Elezioni in Turchia, vince Erdogan. Bruxelles festeggia - Affaritaliani.it

Affari Europei

Elezioni in Turchia, vince Erdogan. Bruxelles festeggia

Di Tommaso Cinquemani
@Tommaso5mani

A Bruxelles hanno accolto con sollievo la vittoria della formazione del presidente Erdogan alle elezioni politiche. Il partito Akp, islamico moderato, ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento e costituirà un governo monocolore, ciò che non riuscì a fare dopo le elezioni che si sono tenute a giugno. Un vero plebiscito vista la percentule raccolta (pari al 49,46%) e all'affluenza altissima, arrivata all'87,2%. In calo l'opposizione: il partito socialdemocratico Chp ha raggiunto il 25,27%, mentre i nazionalisti dell'Mhp l'11,97%. I filo-curdi dell'Hdp, vera rivelazione cinque mesi fa, si sono invece fermati al 10,34%.

Nei palazzi delle Istituzioni europee il sollievo è grande, per almeno due ragioni. Prima di tutto perché Erdogan, nolenti o volenti, rappresenta la stabilità in un Paese e in un'area che di stabile ormai non ha più nulla. Anche se i metodi del presidente sono talvolta poco democratici, è l'unico vero alleato che l'Europa può sperare di avere in una regione cruciale per il controllo dei flussi migratori e per la lotta all'Isis.

Ma Ankara è strategica anche per i delicati equilibri internazionali, nella contrapposizione tra Russia e Stati Uniti in Medio Oriente. La Turchia è un membro della Nato, ma strizza l'occhio a Mosca (anche per ragioni energetiche). Si è schierata contro Assad, ma negli ultimi tempi si è ammorbidita, mentre cerca in tutti i modi di disinnescare la minaccia della creazione di uno stato curdo a cavallo tra Iraq, Siria e Turchia.

Stabilità dunque. Lo stesso Erdogan lo ha detto chiaro e tondo alla cancelliera Angela Merkel durante il loro incontro ad Ankara prima delle elezioni: io sono l'unica persona in grado di garantire la stabilità in Turchia e nelle regione. Forte di questa posizione il presidente ha azzittito l'opposizione interna, varando leggi giudicate da tutti gli osservatori internazionali lesive dei diritti civili. Ha chiuso diverse emittenti televisive e giornali. Ha arrestato oppositori e dissidenti, mentre la sinistra curda del Pkk lo accusa di essere dietro le stragi di Suruc ed Ankara.

Human right watch ha denunciato questo clima antidemocratico e ha accusato esplicitamente l'Unione europea di aver chiuso entrambi gli occhi pur di non irritare l'alleato. Perfino la Commissione europea ha ritardato la diffusione di un rapporto sui progressi (ma sarebbe meglio dire passi indietro) della Turchia in settori chiave per l'adesione all'Ue: diritti civili, indipendenza dei giudici, libertà di informazione.

In verità la Commissione, anche per il tramite dell'Alto rappresentante Federica Mogherini, ha tirato più volte l'orecchio ad Erdogan. Eppure, dicono a Bruxelles, bisogna essere realisti: l'Europa ha snobbato per anni la Turchia e oggi ha bisogno di lei più di quanto Ankara non abbia bisogno di Bruxelles.

Al confine con la Siria ci sono circa due milioni e mezzo di profughi fuggiti dalla guerra civile e dalle atrocità dell'Isis. Ankara ha speso nell'ultimo anno otto miliardi di dollari, mentre l'Ue ha approvato da poco uno stanziamento di un miliardo di euro per aiutare il Paese nel difficile compito di accogliere i richiedenti asilo. Erdogan sa di giocare un ruolo chiave nella gestione dei flussi migratori. Se volesse potrebbe riversare sull'Europa una umanità disperata che farebbe impallidire i numeri delle cronache degli ultimi mesi.

Questo, sommato al ruolo chiave nella lotta all'Isis, mette Erdogan nelle condizioni di poter negoziare con l'Europa da una posizione di forza. Per adesso ad Ankara non interessa diventare il ventinovesimo stato dell'Unione europea. Ciò che vuole sono fondi freschi per affrontare l'emergenza profughi e per puntellare una economia non più frizzante come qualche anno fa. Ankara pretende di essere riconosciuta come partner affidabile nell'area e chiede che Bruxelles chiuda un occhio sulla violazione dei diritti civili (e umani) e sulla questione curda.