Conte e quell'sms di mezzanotte ricevuto da Buffon: il tecnico bianconero si racconta in un libro

A pochi giorni dalla conquista del secondo scudetto consecutivo sulla panchina della Juventus, è uscita l’attesissima autobiografia del nuovo uomo-simbolo del calcio italiano.
Dai campi di provincia della sua Lecce agli infiniti successi con la Juventus, prima da giocatore e poi da allenatore, Antonio Conte rompe la proverbiale riservatezza per raccontare senza filtri la sua storia: i maestri, i compagni e gli avversari, le partite più belle e le delusioni più cocenti. Guardando sempre tutti a testa alta, anche quando ripercorre la tempesta giudiziaria del calcioscommesse che lo ha investito nell’estate 2012. Antonio Conte, l’uomo giusto per riportare alla Juventus la gloria e l’orgoglio troppo a lungo perduti. Antonio Conte, l’uomo di mille battaglie e di oltre quattrocento presenze in bianconero, tredici anni arricchiti da tutto quello che c’era da vincere in Italia e nel mondo. Antonio Conte, passato da ragazzo al Lecce dalla Juventina – un nome un destino – in cambio di otto palloni e della promessa fatta in famiglia di continuare a studiare. Antonio Conte, arrivato a Torino in punta di piedi nel novembre 1991 e cresciuto sotto l’ala buona del Trap, che alla fine di ogni allenamento si ferma con lui in campo per migliorare le doti tecniche; che gioca accanto a Zidane e Del Piero, pupilli amatissimi dell’Avvocato, e si impone a furor di popolo come Capitano indiscusso per la sua grinta infinita. Antonio Conte, che quando appende le scarpette al chiodo riparte da zero, come piace a lui, col vento contro e un proposito fermo: “Se entro qualche anno non arrivo alla panchina di una grande squadra, smetto”. Dopo gli anni preziosi dell’apprendistato tra Arezzo, Bari, Bergamo e Siena – arricchiti da due promozioni in A – per lui si spalancano le porte di casa: la Juve lo vuole per tornare grandi insieme. È Scudetto al primo colpo e l’anno dopo arriva l’indimenticabile bis. Perché, secondo il credo di Antonio Conte, “non c’è spazio nella storia per chi arriva secondo. Uno solo scrive il proprio nome, gli altri possono leggerlo”.
ESTRATTI/ Testa, cuore e gambe, di Antonio Conte con Antonio Di Rosa, Rizzoli, pp. 234, € 17,50

con la maglia del Lecce da bimbo
Foto tratta dal suo libro
GLI ESORDI
Il vero inizio della mia carriera da calciatore è segnato dal passaggio dalla Juventina al Lecce, insieme con il mio amico Sandro. Il primo ad accorgersi di me è Pantaleo Corvino, direttore sportivo di varie società professionistiche. Ai tempi seguiva le giovanili della Gioventù Vernole, una squadra ricca e con un vivaio molto forte, tanto da fare concorrenza al Lecce. Corvino domanda a mio padre se io e Sandro possiamo sostenere un provino con loro e Cosimino esclama: «Antonio, tu non vai da nessuna parte! Devi studiare».
Lo imploro: «Papà, intanto lasciami andare a fare il provino, poi vediamo. Non è neppure detto che mi prendano!».
Alla fine Cosimino si convince. Nella trattativa si inserisce il Lecce, con una proposta migliore per tutti.
Così il provino lo andiamo a fare per il Lecce al Delta San Donato, un campo con l’erba. Io, in tredici anni appena compiuti, non ne ho mai visto uno: fino a quel momento ho sempre giocato sulla terra battuta o sul cemento. Supero il provino, il Lecce è pronto ad accogliermi, resta un ultimo ostacolo: papà. Lo imploro a mani giunte: «Ti prego! Non ti preoccupare, continuerò a studiare, e se non andrò bene a scuola smetterò di giocare!». Una vera e propria scena strappalacrime. Ma che, alla fine, ottiene soprattutto il consenso di Cosimino. La trattativa può cominciare.
Da presidente della Juventina mio padre segue in prima persona il passaggio. Se penso al calciomercato di oggi mi viene da ridere.
