Sergio Mattarella è il vero uomo dell’anno
Padrino involontario del matrimonio tra Di Maio e Salvini. Un caso di eterogenesi dei fini
Per me il premio di uomo dell’anno spetta a Sergio Mattarella.
Perché è stato il nostro dodicesimo presidente della Repubblica a dare inaspettatamente il là, dalle stanze ovattate del Colle, alla profonda rivoluzione politico-istituzionale italiana, favorendo un totale sovvertimento, incruento e democratico, degli equilibri di governo consolidati e incombenti e l’avvio di una fase nuova all’insegna del potere al popolo e della democrazia diretta.
Lo ha fatto involontariamente? Non ci pensava? condotto per mano dagli eventi? O dalla mano superiore della Storia? Chissa? Ma poco importa. Quel che conta non sono le intenzioni, sono i fatti. Che sono incontrovertibili.
E’ stato lui, uno degli ultimi democristiani ancora attivi, accademico di giurisprudenza e parlamentare di lungo corso, a fungere da maieuta socratico del nuovo corso pentaleghista, facendo nascere con un faticoso parto gemellare quel governo del Cambiamento guidato da uno sconosciuto avvocato e professore pugliese, di nome Giuseppe Conte, e supportato da due giovanotti inesperti ma molto decisi, i più gettonati dagli italiani alle elezioni di marzo, il leader dei Cinquestelle Luigi di Maio e il leader della Lega Matteo Salvini.
Certo, a onor del vero, quel governo gialloblù non era proprio la prima scelta del Presidente. Si capi in quei lunghissimi giorni pre-parto che il canuto giurista del Pd, voluto al Colle da Matteo Renzi, avrebbe preferito a fianco e come controllore e contraltare dei temutissimi grillini un coinvolgimento più naturale e rassicurante del proprio partito nel governo della nazione. E incaricò di sondarne la fattibilità il grillino di sinistra Roberto Fico. Ma Matteo Renzi, scornato dal voto, comprò quintali di pop corn e scelse per sé e per il partito da lui controllato un comodo divano sull’Aventino.
Provo’ allora, Mattarella, imitando il suo predecessore Giorgio Napolitano, col solito jolly antipopolare e di Palazzo del governo dei tecnici alla Monti, guidato stavolta dall’uomo dello zainetto e del Fondo Monetario Carlo Cottarelli, ma ancora una volta, niente da fare: i tempi son cambiati, voti disponibili zero (con l’ennesimo diniego del Pd) e spread alle stelle. Un botto di paura che consigliò al Colle una provvidenziale ritirata, esponendo però l’Italia al rischio di un ritorno alle urne, temutissimo dal Palazzo, visti gli esiti destabilizzanti e le tendenze antisistema manifestate dalla maggioranza del popolo italiano nel voto del 4 marzo.
Fu così che Mattarella, obtorto Colle, dovette richiamare frettolosamente al Quirinale Di Maio e Salvini, che messi insieme totalizzavano l’unica maggioranza numerica possibile (fuori gioco il Pd, autoesiliato). E con l’ingegnosa invenzione del contratto di governo, lumbard e pentastellati riuscirono ad approdare all’altare e Mattarella, che si era incartato ed era minacciato di impeachment da Di Maio per aver ignorato il responso popolare, a fare da padrino al matrimonio più pazzo della storia politica italiana.
Pazzo ma inevitabile, pena una grave, imperdonabile omissione da messa in stato d’accusa, potendo l’inedita coppia di fatto contare sulla maggioranza dei voti in Parlamento.
Non era l’esito che il Presidente agognava, ma dopo due mesi di stop and go, e su e giù dal Colle, consultazioni inefficaci e balletti improduttivi e destabilizzanti, non si poteva attendere oltre, né fare diversamente.
Un caso di eterogenesi dei fini, insomma. Ossia di quel fenomeno per cui un’azione nata per certi effetti ne produce altri del tutto inattesi.
I due leader populisti uniti in matrimonio si insediarono a Palazzo Chigi con Conte e vissero felici e contenti, facendo intorno a sé terra bruciata di partiti e partitini e mandando a casa Silvio Berlusconi da una parte e Renzi e il Pd dall’altra.Con Mattarella che faceva buon viso a cattivo gioco, avendo giocato il ruolo di padrino involontario a un governo con un consenso in Parlamento e nel Paese senza precedenti nella seconda Repubblica.
