepresidente della Corte, facente funzione di presidente della Sesta Sezione, N. Jaakinen (relatore) e M. Safjan, giudici, avvocato generale A. Rantos, cancelliere A. Carot Escobar, giudice rimettente A. Bassioni, giudice di pace di Massa Carrara, avvocato ricorrenti M. Kòsa (avvocato del Foro di Milano), per il governo italiano G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P. Garofoli, avvocato dello Stato).

La norma in esame, come prospettato dalla difesa dei ricorrenti e dal giudice del rinvio, in astratto risulta violare molteplici norme europee, non solo l’art. 63 TFUE che la Corte ha deciso di applicare al caso in esame, in quanto meglio rispecchiava la situazione concreta. Ciò non significa che la norma, al di fuori dei prestiti gratuiti transfrontalieri, possa considerarsi legittimamente applicabile.

La Corte ha comunque chiarito che le giustificazioni sollevate dal Governo italiano non sono idonee ad ammettere la violazione di nessuna norma europea:

  • lo Stato italiano è autorizzato ad assoggettare a tassazione solo auto utilizzate in maniera permanente sul territorio italiano;
  • la norma di fatto si fonda su una semplice presunzione di abuso, del tutto irragionevole;
  • non è dato comprendere perché le autorità italiane avrebbero difficoltà ad identificare i residenti italiani che circolano con auto targate in altri Paesi;
  • non è dato inoltre comprendere perché il risparmio sulla polizza assicurativa deve considerarsi un atteggiamento illecito;
  • la riduzione delle entrate fiscali non può considerarsi un motivo imperativo di interesse generale.

Le citate considerazioni venivano meglio esplicitate dalla difesa del ricorrente nell’Istanza di fissazione di pubblica udienza.

Alla luce della sentenza della CGUE, i giudici italiani e la pubblica amministrazione devono necessariamente disapplicare l’art. 93 comma 1-bis del Codice della Strada. Lo Stato italiano deve invece provvedere alla urgente modifica del citato atto normativo. In caso contrario la Commissione europea potrà avviare una procedura formale di infrazione contro lo Stato italiano.

 

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