«Datemi dieci palloni nuovi e un po’ di soldi» è la prima richiesta di papà.
Gli altri strabuzzano gli occhi: «E che siamo, americani? No, no, è troppo».
«Bene, allora Antonio resta qui» bluffa Cosimino. E alla fine la spunta. Passo al Lecce insieme con Sandro in cambio di otto palloni di cuoio − usati − e di una piccola somma di denaro. Più un giocatore di Terza categoria per la Juventina. Non male per un ragazzino promettente.

LA PRIMA VOLTA DALL’AVVOCATO
«Adesso seguimi, andiamo dall’Avvocato» dice Boniperti chiudendo la porta del suo studio. «Anche lui ci tiene a darti il benvenuto.»
Non ho neppure il tempo di riflettere su quello che sta succedendo. Mi muovo come se fossi un automa, o stessi camminando dentro un sogno. Usciamo dalla sede, saliamo in macchina e ci avviamo verso la collina.
Il viso sorridente di Boniperti è un lasciapassare per tutti i controlli di sicurezza che ci aspettano. Parcheggiamo in giardino ed entriamo in casa. Per fortuna sono in giacca e cravatta, come nelle migliori occasioni.
«L’Avvocato sta arrivando» ci dicono.
Ci sediamo, in attesa. La tensione mi stringe lo stomaco. Sto per incontrare l’Avvocato, un uomo il cui fascino e carisma non conoscono confini. Meno male che non dobbiamo aspettare molto. Due minuti dopo lo vedo comparire, sorridente e con la mano tesa verso di me.
«E così lei è Conte, ben arrivato» mi dice.
«Grazie, Avvocato.»
«È di Lecce, come il “Barone” Causio, come il nostro Brio... Abbiamo avuto grandi giocatori della sua città...»
«Lo so, Avvocato. Spero di essere all’altezza...»
«E io spero che lei possa rimanere con noi a lungo.»
Avrei voluto dire qualcosa in più, ma per un ragazzo della mia età non è semplice affrontare una tale situazione. Con il passare dei minuti l’emozione si scioglie. A un certo punto l’Avvocato resta in silenzio per qualche secondo, pensieroso, poi all’improvviso riprende: «Scusi, Conte, ma lei quanti goal ha fatto quest’anno?».
Davanti a questa domanda vorrei sprofondare. La risposta sincera sarebbe zero. La verità è che fino a quel momento quello di Napoli è rimasto l’unico, più un paio in Coppa Italia. Mille dubbi mi attraversano la testa: “Vuoi vedere che Boniperti ha sbagliato giocatore? Forse l’Avvocato non aveva chiesto uno come me...”. Se Agnelli pensa che sia un centrocampista goleador, sono in guai grossi. Però qualcosa devo pur rispondere, i secondi passano veloci. Mi volto verso Boniperti in cerca d’aiuto, lui abbozza un sorriso indulgente e trovo un po’ di coraggio.
«A dire il vero finora non ho segnato tantissimo. Ma li farò, può starne certo» rispondo.
[...]
L’Avvocato Agnelli non è solo il proprietario della Juventus, ma il suo primo tifoso. Segue tutto con passione e interesse, ci viene a trovare in settimana quando ci alleniamo e quasi ogni domenica è in tribuna. Spesso, quando si presenta nel ritiro di Villar Perosa o al Comunale per l’allenamento, si porta dietro i nipoti John e Lapo, anche loro tifosissimi. Sono molto legati a noi giocatori e l’affetto è ricambiato. Lapo è il più vivace. Prima delle partite in famiglia Peruzzi lo stuzzica. Se lo porta negli spogliatoi, mettono le nostre sacche una accanto all’altra, poi gli lancia il pallone e Lapo para in tuffo atterrando sui borsoni. Suo fratello John è più composto: segue, si diverte e incita con maggiore distacco.
L’Avvocato di solito arriva in elicottero. Scende e comincia a riempirci di domande: «Come state, ragazzi, siete pronti per domenica?». Si diverte a chiacchierare con Baggio. Ma la vera gag va in scena quando, rivolgendosi al mister, gli chiede la formazione che ha in mente di schierare. Agnelli lo incalza facendo nomi e cognomi, vuole sapere con discrezione chi vedrà in campo dall’inizio. Trapattoni conosce il giochino e soprattutto quali sono i preferiti dell’Avvocato. Se ha intenzione di escluderne qualcuno dagli undici comincia a tergiversare: «Mah, vediamo... Stiamo ancora valutando le condizioni fisiche...». Cerca di mettere le mani avanti: «Vedremo un po’ nelle prossime ore...».