Un governo che spaccava il Centrodestra, lo schieramento che vantava, unito, il miglior successo elettorale e, pur essendo lontano dalla maggioranza in Parlamento, aveva chiesto a gran voce l’incarico per Matteo Salvini. Ma Mattarella, che non amava il ruspante leader lumbard, non lo chiamò mai al Colle come incaricato del Centrodestra, salvandolo così, involontariamente, da un fallimento che lo avrebbe azzoppato e ritrovandoselo poi fattivo e pimpante al Colle, al fianco non di Berlusconi ma del ben più temuto Di Maio.
Non basta. Come un saggio buddista, il capo dello Stato ha fatto il bis sei mesi dopo quando è stato di nuovo protagonista di un caso di serendipity: scopri una cosa non cercata mentre ne cerchi un’altra, come fu per l’invenzione casuale del Viagra.Dopo averli fatti sposare, il prudente Mattarella infatti ha anche salvato Di Maio e Salvini dalla morte prematura. E’ accaduto sulla strada di Bruxelles dove i due giovani vicepremier e ministri, avversari decisi dei mandarini dell’Ue, erano andati a sbattere con la manovra di bilancio contro i niet europei esponendo l’Italia al rischio di una procedura d’infrazione che avrebbe significato di nuovo spread alle stelle, speculazione scatenata e commissariamento.
Ancora una volta lavorando dietro le quinte a Roma e a Bruxelles con la sua moral suasion, Mattarella ha portato Salvini e Di Maio a più miti consigli. Saldi e numerini sono scesi, come chiedevano i mandarini di Bruxelles e l’Italia si è salvata. Ma si è salvato anche il governo. Che ora, grazie all’intervento del Colle, si consolida e si candida a guidare l’Italia, divenuto un laboratorio politico osservato in tutto il mondo, per un lungo quinquennio rovesciando il Paese come un calzino ed eleggendo addirittura a tempo debito il successore di Mattarella.Non solo. Ora Cinquestelle e Lega vogliono portare la rivoluzione e il Cambiamento anche in Europa, povero Mattarella...
Chi l’avrebbe mai detto che un vecchio democristiano di seconda fila avrebbe favorito la svolta seppellendo l’antico regime e facendo saltare una serie di storiche incrostazioni e freni che hanno bloccato ogni tentativo di rinnovamento della politica italiana negli ultimi decenni?
Ecco perché è lui, un po’ ingobbito come Andreotti e ancor più freddo e schivo del divo Giulio, l’uomo dell’anno 2018. Lui il protagonista involontario del grande Cambiamento.Come negli anni ‘60 Amintore Fanfani capì la spinta dal basso e aprì ai socialisti partorendo il centrosinistra e come, negli anni '70, Aldo Moro il quale fece lo stesso coi comunisti varando il compromesso storico e l’unità nazionale (e finendo ammazzato).
Ma quelli nella Democrazia Cristiana erano capi politici, cavalli di razza. Mentre di Sergio Mattarella, uomo mite e riservato, amante dell’understatement e mai attratto dai palcoscenici e dagli esibizionismi della politica, ci si era accorti solo per qualche esperienza ministeriale e per la barbara uccisione del fratello Piersanti, presidente della Regione Sicilia, assassinato della Mafia.
Chi lo avrebbe mai detto che proprio lui sarebbe passato alla storia come il Presidente del grande Cambiamento, facendo impallidire la memoria del picconatore Cossiga e del popolarissimo Sandro Pertini, due suoi predecessori che pure si erano tanto spesi nell’impresa, vana, di cambiare dal Colle l’Italia?
Ora il presidente Mattarella non può che sperare che il matrimonio di Cinquestelle e Lega di cui è stato il compare d’anello, vada avanti con successo. Simul stabunt, simul cadent.
E dovrà prodigarsi in tal senso, magari oborto Colle. Perché ormai ci ha messo troppe volte la faccia.
Involontariamente.
Commenti