L’Ue alza i muri per i profughi: in confronto quello di Trump era Disneyland

L’Unione accetta i migranti ucraini ma continua a respingere quelli dal Terzo Mondo. La verità delle "Buffer zone"

L'opinione di Lapo Mazza Fontana
Esteri
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L’Europa accetta i migranti ucraini ma blocca quelli dal Terzo Mondo

Innanzitutto un piccolo memorandum per i più dimentichi delle cose (per brutte che siano) di questo mondo. Dopo decenni di immigrazione clandestina tra Messico e confine degli Stati Uniti, soprattutto lungo il bordo dei tre stati di frontiera per eccellenza, Arizona, New Mexico e Texas (la California ha una linea di confine più concentrata e quindi controllabile e controllata) gli USA decidono di recintare e poi innalzare muri di contenimento per respingere le ondate migratorie provenienti dall'intero Sudamerica, oltre che per contenere l'interscambio criminale tra criminalità interna e cartelli dei narcotrafficanti messicani, i più efferati del mondo.

Realizzato a tratti e con discontinuità temporale ben prima della presidenza di Donald Trump, il muro diventa un tema portante della sua campagna elettorale, perenne e postuma rispetto alla sua elezione a POTUS (President Of The United States). Il muro si trasforma da problema sostanzialmente locale a tema focale della destra americana ed europea, uno scontro di civiltà, a cavallo tra il reale e le emergenze concrete, le istanze umanitarie irrinunciabili o neglette, la morale cristiana della accoglienza, la mistica della civiltà occidentale, del suprematismo bianco persino, le posizioni estremiste di una sinistra ideologica e quelle ormai fatalmente diluite di una sinistra euroyankee ormai svanita e accomodata al tavolo del potere, definitivamente venduta e comprata.

Il muro della Realpolitik del (relativo e sempre più carente ed ingiusto) benessere dentro e della povertà disperata fuori. Il muro della necessità di tutelare dei confini di Stato; necessità da coniugare con la rapacità di un Occidente ormai non solo incapace di esportare democrazia e sviluppo economico, ma diventato fallimentare persino nel generare ricchezza, se non per pochissimi, in casa propria. I prodromi, ormai se ne son resi conto anche i sordociechi, del tracollo che vediamo sotto i nostri occhi, che in quegli anni era un velo dipinto, per citare Somerset Maugham, che di tracolli epocali, non solo storici, ne aveva visti e vissuti.

Ecco, tutto ciò fu solo un vestibolo per il peggio, che oggi vediamo realizzato, e non solo al confine fatale tra teoricamente ricco nord e caoticamente povero sud America, ma al confine ancora più articolato tra Europa e Asia. Milioni di profughi in fuga dalla guerra in Ucraina e ancora prima, migliaia di profughi, ma stavolta di serie B, sempre di guerra, provenienti dal Medio Oriente, addirittura importati dal dittatore della Bielorussia per essere usati come carne umana da baratto e poi abbandonati come si fa con gli animali cagionevoli di salute negli allevamenti intensivi, lasciati morire perché improduttivi. Tanto tutti devono morire no? Morire al macello per essere serviti al tavolo dei consumatori del supermaket o della gastronomia di lusso, non è così?

I profughi ucraini usati dai russi come pedine di pressione sui paesi della NATO, oltre alla guerra guerreggiata. E i profughi mediorientali dimenticati. Dimenticati perché quelli ucraini, anche e soprattutto se pronti a tornare in gran parte in patria finita la guerra, sono molti di più, oltre che europei come noi, quindi infinitamente più "meritevoli" e, in definitiva, molto più glamour. Come nel nostro precedente breve excursus dal confine tra Polonia e Bielorussia seguiamo il report aggiornato di Silvia Cavazzini, attivista di Gandhi Charity che supporta la assistenza a questi penultimi arrivati, in attesa di altri gommoni nel Mediterraneo, anche questi passati di moda e forse poi un domani pronti a tornare in copertina, come pantaloni a zampa di elefante.

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Ecco la realtà:

"Contavo le persone nella foresta con cui siamo in contatto, che stanno morendo di sete, di fame, di stenti. Sono arrivata a 96 persone di cui conosco nome, cognome, numero del passaporto: il volto, anche, visto che ci mandano le foto per denunciare la loro situazione e farci vedere la sofferenza dei bambini. Quasi la metà sono bambini. Molti di questi bambini sono malati: i genitori si sono messi in viaggio per trovare cure per loro. Tra di loro, tre neonati, uno di meno di due mesi. Due persone con una sola gamba, un ragazzo con paralisi cerebrale. Mandati via da Bruzgi, il campo profughi bielorusso, respinti più volte dalla Polonia che persegue nella sua pratica illegale di respingimenti.

Crediamo che ci siano molte più persone, circa 250 divise in 25 gruppi, chiuse in quella striscia di terra, la zona neutra tra i fili spinati, tra Polonia e Bielorussia. Nessuno si prende la responsabilità di chi muore lì in mezzo, che siano uomini, bambini o animali (perché anche gruppi di bisonti sono rimasti intrappolati e sono morti lì: abbiamo i video). Ci sono così tante persone nella Buffer Zone, la terra di nessuno, in questo momento che anche le guardie di frontiera bielorusse non sanno come gestirle, e si stanno preoccupando perché presto potrebbero esserci cadaveri di cui sbarazzarsi. Domani le temperature si abbassano e inizia a piovere.

Eppure lo sapevamo da inizio marzo che sarebbe andata così, abbiamo tentato di dirlo in tutti i modi, raggiungendo ogni tipo di istituzione e organizzazione: "Stanno mandando via le persone da Bruzgi, dobbiamo trovare una soluzione per le persone più vulnerabili, i disabili, i bambini, i malati". Silenzio.

Sembra quasi che aspettiamo il morto perché l'attenzione di tutti torni lì. Sono comunque consapevole che questa specifica frontiera è solo una delle tante in cui ci si misura con la morte. Ma forse questa, un po' più di altre, è lo specchio della violenza che cresce in Europa e della disumanità delle istituzioni, perché stiamo facendo morire di stenti centinaia di persone bloccate tra i fili spinati. Proprio vicino a noi, proprio sopra la frontiera dell'accoglienza. È il contrasto con ciò che succede poco più a sud che ci fa guardare questa frontiera con un misto di nausea e incredulità."

In attesa del prossimo Falò delle vanità. Chissà cosa ne avrebbe detto, oltre a Somerset Maugham, anche Tom Wolfe, morto giusto l'anno prima del delirio pandemico, coniatore anche del termine "radical chic", il partito, tra le mille qualità e le mille porcate, anche dei deprecatori del Berlusconi biondo Trump.

E meno male che era Trump il mostro.

 

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