Finanza
Big Data e fine del laissez-faire
John Maynard Keynes nel 1926 pubblicava il saggio “La fine del laissez-faire”. Secondo Keynes i princìpi del laissez-faire hanno avuto altri alleati oltre ai testi economici: sono stati confermati nelle menti di pensatori e pubblico dalla misera qualità delle proposte opposte, il protezionismo da una parte ed il socialismo marxista dall'altra.
“Uno degli sviluppi più interessanti ed inosservati degli ultimi decenni, sosteneva nel 1926, è stata la tendenza delle grandi imprese a socializzarsi. Arriva un momento nello sviluppo di un grosso ente in cui i proprietari del capitale, ossia gli azionisti, sono quasi interamente dissociati dall'amministrazione, col risultato che l'interesse personale diretto degli amministratori nel conseguimento di grandi profitti diventa del tutto secondario. Quando si è raggiunto questo stadio, saranno più considerate dagli amministratori la stabilità generale e la reputazione dell'ente che il massimo profitto per gli azionisti. Gli azionisti devono contentarsi di dividendi convenzionalmente adeguati; ma una volta assicurato ciò, l'interesse diretto degli amministratori spesso consiste nell'evitare critiche da parte del pubblico e dei clienti della ditta”.
Che cosa è cambiato negli ultimi novant’anni? Nulla per qualcuno, visto che le società per azioni si comportano ancora allo stesso modo, ma molto sta cambiando invece nei mercati, per via della nascita del fenomeno dei “Big Data”.
“I tradizionali meccanismi di aggiustamento tra domanda e offerta, che garantiscono il sano funzionamento dell’economia di mercato, sono sovvertiti e si traducono in forti elementi di iniquità, introducendoci in uno scenario “orwelliano” sostiene il prof. Andrew Odlyzko, matematico dell’Università del Minnesota specializzato sull’analisi degli aspetti sociali di internet e temi come la neutralità della rete e i social network, intervenuto a Roma in una conferenza organizzata dall’Intergruppo parlamentare per l’innovazione tecnologica.
La price discrimination ha un noto esempio nella differenziazione di prezzo introdotta dalle ferrovie americane nel 19° secolo: siamo tutti abituati a viaggiare in treno a prezzi diversi a seconda della classe scelta. Ma oggi la tecnologia permette una discriminazione molto maggiore, quasi perfetta. La navigazione in rete fa sì che lasciamo costantemente i nostri dati a beneficio delle aziende che hanno gli strumenti tecnologici per raccoglierli e analizzarli, creando poi profili degli utenti da cui individuano la propensione di ciascuno a spendere. Così le aziende chiedono di più a chi sanno è disposto a pagare di più. “La nozione di prezzo di mercato è la base dell’economia occidentale. Un prezzo fissato solo in base alla disponibilità del compratore a pagare è un paradigma del tutto diverso” afferma Odlyzko.
L’estrema evoluzione di questa tendenza potrebbe portarci a uno scenario economico “deviato” in cui una scatola di aspirine in farmacia costa un dollaro a chi riesce a dimostrare di essere nullatenente, o 1.000 dollari se a comprarla è Bill Gates. Siccome le differenziazioni di prezzo sono possibili solo grazie ai tanti dati raccolti (Big Data), e quindi a sempre maggiori intrusioni nella privacy, anche la privacy diventa preziosa merce di scambio e proteggerla ha un prezzo altissimo: chi non ha mezzi, dovrà fare a meno della propria riservatezza, chi ha risorse dovrà pagare per restare anonimo.
“Per le imprese si profila la possibilità di realizzare profitti enormi, è questo che giustifica gli enormi investimenti in tecnologie per Big Data e Analytics e la determinazione con cui la nostra privacy viene smantellata” afferma Odlyzko. “Ovviamente lo scenario descritto è estremo e improbabile, anche perché i consumatori non gradiscono i prezzi differenziati e la loro resistenza ne frena la diffusione, o almeno costringe le aziende a mitigare i loro tentativi di imporre la price discrimination oppure a celarli dietro strategie apparentemente vantaggiose come i programmi fedeltà o i bundles. Ma i timori sull’erosione della privacy sono giustificati e le aziende tenteranno comunque di adottare le strategie dei prezzi differenziati”.
È per questo che una stanza d’hotel o un volo last minute ha un prezzo stracciato se è l’azienda a aver bisogno di venderli, ma il prezzo sale alle stelle se è il cliente ad aver disperato bisogno di un alloggio o di un viaggio. La proposta di fasce di prezzo diverse cerca di garantire alle imprese profitti il più possibile alti, mentre crea nel mercato una percezione di iniquità che ha fatto dire a Odlyzko che capitalismo e comunismo si stanno congiungendo: entrambi mirano ai soldi dei ricchi, il comunismo per redistribuirli (teoricamente) alla comunità, il capitalismo per garantire alle aziende profitti stellari.
”La verità è che tutti diciamo che il libero mercato è un modo sano ed efficace di far funzionare l’economia, ma in realtà nessuno ama il libero mercato: le aziende preferiscono aggirarlo”, sostiene Odlyzko. “Anche i trader di valuta sono stati colti a scambiarsi favori anziché lasciare libero il mercato di decidere i prezzi”.
Odlyzko ammette che la differenziazione di prezzo può, in certa misura, creare forme di efficienza. La difficoltà sta nel cogliere il momento in cui dall’efficienza si passa alla discriminazione, alla diseguaglianza. Le lobby delle aziende, soprattutto HiTech, si sono moltiplicate negli ultimi anni perché è chiaro a tutti che le authority stanno valutando l’opportunità di imporre più regole per mitigare gli effetti che i nuovi trend possono avere sul libero mercato. “Non sarà forse nell’immediato futuro, ma io mi aspetto dalle autorità un intervento più forte e pervasivo” dice Odlyzko: “solo così si possono ricondurre le regole del mercato sui binari di un più sano funzionamento e di un trattamento equo dei consumatori”.
Paolo Brambilla
