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Conte ai partiti di maggioranza: se rompete, son pronto a scendere in campo

 

Uno-due di fine anno di Giuseppe Conte nei confronti dei partiti che compongono la sua traballante e litigiosa maggioranza. Il presidente del Consiglio fa il primo affondo nella conferenza stampa di fine anno quando dedica quasi tutti i 120 minuti televisivi per mettere con chiarezza i partiti della sua coalizione di fronte alle loro responsabilità: abbiamo “un'occasione d’oro” per riformare il Paese, non sprechiamola in risse e personalismi - è il monito del capo del governo.

Poi in rapida sequenza e sorprendente sagacia tattica e politica, il premier, forte di una grande popolarità e un elevato gradimento personali, attraverso un colloquio informale con Repubblica, completa il suo monito ai leader dei partiti suoi alleati con un secondo messaggio complementare non meno forte: carissimi, fate attenzione, se mi fate cadere non farò il Cincinnato né tornerò nelle aule di tribunale, il mio futuro è politico. Bum...

Di Maio, Zingaretti, Renzi e Speranza, leader zoppicanti alla guida di partiti che si guardano in cagnesco sono dunque avvisati: Conte non freme ne scalpita, anzi si offre come premier e leader della coalizione giallorossa per una maratona riformista di 36 mesi.

Ma - come sussurra nei breafing ristretti con i suoi più fidati collaboratori - se dovesse esserci l’incidente che manda il suo governo gambe all’aria, l’avvocato-premier è pronto ad appendere al chiodo la toga da giudice di pace che ancora deve indossare a Palazzo Chigi per sedare tumulti e dirimere controversie quotidiane e non esiterà ad indossare la casacca da politico scendendo in campo personalmente con la sua griffe nell’agone elettorale.

Il progetto era già allo studio da mesi, addirittura dalla crisi agostana del Conte 1, ma la nascita del Conte 2 e il desiderio di non destabilizzare la nuova, fragile maggioranza hanno suggerito a Conte e a Rocco Casalino, suo principale consigliere politico e non solo talentuoso ed efficace uomo immagine, di tenerlo coperto e riservato.

Ma in gran segreto e sotto traccia, davanti all’evoluzione tutt’altro che stabile del quadro politico, il premier ha impresso un’accorta, riservatissima accelerazione per non trovarsi impreparato davanti a un possibile casus belli da alcuni temuto, da altri auspicato (la lite sulla prescrizione, le elezioni in Emilia, lo sfarinamento dei Cinquestelle, qualche colpo di genio di Renzi, impegnato tutti i giorni con le cannonate della fida ministra Bellanova ad alzare il prezzo del suo appoggio determinante al governo).

Conte, che pur proponendosi come tecnico super partes, sa di politica e la segue con passione sin dai tempi dell’università, quando era impegnato nei gruppi del cattolicesimo democratico, non vuole farsi prendere in contropiede dagli eventi.

Ecco dunque l’iniziativa di raccogliere tutti i suoi 180 discorsi pubblici nei quali - fa osservare agli amici fidati - è ampiamente documentato il corpus del suo pensiero politico. A partire da quel nuovo umanesimo fatto di ricerca del bene comune, attenzione alle regole, cura delle parole, rispetto delle istituzioni che ha ritrovato nelle parole del movimento delle sardine, cui guarda con simpatia avendole addirittura anticipate nei contenuti. Insieme con l’attenzione ai temi dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile del suo Green New Deal e all’impegno nella lotta alla povertà e alla difesa dei diritti dei più deboli proveniente dalla dottrina sociale della Chiesa.
E da bravo ex calciatore sa che nelle azioni di gioco la scelta dei tempi è fondamentale.

Monitora così i sondaggi, si rallegra della discesa del gradimento di Matteo Salvini che Conte attribuisce alla crescita della Meloni (che “ha il vantaggio di essere donna”, spiega ai suoi) e all’azione delle sardine, che hanno tolto al leader della Lega la comoda e fruttuosa posizione di portavoce del popolo contro il detestato Palazzo portandogli via “l’esclusiva delle piazze”.

E mentre invita i partiti della sua sdrucciolevole maggioranza a definire le priorità e a lavorare di buona lena alle riforme, a partire da quella della pubblica amministrazione inefficiente e della burocrazia asfissiante, fa sapere ai suoi partner che se vorranno far prevalere gli interessi di parte e bruciare quel sottile equilibrio faticosamente raggiunto col governo giallorosso egli è pronto a raccogliere la sfida del confronto elettorale con una sua squadra e un suo progetto politico. Che non sarà necessariamente un nuovo partito. Conte, infatti, ha chiara la parabola del suo predecessore Mario Monti e del suo piccolo, improvvisato partito, durato lo spazio di un mattino. Si sente diverso dal bocconiano uomo del loden. E sta studiando proprio per non fare gli stessi errori.

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