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Il Sociale
Anziani, attenzione all'amministratore di sostegno... o di saccheggio?

L’amministratore di sostegno, come spiega il sito del Ministero della Giustizia, è una figura istituita per quelle persone che, per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovano nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. Gli anziani e i disabili, ma anche gli alcolisti, i tossicodipendenti, le persone detenute, i malati terminali possono ottenere, anche in previsione di una propria eventuale futura incapacità, che il giudice tutelare nomini una persona che abbia cura della loro persona e del loro patrimonio. 

Su Affaritaliani.it la testimonianza che racconta e denuncia l'esperienza con la figura dell'amministratore di sostegno

Caro Angelo,

scrivo di un problema che riguarda gli anziani, e so che sul tema tu hai sempre avuto una grande sensibilità che hai messo al servizio dei lettori, creando la sezione Il Sociale, unico quotidiano che vi dedica il risalto dell'attualità. La mia è esperienza personale, che divulgo come giornalismo di servizio dopo aver raccolto tra coloro che l'hanno ascoltata la preoccupazione che possa accadere ad altri. Una storia in cui ciascuno si perde un pezzo per raccontarsi una verità confortevole. L'idraulico nota mio padre ultraottantenne sghignazzare in modo anormale, coloro che hanno un compito intellettuale non se ne accorgono.

Papà, che ricorderai avevo assistito nella malattia come un bambino, aveva preso una china violenta, che ti avevo accennato, sapendo che tu avevi avuto altrettanta cura di una mamma adorabile. Mi sono messa in salvo, tra mille vicissitudini, poiché continuava a ripetere che mi ammazzava. Non l'ho lasciato alla deriva. Mi era stato assicurato dal medico della Asl intervenuto al domicilio che un assistente sociale l'avrebbe seguito. Quando mi hanno avvertito che si trovava ricoverato in ospedale sono venuta a scoprire che non si sa come né perché l'anziano era solo e mal circondato. Mi è preso un colpo.

Io stavo cercando di ricostruirmi da quello che gli scienziati, sai gli scienziati leader che intervistiamo, chiamano “stress post-traumatico”: difficoltà nell'attenzione, turbe del sonno, calo immunitario. Per inciso in Italia, a Genova, dove si svolgeva il mio calvario, a nessuno era venuto in mente che questa è una patologia ampiamente riportata nella letteratura scientifica. Altro fallimento del sistema assistenza agli anziani e familiari “caregivers” di un malato con neuro-degenerazione. Papà, da militare, è sempre stato una roccia e non si accorge che una parte di lucidità l'ha lasciato.

Ogni volta che spiego la mia condizione e chiedo aiuto mi trovo in una situazione imbarazzante. “Imbarazzante per loro che non capiscono!”, mi corregge lo scienziato americano John Morris, a capo della sperimentazione mondiale sull'Alzheimer, al quale mostro il video di mio padre che brandisce una sedia contro di me che indietreggio per il colpo, che ha commutato la funzione del cellulare facendo partire la registrazione accidentale. Intuisce al volo. “E' sempre stato così?”, domanda. Non nego che è violento ed io sono la sua bambina. Negli Usa i caregivers sono rispettati come eroi (https://content.govdelivery.com/bulletins/gd/USNIHNIA-170bee2?wgt_ref=USNIHNIA_WIDGET_2).

L'ospedale mi dice che è mio dovere occuparmi di mio padre o mi denunciano. L'ho appena raccontato, ma non hanno capito il dramma della violenza su una donna da parte di un familiare che è il genitore, figura che conosci quando nasci. Mi faccio forza a ripetere che mi sono arresa all'ennesimo atto di violenza. Assicurano che hanno una soluzione. Si chiama “amministratore di sostegno”. Ti presentano un qualcosa con l'etichetta rassicurante.

Prima insistono affinché la figlia firmi la richiesta, ma la figlia che ha assistito il padre e che gli vuole bene non sta affidando un oggetto. L'amministratore di sostegno viene nominato senza la mia firma. Mi dicono che è un incarico temporaneo, se ho un'alternativa posso comunicarla all'udienza davanti al giudice tutelare. Bisogna aspettare nello status quo. Io rassicuro il genitore ripetendo come una stupida il poco che ottengo di sapere: è una persona che ha un ruolo istituzionale, una garanzia per te. “Quella è fissa qui in reparto e manda a chiamare questa gente. Lo fanno per dare un lavoro ai giovani, degli anziani gli importa nulla”, obietta papà. Osservo che chiedono ai familiari di altri pazienti “qui una firma... ”. Un'anziana sullo sfondo piange ripetendo “perché... ?”. Siamo in una Regione con una popolazione di pensionati.

“Quella” è un'assistente sanitaria che urla addosso alla carrozzina di papà addestrato a combattere. Il tono, la freddezza, la scena evocano alla mente il destino di un deportato. E' l'inizio della fine di mio padre. Corro dai medici a chiedere che spieghino a chi medico non è che una persona della sua età, con la fragilità delle sue arterie, NON PUO' essere assalita verbalmente in un reparto di cure geriatriche. Surreale precisarlo?

