Affari Europei
Lavoro, ecco cosa cambia se Londra chiude le sue frontiere

Il Regno Unito vorrebbe chiudere le porte dell'isola e dire basta al flusso migratorio proveniente dall'Unione europea. Chi c'è c'è e chi non c'è potrà entrare solo se avrà già un contratto di lavoro in tasca. È questa la proposta lanciata domenica dal ministro dell'Interno, Theresa May, che vorrebbe un giro di vite sull'immigrazione.
Ma cosa succederebbe se Londra riuscisse ad averla vinta con Bruxelles? I circa 600mila italiani che lavorano in Gran Bretagna non hanno nulla di cui preoccuparsi, nessuno verrà a cacciarli di casa. I problemi sorgono per tre 'categorie' di migranti: chi cerca lavoro, gli studenti e i turisti del welfare.
Partiamo dai primi. La libertà di movimento e di lavoro delle persone all'interno dell'Unione europea è sancita dai trattati costitutivi dell'Unione, perciò Schengen, di cui l'Uk non fa parte, non c'entra nulla. Ogni europeo può girare liberamente per l'Europa in cerca di lavoro. Di fatti ne hanno approfittato i polacchi, che in Inghilterra sono 790mila, ma anche gli irlandesi, 383mila e perfino i tedeschi, 300mila. Ogni anno Londra attira migliaia di persone che confidano in una economia in salute e in crescita.
Negli ultimi dodici mesi sono stati 52mila i connazionali che sono arrivati a Londra (+37% su base annua). Se la proposta della May andasse in porto quel numero si ridurrebbe a zero. Nessun italiano potrebbe andare in Gran Bretagna a cercare fortuna, almeno di non avere già un contratto di lavoro in tasca. Un piano che ha messo in allarme anche l'industria inglese che teme una carenza di mano d'opera. Niente più operai polacchi, né camerieri italiani o ingegneri tedeschi (per ricorrere a qualche stereotipo).
Certo, si può entrare da turisti, ma non del welfare. Sono chiamati così quei cittadini europei che si spostano di Stato in Stato per usufruire dei servizi pubblici offerti dal Paese di approdo. In Inghilterra significa assegno di disoccupazione, per chi si iscrive ai centri di collocamento. Assistenza sanitaria (forse la migliore in Europa), più una serie di vantaggi e aiuti pagati dallo Stato. Per questo genere di persone, una esigua minoranza, Londra ha già previsto un giro di vite, sostenuta anche dalla Commissione europea.
Ci sono poi gli studenti. Londra attira ogni anno più di 0mila ragazzi desiderosi di migliorare la propria conoscenza della lingua inglese e di studiare nei prestigiosi college britannici. Anche per loro, avverte la May, lo studio sarà una “esperienza temporanea”, finita la quale saranno gentilmente invitati a lasciare il Paese. Niente vacanza studio come trampolino di lancio per un lavoro nella City insomma.
Ad osservare la vicenda con occhi distaccati appare evidente che le proposte della May siano indirizzate soprattutto all'opinione pubblica interna, preoccupata dalla massiccia invasione di lavoratori stranieri. Il ministro del governo Cameron ha voluto rassicurare il sue elettorato, guadagnandosi la fama di donna dal pugno di ferro (da rigiocarsi in campagna elettorale per guidare il partito conservatore).
Anche perché il tessuto imprenditoriale inglese, dall'industria alla finanza, non sarebbe affatto contenta di perdere mano d'opera qualificata e menti geniali (molte delle quali fuggite dall'Italia) che stanno facendo dell'economia inglese la più dinamica del Vecchio continente. Senza contare poi che per mettere in pratica le sue proposte Londra dovrebbe modificare i Trattati Ue, cosa non facile e soprattutto che richiede l'unanimità dei Ventotto.