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Coronavirus
Storie di Covid, a Genova due fratelli "dimenticati dalla Asl"
Crediti Photo Nick Zonna

Marco e Andrea Scorsetti sono due fratelli genovesi di 49 e 38 anni. L'8 ottobre si mettono in auto isolamento perché la loro madre, di 74 anni, viene ricoverata in ospedale dove le viene riscontrata la positività al Covid. Da quel giorno comincia un calvario fatto di richieste al medico di base e alla Asl per sapere cosa fare, quando poter fare un tampone, se c'è possibilità di spostarsi dalla casa della madre per tornare alle rispettive abitazioni. Ma le risposte non arrivano. La vicenda si conclude con un tampone eseguito in forma privata il 21 ottobre, con la risposta arrivata alcune ore dopo, e la "liberazione" il 24 ottobre.

"Io volevo solo un decalogo su come comportarmi, un foglio prestampato in cui si spiega al cittadino cosa fare nelle varie circostanze in cui si è positivi o contatti di positivi. Quali sono i comportamenti da adottare, cosa fare, la tempistica - racconta sconfortato Marco all'Agi - Ma nessuno, soprattutto non la Asl ha saputo darci informazioni". Dopo la positività della madre, spiega infatti il 49enne, "ho chiamato subito, come da prassi, il medico di base per avvertire la Asl e fissare una data per eseguire il tampone. Nel frattempo io e mio fratello ci mettiamo volontariamente in quarantena. Addirittura tra di noi limitiamo al massimo i contatti: viviamo in due stanze diverse, non mangiamo insieme e utilizziamo la mascherina in casa. Non usciamo nemmeno per buttare la spazzatura perché abbiamo paura di essere positivi e infettare qualcuno, motivo per cui non torniamo nemmeno nelle nostre case, ma restiamo in quella di nostra madre, in un altro quartiere". Al settimo giorno di isolamento, il 15 ottobre, la Asl contatta i due fratelli: l'operatore spiega che verranno a domicilio a fare il tampone, in corso Sardegna, nel quartiere di residenza dei fratelli. Ma Marco spiega che, per precauzione, come era stato già detto al medico di base, i due fratelli hanno scelto di rimanere in casa della madre per evitare di attraversare la città e contagiare qualcuno.

Un eccesso di zelo, evidentemente, che cozza con la rigida burocrazia sanitaria: "Mi dispiace, se siete in un'altra abitazione non possiamo venire. Non è zona di nostra competenza" spiega l'operatore. A quel punto, dal 15 ottobre, si interrompono i contatti con la Asl. Nonostante due mail inviate all'azienda sanitaria, i due non ricevono altre risposte e non sanno cosa fare. Nel frattempo la madre, ricoverata all'ospedale Galliera, lotta contro il covid: cannule, caschetto, poi mascherina semplice per l'ossigeno. Esasperati, i fratelli decidono di prenotare un tampone privatamente: il 21 ottobre lo eseguono spendendo 190 euro in due.

Una volta ottenuto l'esito, negativo per entrambi, finalmente possono cenare di nuovo insieme. "Ma io mi sono mosso da solo, informato da solo, agendo con coscienza, auto limitandomi per non infettare nessuno, pur non avendo sintomi. Un altro avrebbe fatto lo stesso? Nessuno mi ha spiegato niente, nessuno mi ha spiegato come comportarmi, non ci sono risposte - dice amareggiato - Inoltre mi è stato detto che il referto di negatività uscito da un laboratorio privato non vale. Ma è vero? Chi ci dà risposte?". Sabato 24 ottobre i due fratelli riescono per la prima volta di casa. Mentre la loro madre è stata dimessa, ma deve continuare a stare isolata nella propria abitazione perché - pur guarita - è ancora positiva. "Ora cosa dobbiamo fare?" si chiede Marco, pur sapendo che sarà un'altra domanda che cadrà nel vuoto. Nel frattempo, la Asl non ha mai più richiamato.

 

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