L'amministratore è Dottoressa in Servizio sociali, sorride molto e gli si rivolge come nell'infanzia al minore. Solo che papà non è quel tipo di anziano. Io credevo che personale qualificato pensasse l'approccio secondo la personalità di chi ci si trova ad aiutare. L'agenzia americana NIA invia periodicamente agli anziani una newsletter in cui li esorta a mantenere attivo il cervello: uno dei consigli è di occuparsi dei pagamenti di tasse e fatture. Papà lo aveva sempre fatto. Inoltre studiava le normative, seguiva i conti della gestione del condominio. Nella malattia ha mantenuto le abilità esercitate a lungo. All'improvviso è costretto ad alzare la voce per non farsi strappare la dignità, lui che ha 89 anni e mezzo e patologie che richiedono serenità, avvilito a non conoscere i movimenti sul conto corrente, lui che orgoglioso ripete “non ho mai fatto una lira di debito!”.

Si crea un pericoloso dualismo apparente, di me che papà vuole gli riferisca che cosa l'amministratore di sostegno sta facendo, coltiva la speranza che io riesca a tenerlo informato, perché non si fida, e l'amministratore di sostegno, l'unico che ha la visione dell'estratto conto, riceve le richieste delle rate di condominio, e quant'altro. Papà si agita ad ogni attesa delusa. E' intuitivo che togliere un'abitudine lunga 89 anni e mezzo causa uno shock. Io, presente, risulto inesistente. Chiedo che papà non sia trasferito prima di pranzo, piove e fa freddo. Non credo ragionevole che un malato più vicino ai novantanni che agli ottanta stia meglio movimentato come un pacco. Non ho modo di proteggerlo. Per non sovrappormi, riparto sino a quando ci sarà l'udienza, scandendo che papà – che non è un vegetale – sia informato perché lui ha una lunghissima consuetudine a gestire da sé i compiti. Non deve sentirsi annullato. Mi fido.

Mio padre muore prima dell'udienza. L'amministratore di sostegno, alla quale chiedevo come stava, col consueto ritardo mi scriveva che “le condizioni di salute di suo papà sono stabili: discreta la deambulazione seppur con il supporto di un apposito ausilio e stabile la condizione psicofisica”. Invece chi era andato a trovarlo l'ha visto talmente debilitato da scattargli una foto. Saltano fuori incongruenze che, come giornalista, sono abituata a metter in fila.

Ne ho già viste tante, ne ho subito di più, le volte che ero talmente prostrata da non vedere i pericoli, che per essere sicura di chi dice/fa che cosa ero rientrata nella casa abitata da papà mentre lui si trovava in ospedale girando un video. Chi mi apre la porta – a cui era stata cambiata la serratura – non sa spiegare perché la casa è devastata e saccheggiata. Va da sé che ogni colloquio a cui partecipo è registrato – i giornalisti hanno questa abituale necessità – per essere certa di capire bene al netto della mia emotività.

Chiedo a papà se ha regalato qualcosa. Lui sicuro: “Io non ho regalato proprio niente. Se manca qualcosa se lo sono preso. O prima. O sennò hanno le chiavi”. Povero papà, una parte del cervello si rende conto che era facile rubare a lui, troppo anziano per controllare come una volta i movimenti sospetti. “L'Ombretta se arriva fa piazza pulita. Quell'altra che c'è insieme lo stesso”, avverte papà. “Quell'altra chi?”, gli chiedo. “Quella cilena che c'è”. Caro papà, tu non stai vaneggiando, la compagna di chi ti ha avvicinato per la strada con la scusa di diventare amico e che ti prosciugava la pensione è cilena.

Agli appuntamenti che prendo nello studio dell'amministratore di sostegno mi presento anche accompagnata. Non avrei mai voluto riascoltare quello che ho sentito. “Mi dà diecimila euro?”, è l'esordio ironico con cui papà accoglie l'amministratore di sostegno. Lei: “Con chi vive?” “Con nessuno”. “Chi le dava una mano prima di essere ricoverato?” “Io”. La voce di papà dice “per forza mi sento male”. Io continuo a sostenere che l'amministratore di sostegno viene nominato per dare un aiuto all'anziano e che lo proteggerà. Papà: “Sono abbandonato, ieri non è venuto nessuno, oggi non è venuto... “.

Mio padre era furioso nel non sapere se un prelievo di 750 euro era stato usato per pagare l'amministrazione di condominio. Chiede all'amministratore di sostegno di verificare. “Fatevi rilasciare la lettera e la ricevuta”. Nessuna risposta. Papà vuole chiamarla al telefono. Non risponde. Lasciamo messaggi sul cellulare. Dopo alcuni giorni ci assicura che verrà a riferire a papà l'esito della verifica. Lui l'aspetta con ansia sino al lunedì successivo, con l'estratto conto. Mi si spezza il cuore alle sue parole: “Io ho fatto dei sacrifici enormi, non ho dormito la notte ed il giorno, li ho fatti per te e per la mamma. A me i soldi non li ha regalati nessuno”. 

