Meloni cambia l'ambasciatore in Cina. Si avvicina l'ora X sulla Via della Seta

Massimo Ambrosetti, esperto di cybersecurity e studioso del ruolo globale cinese, è stato scelto a sorpresa come nuovo rappresentate diplomatico a Pechino

di Lorenzo Lamperti
Esteri

Massimo Ambrosetti nuovo ambasciatore italiano in Cina: ecco chi è

Ha studiato a Cambridge. La sua tesi di PhD si intitola: "Alla ricerca di un partenariato strategico globale tra Unione europea e Cina: ostacoli e prospettive". La tesi di dottorato alla Georgetown University invece si intitola: "Elementi ideativi e materiali nel comportamento internazionale della Cina in ascesa come potenza globale". Ed è autore di altri testi e ricerche sulla Cina. Insomma, Massimo Ambrosetti sa benissimo dove sta per arrivare. Ed è a lui che il governo di Giorgia Meloni si affida per gestire i rapporti forse più delicati per la politica estera italiana in questo momento, vale a dire quelli della Cina.

Ambrosetti è il nuovo ambasciatore dell'Italia presso la Repubblica Popolare. A Pechino si pensava che il favorito fosse il più navigato Giuseppe Maria Buccino Grimaldi, che è stato invece assegnato all'Ambasciata di Madrid in Spagna. Ma il governo ha optato per una figura diversa. Ex ambasciatore a Panama, Ambrosetti si è occupato negli ultimi tempi di cybersecurity, come direttore per gli Affari Internazionali Strategici dell’Agenzia per la Cybersecurity Nazionale.

"La cybersecurity ovviamente è una componente ormai essenziale delle relazioni internazionali, in particolare in questa fase di competizione strategica, la dimensione cyber è al centro di molti rapporti, per questo l’Italia si è ulteriormente attrezzata e rafforzata con la creazione dell’Agenzia della Cybersecurity Nazionale", ha dichiarato nel 2022 alla Gazzetta di Siena il neo ambasciatore a Pechino durante un convegno nella città toscana.

Ambrosetti, che già anni fa scriveva della nascita di un mondo multipolare in cui la Cina avrebbe potuto asssumere un ruolo di leadership, immaginandosi come l'Europa avrebbe potuto porsi di fronte all'ascesa di Pechino, avrà un compito difficile ma allo stesso tempo stimolante: tenere aperti i rapporti con la Repubblica Popolare in una contingenza cruciale nella quale Xi Jinping ha dato segnali di un possibile ruolo di "grande mediatore" tra Russia e Ucraina. O sarebbe meglio dire "grande stabilizzatore", visto che da parte cinese non sono mai arrivate proposte concrete per risolvere il conflitto, bensì una serie di principi generici attuabili per garantire la stabilità globale.

Si prepara il viaggio di Meloni da Xi Jinping: vicino il momento decisivo sulla Via della Seta

Non solo. al di là del piano globale, a livello bilaterale saranno mesi movimentati. In un senso o nell'altro. La premier Meloni potrebbe infatti recarsi nei prossimi mesi in visita a Pechino. L'invito era arrivato da parte di Xi lo scorso novembre durante il bilaterale a margine del G20 di Bali. Meloni aveva accettato l'invito, ma ancora non è stata fissata la visita. Secondo alcune voci, potrebbe avvenire in seguito a quella programmata negli Stati Uniti e che avverrà prima dell'estate. Anche se prima di allora potrebbe invece arrivare a Taiwan una delegazione parlamentare targata Fratelli d'Italia. 

Al centro del possibile e probabile summit Meloni-Xi ci sarà il tema della partecipazione italiana alla Belt and Road Initiative, comunemente chiamata Nuova Via della Seta in Italia. Frutto della firma del memorandum of understanding apposta dal governo Conte I nel marzo del 2019 durante la visita di Stato di Xi a Roma. L'accordo ha una validità di cinque anni e si rinnova automaticamente qualora una delle due parti non decida di uscirne.

Tutt'altro che scontato che il rinnovo avverrà. In realtà il rinnovo è tacito, dunque il governo Meloni dovrebbe comunicare la decisione di non rinnovarlo. Una mossa che potrebbe creare tensioni. In passato, soprattutto durante la campagna elettorale, Meloni e i suoi alleati hanno più volte detto che si sarebbero mossi per una revisione dell'accordo, definito un errore. Di recente, la sensazione è che la posizione del governo sia meno netta e che sia ancora possibile una permanenza all'interno dell'iniziativa cinese.

Anche perché le imprese italiane operanti in Cina o quelle che sono interessate ad avere maggiore accesso su un mercato immenso e in ripresa non vedono di buon occhio un ritiro, che potrebbe aprire a ripercussioni o ritorsioni da parte di Pechino.  Anche perché dalla campagna elettorale a oggi di cose ne sono cambiate tante, ma non il desiderio dell'Italia di aumentare le esportazioni verso l'immenso mercato cinese. Un tema rimasto faro della diplomazia italiana sulla Cina anche col governo Meloni, che sembrava inizialmente poter essere più incline a scatti ideologici o di principio su questioni come Tibet e Taiwan. 

"La Cina è disposta a importare più prodotti italiani di alta qualità, supporta le aziende italiane nell'espansione della loro quota di mercato in Cina e spera che l'Italia fornisca alle aziende cinesi un ambiente commerciale equo, trasparente e non discriminatorio", ha detto di recente Wang Yi, il capo della diplomazia del Partito comunista cinese, durante una visita in Italia nella quale ha incontrato l'omologo Antonio Tajani e Sergio Mattarella.

La distensione con la Cina e il possibile prossimo viaggio di Meloni a Pechino nasconondono qualche insidia sul fronte interno per la premier. Dopo i ripetuti incidenti sull'Ucraina per le dichiarazioni di Silvio Berlusconi, per FdI è ancora più importante mandare segnali di affidabilità agli Usa sul fronte asiatico.  Il neo ambasciatore Ambrosetti avrà un compito delicato ma molto importante.

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