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Lo sguardo libero
Ddl Zan, e se un ragazzo dicesse di essere un coccodrillo?

L’affossamento del Ddl Zan contro l’omotransfobia, al di là delle dinamiche delle alleanze politiche che sottende, e dello strumento scelto, la cosiddetta tagliola che al Senato consente di evitare la discussione, e dato per assodato che non debba esistere nessuna violenza e discriminazione contro nessun tipo di tendenza sessuale (l’omosessualità è una caratteristica umana e naturale, che dovrebbe lasciare indifferenti… ovvio no alla pedofilia, che è il crimine peggiore al pari della mafia e delle stragi per terrorismo), anche tra coloro che sono i più liberali e libertari persino, ha fatto tirare un sospiro di sollievo perché ci sarà più tempo per affrontare il tema critico dell’identità di genere, che è il nodo della legge.

C'è differenza tra “poter fare” e “poter essere”. Il principio liberale afferma che ciascuno può fare ciò che vuole – ovvio non ciò che è contrario alla legge – purché la sua libertà non pregiudichi quella degli altri: un uomo è per esempio libero (per entrare nella sfera spinosa della morale) di amare tante donne, di amare uomini, di scegliere di morire o di utilizzare droghe laddove possibile. Una persona è però libera di essere ciò che vuole? Si può parlare, per citare il provvedimento stoppato al Senato, di “identificazione percepita (…) indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”?  Qui si leva qualche dubbio. E se un uomo dicesse di essere un coccodrillo e di volere che lo Stato gli paghi la chirurgia plastica per assomigliargli fisicamente? Dobbiamo scrivere sulla carta d’identità che è un coccodrillo?

Certamente un cambiamento di genere, transito o no, dovrebbe essere un percorso accompagnato, meditato dal soggetto in causa e verificato dagli esperti (in una trasmissione televisiva e giornalistica un esperto ha sostenuto: “Nessuno può impedirmi di essere ciò che sono!”). “Io sono quello che voglio a seconda di come mi sveglio” è ammissibile in taluni blog e nelle canzonette. Con un’iperbole, il rischio è che il ragazzino Francesco torni dall’weekend e dica all’insegnante: “Da oggi sono Francesca”. Ipotesi non fantascientifica in una società sentimentale e disordinata come l’attuale. Si pensi alla cosiddetta gender fluidity, di moda tra adolescenti e personaggi del mondo dello spettacolo. Una certa ambiguità sessuale, come spiega la psicologia evolutiva, è un passaggio adolescenziale naturale, ora sembra che questa condizione provvisoria venga superficialmente accolta come definitiva o, il che è l’altra faccia della stessa medaglia, spinga improvvisamente a decisioni radicali e clamorose. La colpa è anche della generazione di genitori che erano giovani negli anni 80 e 90, tipicamente convinti che dopo il 68 e gli anni 70 il tema dell’educazione sessuale dei figli fosse superato; tuttavia, proprio costoro non hanno educato per nulla i loro ragazzi alla sessualità.

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