Non arriva. Una voce al numero dello studio dice che non sa come rintracciarla. E' seccata di essere stata scambiata per la segretaria. La supplico di prendere il messaggio perché non voglio che un anziano sia affossato dallo stress. Ho chiesto consulenze sulle cure anche stavolta. Eticamente per me un cuore che batte è un cuore che batte. Alla fine l'amministratore di sostegno conferma che i 750 euro sono stati spesi per pagare la quota di amministrazione. Lo conferma a papà, “Silvano mi ha detto che li ha usati per pagare l'amministrazione”, poi lo riconferma a me ed al mio accompagnatore in studio. Papà muore. Cercando un documento per le esequie mi trovo tra le mani la ricevuta di bonifico bancario con cui papà aveva pagato la rata di 609 euro poco prima del ricovero in ospedale. Aveva rispettato la scadenza, nel trambusto deve essersi confuso di non averlo fatto. O devono averlo confuso.

Comunico all'amministratore di sostegno la traccia del pagamento. Esclama “Urca!” davanti a me ed al mio accompagnatore. Apprendo che nessuna rata di amministrazione è stata pagata dall'amministratore di sostegno. Me ne occupo io. Ricordando la volontà di papà, chiedo per iscritto all'amministratore di sostegno come sono stati spesi i 750 euro che papà aveva consentito all'uomo che gli si era affiancato di prelevare per fare fronte al pagamento che, dal letto d'ospedale, non avrebbe potuto onorare da sé. Papà: “Questo qui ha voluto le chiavi... in casa c'erano 1500-1600 se l'è presi... avevo già perso la fiducia 2-3 volte... “ Io: “avevi già perso la fiducia? Perché?” Perché mi ha chiesto i soldi”, mi risponde senza esitazione. Aggiunge: “Se io non vengo a casa domani fatti dare il bancomat e tutte le fatture che ha pagato.”

L'amministratore di sostegno sostiene che papà aveva autorizzato l'estraneo a gestire il bancomat. Mi scrive: “Essendo precedente al giuramento di amministratore di sostegno, purtroppo non ho potuto fare nulla in quanto suo papà mi aveva confermato di essere a conoscenza dell'esistenza del prelievo e dell'ammontare dello stesso, confermando che era sua volontà quella di aver fatto gestire il bancomat al Sig. Silvano durante il ricovero ospedaliero”.  E' colpa dell'ottantanovenne avere consegnato il bancomat. “Io sono stata nominata per proteggere il suo conto corrente in banca”, assicurava al beneficiario dell'amministrazione di sostegno. Papà le aveva chiesto di verificare.

Ma perché non hai protetto l'amministrato? I medici avevano visto il paziente col capo reclinato, “era quasi in coma” per il primario, e hanno refertato il disturbo cognitivo. Invece la professionista della difesa degli anziani gli attribuisce post-mortem una chiara volontà. Sei un amministratore di sostegno, devi rendere conto ad un giudice, ammetti l'errore, penso io. Però con le notizie sulla salute che non coincidono con la foto sono due, con l'ambulanza che corre verso una destinazione che lui non conosce e che lo fa urlare di disperazione – sì altra disperazione su un paziente cogli esiti di un acuto problema cardiovascolare – al telefono con un amico sono tre. D'accordo che non era pronto per ritornare alle cure a domicilio, ma almeno esser informato su dove lo conducono è un suo diritto. Papà non c'è più ed io sto subendo un traumatismo. Il trauma è il primo colpo, il traumatismo è il secondo colpo (Cyrulnik, Stewart, Freel ed altri).

Lascerei perdere se non fosse che mi capita sotto l'occhio l'email con cui l'amministratore di sostegno mi comunica che il giudice le ha liquidato il giorno stesso il compenso e che si è premurata di ottenere già l'atto per prelevare dal conto corrente la somma.

Le chiedo se ha la gentilezza di inviarmi copia dell'atto del giudice. Per la memoria di papà che voleva esser informato. Non è mai stato mostrato neanche il contenuto dell'atto di nomina. Non ricevo email di risposta da lei. Mi arriva invece quella del Direttore della banca che mi riferisce che l'amministratore di sostegno si è presentata in banca per il prelievo.

Ma davvero? I colleghi della stampa straniera mi chiedono che cosa mi succede. “Genova? La città dove le Istituzioni non rispettano i diritti della persona!”, ricorda il corrispondente inglese che seguiva il processo sugli abusi durante il G8.

Ti riferisco i fatti, caro Direttore. Ho cominciato a parlarne ed ascolto il commento “devo dirlo in giro, sennò se qualcuno ha bisogno non s'immagina a cosa va incontro”. Un economista francese rimarca con sgomento: “E' grave farsi passare sotto gli occhi 750 euro di un anziano!” Tu mi chiedi se possiamo pubblicare.

Se la mia storia può esser utile ad altri, questo è per me il giornalismo.

Paola

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