SCUDETTO 2012: L’SMS DI BUFFON
Mercoledì 2 maggio 2012, Juventus Stadium, ottantacinquesimo minuto di Juve-Lecce. Barzagli appoggia la palla all’indietro a Buffon, che sbaglia lo stop e di fatto la regala all’attaccante giallorosso Bertolacci: goal. 1-1 a cinque minuti dalla fine. Mi metto istintivamente le mani nei capelli: non tanto per il goal, quanto per Gigi, che infatti è come scioccato. Una partita totalmente nelle nostre mani, in cui il Lecce non aveva mai tirato in porta, diventa da un minuto all’altro uno psicodramma. La squadra vive attimi di smarrimento. A due giornate dalla fine, i giochi sono improvvisamente riaperti. Ora abbiamo solo un punto di vantaggio sul Milan e dobbiamo giocarcela fino in fondo. Dopo la partita, cerco di rincuorare i giocatori, di non infierire, ma vado a casa molto amareggiato.
A mezzanotte sento il segnale di un sms in arrivo. Lo apro per leggerlo: è di Gigi.
“Scusa Antonio, ho sbagliato. Avrei preferito rompermi i legamenti piuttosto che fare un errore così grossolano.”
Gli rispondo subito: “Non ti devi scusare per niente e con nessuno. Perché la tua storia è lì, davanti a tutti. Hai dato tantissimo alla Juventus e alla Nazionale. Non devi scusarti con me, né con i compagni, né con i dirigenti, né con i tifosi: stai dando il massimo e darai ancora di più”. Punto.
Mi piace cominciare dalla fine il racconto di questo anno magico della Juventus, perché è un episodio che contiene tutto: il mio rapporto con la squadra, la stima reciproca con i fuoriclasse, lo spirito che aleggia tra di noi. Lo Scudetto nasce da queste cose, in questi frammenti di storia, costruito giorno dopo giorno.
IL CALCIOSCOMMESSE
La cosa che più mi crea dolore in quei giorni è leggere le prospettive drammatiche che alcuni delineano parlando addirittura di carriera finita. Non sono ancora stato convocato una volta in Procura e già iniziano a girare i nomi dei possibili sostituti sulla panchina della Juve. Una carriera fondata sul sacrificio, sul sudore, nella quale nessuno mi ha regalato niente, frutto di studio e di applicazione, di disciplina e di grande severità con me stesso prima che con gli altri, rischia di finire perché una persona ha raccontato delle bugie. O meglio: ha inventato di sana pianta un racconto, che è cosa ben diversa dal modificare la realtà con una bugia.
Ma non c’è tempo per lamentarsi: gli incontri con gli avvocati si susseguono a ritmo serrato. Da subito prendo una decisione importante: sarò protagonista della mia difesa. Non subirò decisioni che non condivido, anche qualora a suggerirle siano eccellenti professionisti e non aspetterò seduto in un angolo che qualcuno mi chiami per dire la mia. Intuisco che solo partecipando attivamente potrò scegliere la soluzione giusta al momento giusto e chissà, magari anche capire perché sono finito in questa situazione.
Mi approccio alle questioni giudiziarie con il metodo che utilizzo da allenatore, martello e incalzo i miei: «Cosa possiamo fare?». Ripeto la domanda quasi ossessivamente finché, a furia di consumare le carte, non ci viene un’idea. Leggendo le motivazioni della sentenza di un processo sportivo già concluso, anch’esso basato sulle dichiarazioni dei cosiddetti “pentiti”, individuiamo un elemento che si dimostrerà fondamentale: i giudici di quel processo dicono che devono essere le difese a cercare e produrre prove di innocenza, dimostrando la “non credibilità” degli accusatori e non limitarsi semplicemente a sostenere che non sono credibili. Ecco l’appiglio che cercavamo. Saremo i primi a percorrere la strada delle indagini difensive.