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L'avvocato del cuore
Rapporto contrattuale avvocato-cliente: come funziona l'accordo sul compenso

Al momento del conferimento dell’incarico l’avvocato concorda col proprio assistito il compenso dovuto per la prestazione d’opera intellettuale che si accinge a rendergli. Ovviamente l’avvocato non è in grado di preventivare le proprie spettanze se non ha esaminato, quanto meno a grandi linee, la questione sottopostagli o non l’ha istruita, anche solo sommariamente. Di regola l’avvocato propone al cliente il compenso dopo aver riflettuto sulla qualità dell’impegno che si è assunto: se il quantum è condiviso, le parti sottoscrivono il cosiddetto “accordo sul compenso”.

L’iter sopra descritto è compendiato dall’articolo 13 della legge 247 del 2012 rubricato “Conferimento dell'incarico e compenso”. Questa norma ha l’innegabile pregio della intelligibilità: è comprensibile da chicchessia, e cioè anche dai non addetti ai lavori. Di seguito trascritti i commi 2, 3 e 6 della norma qui richiamata: 2. Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale. 3. La pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione. 6. I parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge.

La Cassazione, con la recente decisione del 17/4/2020, n. 7904, ha stabilito che “il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale e la pattuizione dei compensi è libera salvo il divieto dei patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa [..]”.

La sentenza sopra richiamata non è isolata, ma esprime un indirizzo giurisprudenziale consolidato. Sono conformi ai principi codificati dalla recente sentenza n. 7904/2020, anche le precedenti sentenze del 4/6/2018, n. 14293 e del 25/01/2017 n. 1900 ove la Corte afferma che “Il compenso per prestazioni 2 professionali va determinato in base alla tariffa e adeguato all’importanza dell’opera, solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto, l’articolo 2233 del Codice civile pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima ed in ordine successivo, alle tariffe ed agli usi, ed infine alla determinazione del giudice […].”

Dalla lettura contestuale delle norme di legge e della corrente interpretazione giurisprudenziale emerge che l’avvocato può derogare alle tariffe previste dal D.M. 55/2014 in presenza di una specifica pattuizione col cliente. Il Regolamento di attuazione del D.M. in vigore dal 4 aprile 2014 sancisce, infatti, quanto segue: “il presente Regolamento disciplina, per le prestazioni professionali, i parametri dei compensi all’avvocato quando – all’atto dell’incarico o successivamente – il compenso non sia stato determinato in forma scritta”.

Malgrado la chiarezza cristallina dei principi di diritto suesposti, è capitato che i clienti, pur soddisfatti della prestazione professionale ricevuta e riconoscenti verso l’avvocato meritevole di aver conseguito il risultato sperato, incontrino un nuovo avvocato il quale, mosso dalla rivalità, ma anche dall’invidia, gli suggerisca di farsi restituire il compenso corrisposto al primo legale. Il cliente, sobillato dal nuovo avvocato, si convince che il compenso pagato al primo avvocato fosse eccessivo e comunque non liberamente negoziato perché, al momento dell’accordo sul compenso, egli non era lucido e non aveva alternativa se non quella di conferire il mandato.

Eppure, le pagine della cronaca nera non hanno mai descritto il caso dell’avvocato il quale, richiesto di assistenza giudiziaria, abbia puntato la pistola alla tempia del potenziale assistito costringendolo a sottoscrivere prima il mandato e poi l’accordo sul compenso. In Italia ci sono oltre 300 mila avvocati: la media è di 1 avvocato ogni 200 persone.

Se l’onorario esibito da uno dei trecento mila avvocati è troppo oneroso, il cliente può sempre rivolgersi a uno degli altri 299 mila avvocati che esercitano la professione sul territorio della Repubblica italiana. In conclusione: quando si conferisce il mandato all’avvocato, così come all’ingegnere, al medico e all’architetto, è doveroso riflettere sull’impegno economico che ci si assume verso il professionista incaricato. Anziché contestarlo ex post, ossia quando la prestazione professionale è stata resa e non è più ripetibile, è meglio contestarlo ex ante. Inoltre, gli avvocati non debbono comportarsi come lupi nel gregge: debbono evitare di sbranarsi tra loro e astenersi dal sobillare i clienti contro i loro colleghi.

Poiché essi conoscono il diritto, debbono muoversi nei binari della legalità. Mi piace ricordare, a questo proposito, l’acuta osservazione di uno specchiato magistrato, Giacomo Ebner, il quale ha osservato come nella parola legalità sia racchiusa e inclusa quella di lealtà.

*Studio legale Bernardini de Pace

 

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