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Coronavirus
AstraZeneca, è la Brexit la causa principe dei ritardi sul vaccino

L’immagine globale di Big Pharma curata da eserciti di esperti, consulenti e Pr è sempre stata un elemento critico per i giganti farmaceutici. Giganti che, periodicamente, si trovano in mezzo a crisi di immagine di livello globale.

Da Novartis, a Bayer, a Jonhson & Jonhson,  a Pfizer, per citare solo qualcuna tra le più importanti Big, sono passate attraverso crisi di immagine epocali, costate non solo notorietà ma diversi miliardi pagati a class action pesantissime. Tutte ne sono sempre uscite ma lasciando sul campo migliaia di lavoratori e percentuali importanti di valore azionario.

Adesso è la volta di AstraZeneca, la multinazionale anglo-svedese, su cui l’Europa ha scommesso per milioni di dosi di vaccino. Come si stanno muovendo le cose nel mondo dei vaccini per il Covid-19 l’Europa sta cominciando a capire che qualche errore di valutazione potrebbe essere stato fatto. In primis nel credere che le due americane, Pfizer e Moderna, sarebbero state insensibili alle richieste della nuova amministrazione Biden ( 100 milioni di americani vaccinati nei primi 100 giorni), secondo nello snobbare il vaccino russo e quello cinese nell’errata valutazione che la ricerca dei due giganti fosse da terzo mondo e, ultimo, essersi buttata anima e corpo sul vaccino europeo, ancora, curiosamente non approvato dall’Agenzia regolatoria europea, l’Ema.

Detto questo, adesso i leader europei, si scagliano contro la multinazionale minacciando di tutto e di più, persino class action.

E così  il gigante farmaceutico, un angelo per aver ridato speranza alle migliaia di pazienti affette da cancro ovarico trattate con Lynparza, uno suoi farmaci di maggior successo, è velocemente diventato il diavolo per milioni di europei che sognavano di essere inondati da milioni di dosi di vaccino. L’annuncio di AstraZeneca, che avrebbe ridotto fino al 60% il numero di vaccini destinati all’Unione Europea come prime consegne, a causa di problemi nei suoi stabilimenti europei, ha fatto disseppellire l’ascia di guerra a Bruxelles e fatto diventare l’azienda uno dei suoi peggiori nemici.

Ma la storia dell’azienda puo’ spiegare questa sorprendente giravolta. La fusione della svedese Astra AB con l’inglese Zeneca Group nel 1999, promettente all’inizio, è durata poco più di un decennio e ha mostrato rapidi segni di esaurimento.

Quando nel 2012 il francese Pascal Soriot ha preso la direzione ha trovato infatti un gruppo in declino da sei anni.

Crisi dovuta a diversi fattori: nessun farmaco nuovo, quindi nessun nuovo brevetto e pure i vecchi in scadenza. Soriot è riuscito a far uscire dai laboratori il farmaco Lynparza. Il Ceo è riuscito così a ribaltare la situazione scommettendo, soprattutto, sull'area oncologica, e in cinque anni ha reso l'azienda la quinta al mondo nel suo settore. Oltre 70.000 dipendenti, nove centri di ricerca e produzione propri sparsi in Europa, Stati Uniti, Cina e Giappone e un fatturato annuo di oltre 20.000 milioni di euro nel 2019.

Nel 2014 il CDA dell’azienda ha rifiutato ben quattro tentativi di acquisto del concorrente americano Pfizer.

L’attuale problema di ritardi potrebbe nascere da lontano, e si chiamerebbe Brexit. La parte britannica del gruppo è infatti maggioritaria rispetto a quella svedese e la ricerca del nuovo vaccino è iniziata a Oxford. AstraZeneca ha messo le sue capacità industriali e tecnologiche per la produzione su larga scala. Ma Boris Johnson, che stava lasciando l’Europa, si è assicurato le forniture per il Regno Unito. Londra ha sostenuto la ricerca di Oxford con quasi 100 milioni di euro a maggio e ha negoziato una prima fornitura di 30 milioni di dosi, su un totale di 100 milioni.

Moralmente non giustificabile ma la ragion di stato potrebbe permettere di ridurre il numero dei lotti europei per aumentare quelli diretti nel Regno Unito.

Vero? Falso? Sarà il tempo a deciderlo. Però adesso vi è un problema evidente non solo per l’Europa tutta ma per la stessa multinazionale che deve capire chi conta davvero al suo interno.

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