Lo sguardo libero
Da Xi a Renzi, se i nostri politici ignorano l’arte della negoziazione

Il gioco degli scacchi si lasci a Bobby Fischer e Boris Spassky
Ci sono regole della negoziazione nelle aziende che vengono fatte proprie dalla politica. Non da quella italiana.
Il presidente cinese Xi Jinping nel suo discorso all’World Economic Forum di Davos ha invitato il suo omologo neoeletto statunitense Joe Biden a tener conto della potenza economica della Cina, a non intraprendere guerre commerciali pregiudiziali, come faceva il precedente inquilino della Casa Bianca, Donald Trump. Una decisione - al di là del tema della mancanza di democrazia e della negazione dei diritti umani - coraggiosa. Una scelta propositiva. Non distruttiva. Come si fa nel business, Xi ha agito per primo. Apparentemente mettendosi in una situazione di debolezza. Ha detto: “Voglio lavorare con voi”. La negoziazione deve avere finalità positive per entrambe le parti. Come raggiungerla? Lo sa chi lo deve sapere. “Compito dell’arte – diceva Giacomo Leopardi - è nascondere l’arte”. Di sicuro il metodo non è quello del venditore di tappeti che parte da mille per scendere a due.
In Italia, si vedano la vicenda di Matteo Renzi che ha fatto cadere il Conte II e le trame, le alleanze e le tattiche per la formazione del nuovo Governo - al di là di come la si pensi di Giuseppe Conte - sembra che i nostri politici confondano la negoziazione col gioco degli scacchi. Tutti ne sono condizionati. Il termine tra i più ricorrenti tra i commentatori politici è “mossa”. “I parlamentari – si ascolta in tv - aspettano o cercano di capire quale sarà la prossima mossa di Renzi”. Il gioco degli scacchi si lasci a Bobby Fischer e Boris Spassky.