Affari Europei
Blocco del Brennero, Dorfmann ad Affari: “Da Vienna provocazione incomprensibile”

Di Tommaso Cinquemani
@Tommaso5mani
Onorevole Dorfmann, come valuta l'ipotesi ventilata dall'Austria di reintrodurre i controlli al Brennero?
“Sono preoccupato perché ogni nuovo controllo ai confini mette in pericolo Schengen. Inoltre per noi altoatesini questo non é un confine normale. Come minoranza austriaca é per noi un obiettivo politico rendere inconsistente il confine e aumentare la collaborazione transfrontaliera”.
Si riferisce all'Euroregione del Tirolo-Alto Adige-Trentino?
“Sono quindici anni che abbiamo ormai avviato una solida collaborazione con la regione austriaca del Tirolo, con cui c'é una continuità culturale e linguistica. E' per questo che trovo grave che Vienna non ci abbia coinvolti”.
Secondo lei la presa di posizione austriaca risponde ad una incapacità dell'Europa e dei singoli Stati di arginare il fenomeno migratorio?
“Io posso comprendere che un paese come l'Austria, che si confronta con un flusso migratorio non più gestibile, riflette su cosa fare. Bisogna però tenere conto che al Brennero in questo mentono non c'é una pressione migratoria particolare, non c'é quell'urgenza che invece c'é al confine con Ungheria o la Slovenia”.
Perché allora Vienna ha fatto quelle dichiarazioni?
“Forse il governo ragiona in prospettiva e mette le mani avanti. Comincia a riflettere su come gestire uno spostamento della rotta migratoria dai Balcani verso l'Italia e il Brennero. Ma sarebbe stato utile farlo coinvolgendoci come Euroregione”.
Reintrodurre i controlli al Brennero é un'opzione percorribile?
“Si possono anche controllare i transiti, ma non si risolve il problema perché i migranti che vogliono raggiungere il nord Europa tenteranno l'attraversamento qualche chilometro più in là”.
Nel Partito popolare europeo, di cui lei fa parte, ci sono posizioni differenti su come affrontare il fenomeno migratorio. Basta pensare alla politica delle 'porte aperte' di Angela Merkel e ai muri alzati da Orban in Ungheria. Qual é la sua posizione?
“La soluzione nel lungo periodo é certamente diplomatica, di stabilizzazione dei Paesi, come la Siria, da cui i migranti partono. Bisogna però considerare che i rifugiati siriani sono solo il 30% dei migranti giunti in Europa. Molti vengono per cercare condizioni di vita migliori. L'Europa, un'area benestante, ha un obbligo nell'aiutare chi fugge dalla guerra, ma bisogna identificare chi può fare richiesta di asilo ai confini esterni”.
Si sta facendo abbastanza nel processo di identificazione dei migranti?
“Rispetto ad un anno fa si sta facendo di più e ora si é mossa anche la Nato. Bisognerebbe imparare dalla Spagna, divisa dal Marocco da uno stretto, quello di Gibilterra, largo una manciata di miglia. Eppure lì riescono a gestire i flussi”.
La questione degli hot spot é cruciale?
“Deve essere un dovere degli Stati membri sapere chi entra nel Paese, anche per una questione di sicurezza. É assurdo che lasciamo entrare in Europa migliaia di persone di cui non sappiamo nulla”.
Dunque sarebbe giusto escludere da Schengen la Grecia se non dovesse rendere i suoi hot spot pienamente operativi?
“É facile dare la colpa sempre all'Europa che non agisce. Il problema é che l'Ue non ha il potere di influire sugli Stati membri che non fanno ciò che hanno votato in Consiglio. A Bruxelles votano una cosa, a casa fanno l'esatto opposto. Ci devono essere delle conseguenze per chi non rispetta gli impegni che si é assunto”.
Il ministero dell'Interno ha chiesto anche al Trentino-Alto Adige di accogliere alcuni rifugiati. Come ha reagito la popolazione?
“Ci sono state sporadiche proteste, ma in generale la popolazione ha accolto bene i richiedenti asilo. Anzi, ci sono tantissimi volontari che assistono i rifugiati”.