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Affari di Genio
Si può allenare l'intelligenza?

Uno dei questionari che ci permette di identificare con maggior precisione chi è maggiormente predisposto a creare un metodo di studio personalizzato e quindi a migliorare i propri risultati nell’apprendimento è quello collegato alle cosiddette “convinzioni” rispetto alla propria intelligenza e alla propria personalità. Ci sono due domande: la prima relativa al sentirsi una bella persona o l’essere intelligenti, e l’altra che riguarda invece la possibilità o meno di migliorarsi. I dati sono incontrovertibili. Tutti ottengono qualche beneficio, ma inaspettatamente (per qualcuno almeno), il gap più grande non è tra chi sostiene di essere intelligente o una bella persona e chi non pensa di esserlo, ma tra chi pensa che la propria intelligenza e personalità siano immutabili. In gergo questo modo di pensare è definito “teoria entitaria”.

Posto quindi che indipendentemente dal credersi o meno intelligenti, l’atteggiamento mentale più produttivo è quello di chi crede nel miglioramento personale, (quindi se non ci credi, peggio per te, sei cornuto e mazziato!) è veramente solo una questione di cosa si crede? O abbiamo delle evidenze scientifiche a riguardo?

Analizziamo in breve alcuni cenni storici. 

L’”invenzione” del quoziente intellettivo nacque per risolvere un problema chiaro, concreto: identificare quali bambini avessero bisogno di un particolare aiuto nelle diverse materie scolastiche, perché il loro sviluppo cognitivo era inferiore alla media dei loro coetanei.

La prima formula fu creata nel 1912 presso l’Università di Breslavia dallo psicologo tedesco William Louis Stern mettendo a confronto le performance ottenute da bambini delle stessa età. Stern coniò il termine I.Q. definendolo come il risultato della formula: 

Q.I.= (età mentale/età biologica)*100 

Nel corso degli anni sono state fatte diverse modifiche e integrazioni per utilizzare il test anche sugli adulti, e al giorno d’oggi tipicamente un test del QI richiede di risolvere, sotto supervisione, un certo numero di problemi in un tempo prestabilito. La maggior parte dei test è costituito da domande di vario argomento, come memoria a breve termine, conoscenza lessicale, visualizzazione spaziale e velocità di percezione.

Per quasi un secolo si è ritenuto che il quoziente intellettivo fosse una misurazione immutabile dell’intelligenza di una persona: con quella nascevi e con quella eri destinato a vivere tutta la tua vita.

Attorno al 2000 invece gli studiosi hanno cominciato a mettere in discussione profondamente queste certezze radicate, rivalutando il ruolo dei fattori ambientali (naturali e relativi all'educazione) nel determinare il QI, al punto che vari studi hanno dimostrato che negli USA l'indice di ereditarietà del QI varia tra 0,4 e 0,8, il che significa che, solo circa una metà dei fattori incidenti sul Q.I. era dovuto a differenze nei loro geni. L’altra metà, dunque, doveva essere invece imputabile a variazioni nei fattori ambientali e a margini di errore. 

Unendo questi dati agli studi fatti già negli anni ’70, dallo psicologo americano Howard Gardner, padre dell’ormai famosa teoria delle intelligenze multiple, il modo di pensare della comunità scientifica in merito all’immutabilità dell’intelligenza è completamente cambiato. La teoria di Gardner secondo cui ognuno di noi ha non una bensì diverse forme di intelligenza era nata, fra le altre cose, proprio in risposta all’osservazione che ormai da tempo era stata fatta in merito alla mancata corrispondenza fra Q.I. e successo personale e professionale. 

Intelligenti si diventa

Insomma, non solo abbiamo diverse forme di intelligenza, ma è anche vero che la maggior parte di questi differenti tipi di intelligenze possono essere allenate e potenziate con l’esercizio. Perché è tanto utile identificare i propri punti di forza per costruire il proprio metodo di studio, quanto acquisire strumenti per potenziare gli aspetti meno sviluppati del nostro modo di pensare.

Anche in questo caso gli studi sono ormai tantissimi. Oltre a quelli già citati nei miei precedenti articoli sulla neuroplasticità, un altro interessante studio è quello che fu realizzato nel 2008 dall’Università del Maryland. Alcune persone, sottoposte ad un allenamento molto semplice basato su un gioco per computer, mostrarono un sostanziale miglioramento della loro capacità di risolvere problemi nuovi, apprendere, ragionare, vedere connessioni. 

Come abbiamo visto anche nell’articolo Il cervello si rigenera anche dopo gli 80 anni, se lo usi bene a differenza di quanto si è creduto per molto tempo, la ricerca ha dimostrato che il cervello non smette mai di cambiare grazie all’apprendimento.

I cambiamenti associati al processo di apprendimento permettono infatti la formazione di nuove connessioni neuronali e la modifica della struttura interna delle sinapsi esistenti.

Perciò oggi più che mai, non lasciarti definire dall’idea che hai sul tuo livello di intelligenza. Qualunque sia il punto da cui parti hai alla tua portata un modo tanto semplice quanto efficace per recuperare terreno: studiare e apprendere continuamente cose nuove!

In “Fenomeno in 21 giorni” troverai descritte alcune tecniche utili allo sviluppo della creatività e dell’intelligenza. Perché crederci non basta, ma sicuramente è necessario. Poi bisogna allenarsi!

 

Massimo De Donno 
Ideatore del Metodo Genio in 21 Giorni

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