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Coronavirus
L'era delle pandemie globali è alle porte? "Cambiamo la cultura medica"
(foto Lapresse)

Secondo alcuni  politici e scienziati ormai  ci siamo: l’era delle pandemie globali ricorrenti  è arrivata, per questo occorrerebbero basi vaccinali strategiche e piani pandemici d’emergenza.  Una sorta di guerra batteriologica da contrastare e magari da prevenire, ma come? Per saperne di più abbiamo intervistato l’infettivologo  Enrico Bernini Carri, presidente del CEMEC, il Centro Europeo per la medicina dell’Emergenza e delle Catastrofi del Consiglio d’Europa.

Dottor Enrico Bernini Carri, lei è un medico ed infettivologo, con una carriera militare alle spalle. Ha  gestito l’aviaria e la suina, presiede l’Agenzia Europea per la Medicina dell'Emergenza e delle Catastrofi del Consiglio d’Europa,  siamo entrati nell’era delle pandemie globali?

La storia dell'uomo è la storia delle pandemie. Anche di recente siamo già stati provati da diverse esperienze importanti. Non mi piace generare ansia e dipingere scenari inquietanti, ma essere realisti. Ormai le nicchie di natura vengono disturbate dall' uomo. Se i cinghiali arrivano in città o i pipistrelli restano senza foreste, qualcosa cambia inevitabilmente. Quando gli spagnoli portarono la sifilide in sud America,i Maya erano molto vulnerabili e fu una strage, oggi possiamo essere più attrezzati, se monitoriamo meglio e collochiamo i campanelli d'allarme, ma il comportamento dei virus resta poco prevedibile. Il virus non mette i cartelli quando diventa più aggressivo, ma ora sappiamo che le malattie infettive torneranno ad essere le nuove sfide e la cultura medica, come l'organizzazione sanitaria dovranno adeguarsi.

L'Europa ha appreso la lezione?

In Europa, non c' è ancora una strategia europea, lo tsunami pandemico è in corso e gli stati ragionano su base nazionale. L'organismo europeo, l'ECDS (European Centre for Disease Control) avrebbe dovuto imporre la reale stesura ed organizzazione dei piani pandemici, invece ha mantenuto un profilo burocratico. In Italia, aspettavamo una pandemia influenzale, non questa, poi c'è stata una gestione più politica che sanitaria da parte dell'OMS, questo è il limite.

Sono necessarie le “basi” vaccinali per altre guerre ai nuovi virus?

Il virus è un parassita vive per entrare nelle cellule di altri. Da sempre abbiamo pochi strumenti, gli antivirali non annientano il virus. Oggi il vaccino è l'unica arma, pur imperfetta. Costa meno di un farmaco per le case farmaceutiche ed i brevetti sono più imitabili. Le multinazionali, infatti, avevano abbandonato questa produzione, ma quando è arrivata la pandemia, l'Europa, che ha una industria farmaceutica portentosa, ha dovuto rivolgersi altrove, abbiamo dovuto richiedere ogni cosa agli Usa, all'India e alla Cina.

L'Agenzia Europea che lei presiede a cosa serve?

A fare una rivoluzione culturale, l'unica possibile. Se i governi fanno i loro legittimi interessi nazionali, noi possiamo sviluppare una nuova concezione dei rischi sanitari. Abbiamo una sanità europea mediamente buona, eppure nessuno era preparato a livello sociale ed individuale per questa emergenza pandemica. Il nostro obiettivo, invece sarà trasferire e realizzare il concetto di sanità sociale vicino all'individuo, all'uomo. Anche con una scuola, che avrà la sede a San Marino, membro del Consiglio d'Europa.

Veniamo alle strategie in atto. Ieri l'ultimo bollettino ci ha detto che il contagio in Italia è di 25 su 100.000 abitanti, le varianti circolano poco ed i tamponi positivi sono l’1% dei tamponati,  abbiamo l’indice RT di 0,68, infatti a giugno le regioni saranno tutte bianche,  insomma un bel via libera. Cosa ha funzionato di più?

Il trend estivo positivo era prevedibile indipendentemente dai vaccini. La cartina di tornasole è l'autunno, quando sapremo quanto saranno pervasive le varianti e se i vaccini avranno funzionato davvero. Ad oggi siamo ottimisti, anche la variante delta (indiana) troverà un numero elevato di immunizzati. In GB è molto diffusa perchè hanno fatto a tutti una sola dose per lo più con Astrazeneca. Non sappiamo ancora se c' è davvero qualcosa in quella formula vaccinale che non va o se è stata la strategia che, con una sola dose, ha mantenuto diffuso il contagio, ora in risalita.

I vaccini per i giovani oggi, under 30 hanno senso in Italia, visti i numeri bassi dei contagi, in un rapporto rischi/benefici?

 Concordo con la sospensione di AstraZeneca agli under 30, fin da marzo perchè la farmacovigilanza deve fermarsi quando ci sono effetti imprevisti. Anche J&J è su base adenovirale, ma si fa una sola dose ed abbiamo ancora poche somministrazioni, quindi meno rischio di effetti avversi. Non c'è dubbio che se avessimo sufficienti dosi di Pfizer e Moderna dovremmo prediligerli anche per gli under 30.

Per precauzione, Israele  e gli Usa hanno sospeso i vaccini Pfizer sotto i 16 anni per reazioni avverse con miocarditi e pericarditi da studiare meglio.  Anche la Germania ha scelto la precauzione, mentre  in Italia tutto tace ed il ministro Speranza  ieri ha ricordato che la ministra Dadone sta preparando campagne di comunicazione ad hoc per i ragazzi. Su questo l’Europa  non ha una linea comune sul principio di precauzione per i giovanissimi?

Sugli under 16 sarei molto prudente, aspetterei dati maggiori e magari valutare altri vaccini in arrivo che siano in una fase di sperimentazione più avanzata. Invece, vaccinerei, se lo desiderano, ma senza obblighi, gli over 16 che possono contagiare di più ed in un modo più importante.

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