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L'avvocato del cuore
L'aborto nel mondo di oggi, uno sguardo oltreconfine
(fonte Lapresse)

A 43 anni dalla legalizzazione dell’aborto in Italia, con la famosa “legge 194”, molti sono ancora gli Stati del mondo nei quali l’interruzione della gravidanza rappresenta un grande punto interrogativo nella sfera dei diritti delle donne.

Quando, dopo anni di lotte femministe, nel 1978 è stata introdotta nel nostro Paese la legge sull’aborto, vi era il duplice obiettivo di fornire libertà di scelta alla donna ed evitare gli allora purtroppo comuni aborti clandestini, che mettevano a repentaglio la salute - e talvolta la vita – di coloro che vi ricorrevano. Oggi, invece, abortire entro il terzo mese di gravidanza con modalità sicure e protette è un diritto di ciascuna donna, presidio di libertà e pari dignità sociale. Inoltre, l’aborto è un trattamento gratuito, che si svolge nel massimo rispetto della privacy della paziente, secondo il criterio della riservatezza, e non è previsto un numero massimo di volte nelle quali vi si possa ricorrere.

Esistono due tecniche per interrompere volontariamente la gravidanza: il metodo farmacologico e quello chirurgico. Anche se negli ultimi anni le donne ricorrono sempre più spesso al primo (meno invasivo, se si considera che è sufficiente assumere il farmaco RU486), l'interruzione chirurgica della gravidanza resta comunque molto diffusa. Ciò nonostante, il tasso di abortività in Italia rimane uno dei valori più bassi a livello europeo, pari a 6 donne su mille (con un’età compresa tra i 15 e i 49 anni).

L’aborto è consentito anche nella maggior parte dei Paesi europei e avviene principalmente su richiesta della donna, senza restrizioni se non quelle imposte dalle settimane di gravidanza ed eventualmente dall’autorizzazione dei genitori, nel caso di gestanti minorenni. Ma non dappertutto è così. In molti Paesi (principalmente del Sud America, dell’Africa, del Medio Oriente e del sud-est asiatico), l’aborto è strettamente limitato dalla legge, consentito solo in casi estremi o, addirittura, considerato illegale.

Non serve tuttavia andare troppo lontano per scontrarsi con scelte rigide e di indirizzo ultra conservativo. E’ il caso della Polonia, dove, una sentenza della Corte Costituzionale del 22 ottobre scorso ha stretto ulteriormente le già strette maglie della normativa in tema di aborto, dichiarando anticostituzionale (in quanto non conforme agli articoli della legge fondamentale sulla protezione della vita del nascituro) ogni tipo di aborto, a meno che la richiesta non provenga da donne vittime di incesto o stupro, o a meno che non sia in pericolo la vita della madre. Illegale, quindi, per i giudici polacchi, anche l’interruzione di gravidanza nel caso di malformazioni gravi e letali del feto o di problemi sanitari tali da implicare l’inevitabile morte post parto del neonato. Non a caso, proprio in Polonia, negli ultimi anni, sono aumentati esponenzialmente gli aborti cd. clandestini realizzati spostandosi nei Paesi limitrofi, dove l’interruzione di gravidanza è permessa, arrivando a contarne quasi duecentomila all’anno. Le restrizioni ai viaggi imposte dalla pandemia hanno tuttavia reso questi spostamenti molto complicati, o addirittura impossibili, privando così definitivamente migliaia di donne di un proprio diritto.

Inutile dire che numerose associazioni che combattono quotidianamente per i diritti femminili sono scese in piazza a manifestare contro questo “passo indietro” nella civiltà occidentale, soprattutto se si considera che la Polonia è uno Stato membro UE e, come tale, è tenuta a rispettare la linea comune europea che riconosce nel diritto all’aborto un diritto fondamentale della donna. Non a caso, infatti, a seguito della drastica svolta polacca, si è espresso in merito il Parlamento Europeo, che con una risoluzione del 26 novembre scorso, ha sottolineato che, anche in linea con la costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, le leggi restrittive sull'aborto sono considerate una vera e propria violazione dei diritti umani delle donne. Il Parlamento ha ribadito, con vigore, come i diritti delle donne siano diritti fondamentali e come le istituzioni UE e gli Stati membri abbiano l’obbligo giuridico di rispettarli e proteggerli.

A bilanciare, se così si può dire, questa retrocessione dei diritti sul fronte polacco, ci ha pensato l’Argentina, che lo scorso dicembre ha approvato la legge sull'interruzione della gravidanza, ammettendo il ricorso all’aborto volontario fino alla quattordicesima settimana di gestazione. Una decisione storica, frutto di una “lotta” durata ben 15 anni, che colloca il Paese tra i pochi in Sud America dove l'aborto è legale (fino a oggi, solo l'Uruguay, Cuba, la Guyana e Città del Messico disponevano in America latina di una legge su questa materia).

In Argentina, come in Italia e nella pressoché totalità dei Paesi che ammettono il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, è altresì previsto l’istituto della c.d. obiezione di coscienza. Si tratta della possibilità, per medici e operatori sanitari, di rifiutarsi di eseguire le pratiche di aborto volontario per ragioni etiche, religiose o altri motivi personali, esclusa solamente quando l’aborto è necessario a salvare la vita della donna incinta. Si pensi che, in Italia, i dati più recenti confermano un’alta percentuale di obiettori: il 69% dei ginecologi e il 46,3% degli anestesisti, percentuali in continuo aumento.

Si tratta di una decisione estremamente delicata che richiede un bilanciamento tra i valori morali ed etici dei professionisti coinvolti e i diritti della paziente (in primis, quello all’autodeterminazione). Se da un lato non si può imporre a un medico di contravvenire ai propri obblighi morali, dall’altro lato non si possono lasciare migliaia di donne in balia della decisione dei professionisti, che inevitabilmente comportano dapprima un servizio sanitario manchevole e poi una lesione, seppur involontaria, dei diritti delle pazienti.

Le frequenti situazioni di stand-by, dovute all’esercizio dell’obiezione di coscienza da parte del personale medico e sanitario, si traducono in una difficoltà concreta a garantire a molte donne il diritto di interrompere con la dovuta tempestività la propria gravidanza. La strada, dunque, non è ancora del tutto in discesa. Benché, indubbiamente, sia quanto meno di sollievo la notizia che sempre più Paesi (si veda l’esempio argentino) abbiano legalizzato l’aborto o siano in procinto di farlo.

* Studio Bernardini de Pace

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